Quando si parla di analisi di bilancio e di calcolo degli indici economico-finanziari, spesso si dà per scontato che i metodi siano universali e confrontabili a livello globale.
In realtà, la struttura del bilancio italiano, derivata dalla normativa civilistica e successivamente armonizzata con la riclassificazione CEE, presenta caratteristiche uniche che rendono ingannevole un confronto diretto con i bilanci redatti secondo principi contabili di altri Paesi.
Uno dei punti centrali riguarda la presenza di poste tipicamente italiane, che non hanno un equivalente diretto in molte altre nazioni:
- Crediti verso clienti e debiti verso fornitori: nel bilancio italiano questi valori hanno una discreta importanza - i crediti possono arrivare anche fino al 29% del capitale complessivamente investito mentre i debiti verso fornitori possono arrivare al 15% delle fonti di finanziamento e fino anche al 25% (o anche più) per imprese che fanno un massiccio ricorso a terzisti, trasportatori o servizi da terzi - e sono evidenziati in maniera distinta, mentre in altri modelli contabili, ad esempio quelli anglosassoni, vengono spesso aggregati o riclassificati in categorie più generiche di “current assets” e “current liabilities”, dal momento in cui il loro ammontare è relativo, data praticamente l’assenza di dilazioni di pagamento da parte dell’azienda fornitrice.
- TFR (Trattamento di Fine Rapporto, per la parte accantonata): questa voce, che rappresenta una forma di debito differito verso i dipendenti, è una peculiarità tutta italiana. In molti Paesi, le forme di accantonamento al personale sono gestite in modo diverso e non emergono nel bilancio d’esercizio con la stessa evidenza.
Qual'è la conseguenza di questa diversità?
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1) Perché gli indici di bilancio italiani non sono equiparabili a quelli internazionali
La conseguenza è che alcuni indici come ad esempio:
- ROI (Return on Investment),
- ROD (Return on Debts),
- Indice di indebitamento,
possono assumere significati diversi, perché il denominatore e/o il numeratore o ambedue, non sono costruiti su basi omogenee.
Confrontare un ROI italiano con uno anglosassone diventa quindi un esercizio fuorviante, a meno di un’accurata opera di riclassificazione e normalizzazione dei dati.
La conseguenza pratica è che gli indici calcolati su bilanci italiani non possono essere paragonati senza riserve a quelli di altri Paesi.
La stessa definizione di margine operativo, capitale investito, o indebitamento cambia in base alla struttura delle poste contabili.
Un esempio sul ROI economico dimostrerà l’assunto.
ROI economico = Reddito Operativo / Capitale Investito Netto
In Italia, il Capitale Investito Netto include anche i crediti verso clienti.
Negli standard IFRS/US GAAP, il capitale investito è calcolato spesso al netto di poste che in Italia hanno peso rilevante.
Esempio:
- Impresa italiana: Capitale investito netto = 10 mln € (inclusi 2 mln di crediti clienti). Reddito operativo = 1 mln €. ROI = 10%.
- Stessa impresa, riclassificata secondo schema anglosassone: Capitale investito netto = 8 mln € (non vi sono crediti clienti). ROI = 12,5%.
Da ciò si evince anche che, a parità di fabbisogni, il funzionamento di una azienda estera richieda meno capitali rispetto ad una equivalente italiana.
Inoltre la spinta verso l’uniformità contabile europea ha portato all’adozione della riclassificazione CEE di bilancio, con l’obiettivo di avvicinare i diversi sistemi nazionali.
Tuttavia, questo processo ha comportato anche delle perdite in termini di chiarezza per l’analisi.
In particolare, sono state eliminate due aree fondamentali che storicamente permettevano di leggere meglio le performance aziendali:
- la gestione straordinaria, che evidenziava i risultati legati a eventi eccezionali o non ricorrenti (plusvalenze da cessioni di immobili, indennizzi, minusvalenze, sopravvenienze ecc.).
- la gestione non operativa, utile per distinguere i proventi e gli oneri non direttamente legati al core business aziendale.
L’accorpamento di queste voci nel valore della produzione ha ridotto la capacità dell’analista di distinguere tra redditività caratteristica e risultati frutto di eventi isolati.
In estrema sintesi per l’imprenditore o il consulente, la standardizzazione e l’allineamento alle logiche contabili europee ha comportato che:
- è necessario contestualizzare i numeri;
- occorre fare un distinguo tra MOL ed EBITDA e tra MON e EBIT;
- i benchmark, soprattutto se internazionali (si vedano tutti gli indici internazionali, a partire dallo Z-Score) hanno senso solo se i bilanci vengono resi omogenei con criteri coerenti;
- il rischio di trarre conclusioni errate è elevato.
L’analisi di bilancio rimane uno strumento potentissimo, ma solo se usato con consapevolezza.
Applicare meccanicamente gli stessi indici a bilanci redatti secondo logiche diverse rischia di generare illusioni piuttosto che informazioni utili.
Nel nuovissimo libro " Guida alla Consulenza d’Impresa", edizioni Maggioli, si affrontano dettagliatamente questi argomenti in uno specifico capitolo, con esempi sul corretto calcolo di diversi indici di bilancio ed infine con l’auspicio di una loro armonizzazione, vista anche una ampia soggettività nella loro interpretazione, senza esclusioni per la dottrina.
La presentazione del libro si è svolta il 10 ottobre a Giulianova (TE).
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