Speciale Pubblicato il 22/04/2015

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Reati tributari e non punibilita’ per tenuita’ del fatto

di Avv. Maurizio Vecchio

La Cassazione penale applica per la prima volta la nuova disciplina di non punibilità per tenuità del fatto in campo tributario nella sentenza 15449/2015.



La Corte di Cassazione con la recente sentenza 15449 del 15 aprile 2015 ha preso, per la prima volta, posizione in ordine alla nuova disciplina della non punibilità per tenuità del fatto.
La sentenza, più precisamente, affronta due argomenti di particolare interesse ed attualità in materia penale tributaria:
IL CASO
La vicenda riguarda la condotta del liquidatore di una società di persone che, successivamente al sorgere di un debito erariale, costituiva, quale disponente, un trust liquidatorio sul patrimonio societario assumendo la qualità di trustee.
I Giudici di Piazza Cavour non hanno in alcun modo evidenziato l’illegittimità o la invalidità della costituzione del Trust, ma piuttosto chiarito – in conformità alla decisione della Corte di Appello - lo scopo fraudolento della costituzione medesima e la finalità unica di sottrarre il patrimonio del contribuente alla procedura coattiva. Inoltre  la Cassazione si esprime sull’applicabilità del nuovo istituto della non punibilità per tenuità del fatto ( art. 131 bis c.p. ) alle fattispecie incriminatrici previste dalla disciplina sanzionatoria degli illeciti fiscali. 

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Per approfondire scarica il Commento completo con il testo integrale della sentenza :
  
"Reati tributari e non punibilità per tenuità del fatto" Cassazione penale n. 15449 /2015 (PDF - 10 pagine)
Indice:
IL CASO
 IL COMMENTO
 1. Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte e trust
 2. Reati tributari e non punibilita’ per tenuita’ del fatto
 IL TESTO INTEGRALE DELLA SENTENZA
 
 

Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte e trust

(...)
La Corte di legittimità ha, opportunamente chiarito che Il decreto legislativo 28 del 2015 (con il quale è stata introdotta la nuova disciplina dell’art. 131 bis c.p. ) non prevede una disciplina transitoria, sicché la natura sostanziale dell’istituto – con conseguente retroattività della legge più favorevole – ne impone l’applicazione anche ai processi in corso. Con ciò concludendo che la questione della particolare tenuità del fatto è proponibile anche nel giudizio di legittimità, tenendo conto di quanto disposto dall'art. 609, comma 2, cod. proc. pen., trattandosi di motivo che non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello.
La sentenza – pur rilevando in astratto la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del giudizio di tenuità del fatto rispetto ai limiti di pena edittale – esclude in concreto l’applicabilità dell’istituto al caso di specie.
In particolare il giudizio negativo deriva dalla circostanza che è indispensabile – verificato i soddisfacimento del requisito relativo ai limiti di pena edittale – tenere conto – per il Giudice della legittimità – della eventuale presenza, nella motivazione del provvedimento impugnato, di giudizi già espressi che abbiano pacificamente escluso la particolare tenuità del fatto, riguardando, la non punibilità, soltanto quei comportamenti (non abituali) che, sebbene non inoffensivi, in presenza dei presupposti normativamente indicati risultino di così modesto rilievo da non ritenersi meritevoli di ulteriore considerazione in sede penale.
La decisione non pare, peraltro, destinata a trovare conferma in futuro , almeno tenendo conto delle prime osservazioni formulate dalla dottrina e delle linee guida di alcune Procure della Repubblica circa le condizioni di applicabilità in concreto della causa di non punibilità per tenuità del fatto. (...) 

Reati tributari e non punibilità per tenuità del fatto

(...)
Ai fini della configurabilità si richiede esclusivamente che l'atto simulato di alienazione o gli altri atti fraudolenti sui beni siano idonei ad impedire il soddisfacimento totale o parziale del credito tributario, non essendo necessaria la sussistenza di una procedura di riscossione in atto con la conseguenza che il dolo specifico è costituito dal fine di sottrarsi al pagamento del debito tributario vanificando l’esito dell’azione coattiva, senza che quest’ultima, però, costituisca un presupposto della condotta. Da ciò deriva che oggetto giuridico del reato non è il diritto di credito dell’Erario, bensì la garanzia generica data dai beni dell'obbligato, cosicché esso può configurarsi anche qualora, dopo il compimento degli atti fraudolenti, avvenga comunque il pagamento dell'imposta e dei relativi accessori (Sez. 3, n. 36290 del 18/5/2011, Cualbu, Rv. 251077).
Si tratta, dunque, di un reato di pericolo, rispetto al quale la condotta penalmente rilevante può essere costituita da qualsiasi atto o fatto fraudolento intenzionalmente volto a ridurre la capacità patrimoniale del contribuente stesso, riduzione da ritenersi, con un giudizio ex ante, idonea sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, a vanificare in tutto od in parte, o comunque rendere più difficile, una eventuale procedura esecutiva (così Sez. 3, n. 39079 del 9/4/2013, Barei e altro, Rv. 256376, cit.).
La rigorosa interpretazione della norma che punisce gli atti finalizzati a privare l’Erario dei beni del contribuente moroso necessita di alcune precisazioni. Un pagamento successivo agli atti di disposizione patrimoniale che si presumono fraudolenti non sempre può essere considerato irrilevante; soprattutto se detto pagamento interviene spontaneamente e la cessione del patrimonio del contribuente era finalizzata alla liquidità necessarie per far fronte al debito erariale.
(...)


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