Con la sentenza n. 36 del 27 marzo 2025, la Corte Costituzionale ha sollevato una questione cruciale per il contenzioso tributario, sancendo l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 del D.Lgs. 220/2023, nella parte in cui stabiliva l’applicazione del nuovo regime probatorio ai giudizi di appello notificati dal 5 gennaio 2024, indipendentemente dallo stato del processo.
La pronuncia ha un impatto diretto sui procedimenti in corso, poiché riconosce una lesione del diritto di difesa delle parti, sancito dall’art. 24 della Costituzione.
In sostanza, l’intervento normativo introdotto con il D.Lgs. 220/2023 – parte integrante della più ampia riforma fiscale – è stato ritenuto in contrasto con i principi costituzionali nella misura in cui incide retroattivamente su situazioni processuali già consolidate.
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1) Il nuovo regime probatorio: cosa cambia
La riforma ha modificato in modo incisivo l’art. 58 del D.Lgs. 546/1992, imponendo limiti stringenti all’introduzione di nuovi mezzi di prova in secondo grado.
Nell’art. 58, in particolare:
- Il comma 1, come riformato, esclude la possibilità di depositare nuovi documenti o introdurre nuovi mezzi di prova, salvo che il collegio non li ritenga indispensabili o che la parte dimostri di non aver potuto produrli nel primo grado per cause alla stessa non imputabili.
- Il comma 2 consente la proposizione di motivi aggiunti in caso di documenti, non noti in primo grado, che evidenzino vizi degli atti impugnati.
- Il comma 3 stabilisce un divieto assoluto al deposito in appello di deleghe, procure e altri atti rilevanti ai fini della legittimità della sottoscrizione e delle notifiche dell’atto impugnato o degli atti che ne costituiscono presupposto di legittimità, che possono essere prodotti in primo grado anche ai sensi dell’art. 14, comma 6-bis, del D.Lgs. 546/1992.
Secondo la previsione normativa contenuta nell’art. 4, comma 2, del D.Lgs. 220/2023, tale disciplina si deve applicare a tutti i giudizi instaurati (in primo, secondo grado o in Cassazione) a partire dal 5 gennaio 2024, cioè dal giorno successivo all’entrata in vigore del decreto.
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2) L’intervento della Corte Costituzionale
Il giudizio della Consulta muove dalla constatazione che le nuove limitazioni probatorie, se applicate anche ai giudizi d’appello derivanti da ricorsi di primo grado notificati prima del 5 gennaio 2024, avrebbero inciso retroattivamente su situazioni già consolidate, compromettendo la possibilità per le parti di organizzare adeguatamente la propria difesa.
In passato, infatti, la giurisprudenza di legittimità (si vedano, tra le altre, Cass. 6772/2023 e 6888/2016) aveva riconosciuto la piena facoltà delle parti di produrre nuovi documenti in appello, anche qualora questi fossero già nella loro disponibilità in primo grado.
Tale impostazione era stata ritenuta conforme al dettato costituzionale (Corte Cost. n. 199/2017).
Ora, la Corte sottolinea come nei giudizi di primo grado già pendenti alla data di entrata in vigore della novella legislativa e nei quali era già spirato il termine per il deposito dei documenti (20 giorni liberi prima dell’udienza, come prevede l’art. 32, comma 1, del D.Lgs. n. 546/1992), non vi fosse alcuna possibilità per le parti di "prevenire" l’effetto della nuova disciplina.
Di conseguenza, la norma in questione – pur formalmente proiettata nel futuro – finiva per incidere retroattivamente sulle legittime aspettative processuali delle parti.
3) Gli effetti pratici della sentenza
Con la declaratoria di incostituzionalità, viene quindi meno il limite temporale previsto dall’art. 4, comma 2, nella parte in cui estendeva la nuova disciplina anche agli appelli relativi a giudizi di primo grado instaurati prima del 5 gennaio 2024.
In concreto, questo significa che nei giudizi pendenti, anche se l’appello è stato notificato dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 220/2023, dovrà essere garantita la possibilità di produrre nuovi documenti, secondo le regole precedenti.
Qualora il giudice d’appello avesse erroneamente escluso prove sulla base della nuova normativa, sarà possibile ottenere in sede di legittimità un annullamento con rinvio della sentenza emessa dal giudice di secondo grado, affinché nel successivo giudizio di rinvio, la cui instaurazione è a carico del contribuente, si tenga conto dei documenti non esaminati.
4) Considerazioni conclusive
La sentenza n. 36/2025 segna un punto fermo in tema di rispetto dei diritti processuali, affermando un principio di civiltà giuridica: le regole del processo non possono essere mutate in corsa, a detrimento delle parti che abbiano fatto legittimo affidamento sul quadro normativo vigente, laddove, evidenzia la Corte Costituzionale, “Il principio della tutela dell’affidamento come «ricaduta e declinazione “soggettiva”» della certezza del diritto, la quale, a propria volta, integra un «elemento fondamentale e indispensabile dello Stato di diritto», è connaturato sia all’ordinamento nazionale, sia al sistema giuridico sovranazionale”.
Un richiamo importante alla certezza del diritto e al rispetto dei principi fondamentali del giusto processo, riaffermando il principio secondo cui le modifiche legislative in materia probatoria devono rispettare le garanzie costituzionali della difesa e della parità delle parti.
In particolare, la Corte ha chiarito che anche una disciplina apparentemente “futura” può produrre effetti in contrasto con l’ordinamento, ove incida su situazioni processuali già formatesi.