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REDDITO DI CITTADINANZA: NON È SEMPRE REATO LA FALSA DICHIARAZIONE

3 minuti, Redazione , 03/12/2021

Reddito di cittadinanza: non è sempre reato la falsa dichiarazione

Due sentenze delle Cassazione interpretano diversamente la normativa sulla rilevanza penale delle false dichiarazioni per ottenere il reddito di cittadinanza

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La normativa sul “reddito di cittadinanza”, prevede la reclusione da 2 a 6 anni,  per chi fa o utilizza dichiarazioni o documenti falsi  oppure  omette informazioni dovute al fine di ottenere indebitamente tale beneficio.  La sentenza 44366 del 30 novembre 2021  della  Corte di Cassazione  da una interpretazione restrittiva della  norma, intendeNdo che il reato sussiste solo quando la condotta ha il fine di ottenere il beneficio senza averne il diritto.

 Non è punibile invece con la reclusione una dichiarazione attraverso la quale il soggetto percepisce il RDC in misura maggiore  rispetto a quanto effettivamente dovuto  . I giudici si discostano in questo modo da una precedente pronuncia sulla stesso tema. Vediamo piu in dettaglio di cosa si tratta 

Omesse dichiarazioni e diritto al Reddito di Cittadinanza Sentenza 44366 2021 

Nel caso giunto all'attenzione della suprema corte  era stata sequestrata la carta   RDC di un nucleo familiare per il quale la richiedente non aveva fatto menzione  del fatto  che il padre era detenuto. Il fatto comportava un calcolo dell'importo di RDC in misura maggiore  di quanto avverebbe con la dichiarazione veritiera della situazione  Infatti  secondo il dl 4 2019 i membri del nucleo familiare sottoposti a tdetenzione non devono essere conteggiati  quindi il reddito ricevuto dalla famiglia era superiore al dovuto.

Il ricorso della richiedente si rifaceva  la testo della norma che parla  letteralmente di "beneficio indebitamente percepito"  e faceva presente che  invece nel caso di specie 

Non sarebbe reato quindi fornire informazioni false o incomplete  se non influiscono sull diritto di accesso al reddito  di cittadinanza,  pur causando la percezione di un importo maggiore 

Il contrasto con il precedente Cass.5289 2020

La sentenza cambia orientamento rispetto alla precedente Cass. n. 5289/2020) per la quale  la sanzione penale costituirebbe la reazione  automatica da parte dell’ordinamento a una forma di violazione del patto di leale cooperazione che sarebbe intercorso fra il cittadino e l’amministrazione   e come tale non deve fare riferimento all'effettivo raggiungimento dello scopo (la percezione del reddito)

La nuova sentenza spiega che nella precedente sentenza" la Corte ha ritenuto che le fattispecie incriminatrici previste dall'art. 7 del decreto-legge n. 4 del 2019 trovino applicazione indipendentemente dall'accertamento della effettiva sussistenza delle condizioni per l'ammissione al beneficio e in particolare, dall'accertamento del superamento delle soglie reddituali di legge; si è altresì osservato che, siffatto indirizzo neppure è posto in crisi dalla formulazione letterale della disposizione in questione, la quale, per le violazioni di cui al comma 1 (che più direttamente interessano la fattispecie ora in esame), si riferisce "al fine di ottenere indebitamente il beneficio", atteso che il riferimento deve essere inteso come diretto a qualificare i dati che sono in sé rilevanti ai fini del controllo, da parte della amministrazione erogante, della ricorrenza delle condizioni per il riconoscimento ed il mantenimento del beneficio. Ciò, si precisa conclusivamente, in quanto il legislatore ha inteso creare un meccanismo di riequilibrio sociale il cui funzionamento presuppone necessariamente una leale cooperazione fra cittadino ed Amministrazione, che sia ispirata alla massima trasparenza"

Il collegio non conorda con tale precedente  , affermando che " Appare, pertanto, più in linea con i principi di ordine costituzionale in tema di necessaria offensività del reato il ritenere che con l’espressione “al fine di ottenere indebitamente il beneficio...” il legislatore abbia inteso tipizzare in termini di concretezza il pericolo che potrebbe derivare dalla falsità ovvero dalla omissività delle dichiarazioni presentate per il conseguimento del reddito di cittadinanza, nel senso che la loro rilevanza penale sarà sussistente nei soli casi in cui intenzione dell’agente era il conseguire, attraverso di esse, un beneficio diversamente non dovuto. Alla luce di tutto ciò viene rigettato il ricorso di un soggetto che aveva ottenuto il reddito di cittadinanza omettendo di dichiarare la circostanza per cui il padre era detenuto in carcere. I presupposti del sequestro penale conseguente al reato di cui al citato DL 4/2019 si fondano qui sul fatto che, ove si fosse tenuto conto, come doveroso, del dato omesso, portando questo a una diversa base di calcolo del suo status economico, tale soggetto non si troverebbe nelle condizioni reddituali per accedere al beneficio invece (“indebitamente” allo stato degli atti) erogato. In tali ipotesi è ammissibile un sequestro avente a oggetto la carta di debito sulla quale sono state riversate le relative rimesse finanziarie nonché le somme a tale titolo esistenti sulla predetta carta di debito.

La nuova sentenza conclude quindi per il rigetto del ricorso della richiedente relativo al sequestro della carta RDC.

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