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RIFORMA GIUSTIZIA TRIBUTARIA: ONERE DELLA PROVA PER L'ENTE IMPOSITORE

Riforma Giustizia Tributaria: Onere della prova per l'Ente impositore

L'ente impositore deve motivare le sue pretese dando prova in giudizio delle violazioni contestate con l’atto impugnato

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Pubblicata in GU n 204 del 1 settembre la  Legge n 130 del 31 agosto 2022 che entra il vigore dal 16 settembre recante Disposizioni in materia di giustizia e di processo tributario.

L’art. 6 della legge di riforma del processo tributario introduce un’importante novità in materia di prove: l’ente impositore “prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato” ai sensi del nuovo comma 5-bis dell’art. 7 del d.lgs.31.12.1992, n. 546.

La norma, per completezza, è correlata anche all’introduzione della prova testimoniale a favore del contribuente, di cui al precedente comma 4. Quindi, l’ente impositore deve motivare le sue pretese soggiacendo alla possibile prova testimoniale che può essere frapposta dal contribuente al fine di garantire un piano di parità tra le parti del processo tributario.

1) Le regole a cui deve sottostare l'atto impositivo

Le violazioni che sono contestate con l’atto impugnato devono essere provate in giudizio. Il principio non è nuovo: secondo l’art. 7 della l. 27.7.2000, n. 212, “gli atti dell’amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dall’art. 3 della l. 7.8.1990, n. 241, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione”.

La norma precisa che la decisione del giudice tributario deve essere fondata “sugli elementi di prova che emergono nel giudizio”. Inoltre, l’atto impositivo è annullato nei seguenti casi:

  1. se la prova della sua fondatezza manca;
  2. se la prova non è contraddittoria;
  3. se la prova è comunque insufficiente a dimostrare in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni.

Da una prima lettura, la norma afferma soltanto un principio poiché, di fatto, l’impugnazione dell’atto impositivo è subordinata alle seguenti regole:

  • il ricorso deve indicare i motivi dell’opposizione (art. 18, comma 2, lett. e), del d.lgs 31.121992, n. 546) per cui il contribuente immediatamente deve contestare la pretesa fiscale presente nell’atto impugnato;
  • l’integrazione dei motivi del ricorso è ammessa soltanto se è resa necessaria dal deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine della commissione (art. 24, comma 2, successivo).

L’emissione dell’avviso di accertamento, pertanto, è già preceduta da una fase istruttoria preliminare dei presupposti impositivi, degli elementi fattuali e delle ragioni giuridiche in relazione ai presupposti di fatto e di diritto dei rilievi posti a carico del contribuente. Di conseguenza è ben difficile ipotizzare che, dopo avere notificato l’atto impositivo e dopo che, conseguentemente, il contribuente si è costituito in giudizio, l’ente impositore unitamente all’atto di controdeduzioni, ovvero in tale atto, debba provare ancora una volta la correttezza del proprio operato.

Non sembra corretto interpretare il comma 5-bis nel senso che è possibile derogare alla regola di compiuta e completa motivazione del ricorso introduttivo cioè consentendo al contribuente di notificare la propria opposizione alla pretesa fiscale con una motivazione apparente confidando sul fatto che l’ente impositore, adeguandosi alla norma,   “prova in giudizio le violazioni contestate” con la speranza che il giudice annulli l’avviso di accertamento in quanto nel giudizio la controparte non abbia dimostrato ulteriormente le proprie ragioni.

Semmai una chiave interpretativa  può essere rappresentata dall’utilizzazione meditata delle presunzioni che possono essere state indicate nell’atto impositivo per legittimare la pretesa: le presunzioni non stabilite dalla legge devono essere gravi, precise e concordanti, come è affermato dall’art. 2429 del codice civile. Pertanto, il funzionario dell’ente impositore deve soppesare attentamente le prove che intende utilizzare le quali devono essere fondate e oggettive e non contraddittorie e/o lacunose, anche in relazione alla procedura di reclamo-mediazione: il contribuente già espone le proprie ragioni di opposizione nel ricorso-reclamo e/o nella procedura di mediazione per cui, se la motivazione del rigetto del reclamo è labile o carente, l’ente impositore è condannato a pagare le spese processuali.

2) La motivazione a carico del contribuente

Con la riforma, a carico del contribuente è posto l’onere della prova cioè egli deve “fornire le ragioni della richiesta di rimborso” di somme che egli ha pagato. La norma esclude tale incombenza per gli importi che egli ha versato in via provvisoria in base agli accertamenti che ha impugnato, cioè le somme versate in pendenza del giudizio secondo la normativa vigente.  

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Fonte immagine: Foto di succo da Pixabay
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