Anche l’ultima revisione delle sanzioni amministrative (era già capitato con quella entrata in vigore nel 2016) si è scordata delle violazioni relative al monitoraggio fiscale, nonostante le sanzioni oggi previste violino palesemente il principio di proporzionalità.
Ci si riferisce, in particolare, alle penalità stabilite dall’articolo 5, comma 2, del Dl 167/1990: si tratta dei casi in cui il contribuente omette di indicare (o indica parzialmente) nel quadro RW della dichiarazione dei redditi gli investimenti esteri e le attività estere di natura finanziaria suscettibili di produrre redditi di fonte estera imponibili in Italia, nonché le cripto-attività (ovunque) detenute.
La sanzione prevista ammonta dal 3 per cento al 15 per cento dell'importo non dichiarato e risulta raddoppiata nel caso di attività di natura finanziaria o investimenti detenuti in “paradisi fiscali”.
Va notato che la penalità, in determinati casi, può risultare talmente elevata da “erodere” gran parte del valore delle attività finanziarie o degli investimenti esteri.
Risulta pertanto evidente la violazione del principio di proporzionalità. Principio quest’ultimo, coniato a livello unionale, secondo il quale la misura della sanzione deve essere adeguata rispetto alla gravità della violazione commessa, non potendo creare un sacrificio eccessivamente gravoso per il soggetto che non ha rispettato le prescrizioni normative.
La restrizione di una libertà fondamentale deve infatti rispondere all’intento di raggiungere in modo coerente e sistematico l’obiettivo da essa perseguito.
Leggi l'approfondimento di Maurizio Nadalutti su Blastonline.it

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