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FINANZIAMENTO SOCI: SOLO L'ACCERTAMENTO DEI RICAVI IN NERO PERMETTE L'IMPUTAZIONE AI SOCI

Finanziamento soci: solo l'accertamento dei ricavi in nero permette l'imputazione ai soci

L’ordinanza 29893/2020 della Corte di Cassazione stabilisce che la ristretta base societaria rappresenta solo un indizio presuntivo che deve essere supportato da ulteriori elementi

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Partiamo dalla fattispecie, il finanziamento a titolo di mutuo effettuato dai soci alla propria società, disciplinato dal legislatore italiano con coerente semplicità nei suoi più banali aspetti civili e fiscali, per il quale si sottolinea solo la criticità della presunzione di fruttuosità, coerente con il fatto che tale finanziamento sia erogato a titolo di mutuo (per approfondire l’argomento si legga l’articolo Il trattamento fiscale degli interessi per finanziamenti dei soci alla società).

La Legge non ha un atteggiamento pregiudizievole nei confronti di questo strumento, diversamente dalla prassi, che vede in esso un canale di favore per nascondere movimentazioni extra contabili.

La prassi, supportata (forse troppo) spesso dalla giurisprudenza, ha creato un vero e proprio regime di sfavore per i versamenti a titolo di prestito effettuati dai soci, nel caso in cui la compagine sociale possa essere definita a ristretta base societaria.

In questo caso, presunte irregolarità formali (a riguardo si legga l’articolo A rischio i finanziamenti dei soci di SRL senza delibera dell’Assemblea), incapacità reddituale o finanziaria dei soci, o altri elementi indiziari, possono essere considerati sufficienti per riqualificare questi finanziamenti come ricavi in nero e la loro restituzione come distribuzione di utili extra contabili.

Ma forse a tutto c’è un limite, perché l’interessante ordinanza della Corte di Cassazione numero 29893 del 30 dicembre 2020, mette un freno alla prassi sul tema, attribuendo alla svantaggiata situazione di ristretta base societaria, almeno per quanto riguarda l’imputazione ai soci del presunto maggior reddito, un carattere indiziario e non presuntivo.

Nel caso in esame (all’interno di una più vasta contestazione dell’Agenzia delle Entrate nei confronti di una società a responsabilità limitata) i finanziamenti effettuati dai soci alla società venivano sottoposti a IRES come ricavi non contabilizzati e, per la parte rimborsata, sottoposti a IRPEF come incasso di dividenti extra bilancio, per il solo fatto che la compagine sociale era composta da un numero esiguo di soci.

La società portava a sua discolpa le schede contabili, da cui si evincevano in buona parte movimentazioni tracciate, una chiara destinazione del finanziamento, e la coerenza con la capacità finanziaria dei soci. La Commissione tributaria regionale, ritenendo che non ci fossero elementi sufficienti per riqualificare questi movimenti finanziari come ricavi in nero, rigettava la contestazione.

L’Agenzia delle Entrate ricorre allora in cassazione ma la corte respinge il ricorso, confermando la mancanza di elementi a supporto della “prova preventiva” costituita dalla ristretta base societaria, e precisando che “in assenza di accertamento di redditi non contabilizzati in capo alla società, viene a mancare, di riflesso, la giustificazione per la ripresa a tassazione nei confronti dei soci, retrocedendo la ristretta base azionaria a mero indizio della contestata occulta ripartizione”.

La corte, in definita, ritiene esistere un collegamento ideale tra l’accertamento di ricavi in nero in capo alla società e la presunzione di distribuzione di utili extra contabili in favore dei soci, in presenza di ristretta base societaria; e, il venir meno della prima fa venir meno “il presupposto logico imprescindibile su cui poggiare il ragionamento presuntivo” per la seconda.

Il punto di vista della Commissione tributaria e quello della Corte di Cassazione sono facilmente condivisibili, ma ci si chiede come sia possibile che, per liberare il contribuente da una contestazione del genere, basata esclusivamente su presunzioni subordinate alla fattispecie della ristretta base sociale, sia necessario l’intervento della corte di legittimità.

La facilità con la quale si contestano i finanziamenti effettuati dai soci, per il solo fatto di essere in presenza di una società con una compagine sociale ristretta, basandosi solo su presunzioni, rende, di fatto, l’utilizzo di questo strumento un rischio concreto da soppesare con cautela.

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