La recente Rsposta a interpello n. 276/2025 dell'Agenzia delle Entrate affronta la complessa questione della disciplina IVA applicabile in caso di consecuzione tra procedure concorsuali, specificamente tra un concordato preventivo avviato prima della riforma del c.d. Decreto Sostegni-bis e una successiva liquidazione giudiziale.
L'Agenzia, pur confermando l'applicazione del regime previgente (ante 26 maggio 2021) in virtù del principio di consecuzione, introduce un'importante mitigazione per il credito falcidiato, consentendone il recupero IVA al momento della definitività dello stato passivo.
Se da un lato tale soluzione rappresenta un apprezzabile sforzo interpretativo in linea con i principi comunitari, dall'altro la rigida applicazione del criterio temporale per la disciplina generale solleva significative perplessità in merito alla compatibilità con il primato e l'effettività del Diritto Unionale, in particolare con il principio di neutralità dell'IVA.
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1) L'esame del caso specifico
La questione sottoposta all'Agenzia delle Entrate con l'interpello n. 276/2025 trae origine da una vicenda complessa ma non infrequente nella prassi della crisi d'impresa. Un creditore vantava un credito verso una società ammessa a concordato preventivo nel 2015.
La proposta concordataria, omologata nel 2016, prevedeva il pagamento parziale (10%) dei crediti chirografari.
Successivamente, nel 2024, la società debitrice è stata assoggettata a liquidazione giudiziale. In tale nuova procedura, il credito dell'istante è stato ammesso al passivo solo per la quota del 10%, essendo la restante parte (90%) considerata estinta per effetto della falcidia concordataria.
Il quesito verte sulla corretta individuazione del momento a partire dal quale il creditore può emettere la nota di variazione in diminuzione per recuperare l'IVA assolta sulla parte di corrispettivo non incassata, distinguendo tra la quota ammessa al passivo e quella falcidiata.
2) L'inquadramento normativo: la duplice disciplina dell'art. 26 D.P.R. 633/1972
Per comprendere la portata della risposta dell'Agenzia, è necessario richiamare la duplice disciplina che regola il recupero dell'IVA sui crediti non riscossi a causa di procedure concorsuali, come delineata dall'articolo 26 del D.P.R. n. 633/1972.
Regime ante 26 maggio 2021: la normativa precedente alle modifiche del D.L. n. 73/2021 (Decreto Sostegni-bis) subordinava la possibilità di emettere la nota di variazione in diminuzione all'accertamento definitivo dell'infruttuosità della procedura concorsuale.
Tale condizione, di fatto, costringeva i creditori ad attendere tempi estremamente lunghi, spesso coincidenti con la chiusura della procedura stessa, per poter recuperare l'imposta.
Regime post 26 maggio 2021: l'articolo 18 del Decreto Sostegni-bis, promulgato per adeguare il nostro diritto interno ai principi consolidati della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea (tra cui, CGUE, sentenza 23.11.2017, causa C-246/16, Di Maura e CGUE, sentenza 22.2.2018, causa C-396/16, T-2), ha introdotto il comma 3-bis all'art. 26, il quale consente al creditore di operare la variazione in diminuzione già a partire dalla data di apertura della procedura concorsuale (es. sentenza dichiarativa di fallimento, decreto di ammissione al concordato preventivo).
La norma transitoria (art. 18, comma 2, D.L. 73/2021) ha limitato l'applicazione di questa nuova e più favorevole disciplina alle sole procedure avviate a partire dal 26 maggio 2021.
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3) La soluzione dell'Agenzia delle Entrate
L'Agenzia delle Entrate, nella risposta n. 276/2025, fonda la propria analisi su due pilastri.
In primo luogo, l'Agenzia individua quale sia la disciplina applicabile ratione temporis. Richiamando la propria precedente prassi (risposta n. 234/2025) e la giurisprudenza di legittimità, afferma che la liquidazione giudiziale del 2024 e il concordato preventivo del 2015 costituiscono manifestazioni di un unico stato di insolvenza. Questo fenomeno, noto come "consecuzione tra procedure", comporta la retrodatazione degli effetti giuridici al momento di avvio della prima procedura. Di conseguenza, poiché la prima procedura è stata avviata nel 2015, l'Agenzia conclude che l'intera vicenda debba essere regolata dalla disciplina dell'art. 26 vigente ante 26 maggio 2021.
La vera novità della risposta risiede nella soluzione differenziata proposta per le due porzioni del credito:
1. Credito ammesso al passivo (10%): per questa quota, l'Agenzia applica pedissequamente il vecchio regime. Il creditore dovrà attendere "che sia definitivamente accertata l'infruttuosità della procedura in esame", conformemente alla prassi consolidata (circolari n. 77/E del 2000 e n. 8/E del 2017).
2. Credito falcidiato (90%): per la quota di credito non ammessa al passivo della liquidazione giudiziale perché già estinta dalla falcidia concordataria, l'Agenzia compie un'operazione interpretativa di notevole pregio. Sostiene che il creditore possa emettere la nota di variazione "dal momento in cui diventa definitivo il decreto di formazione ed esecutività dello stato passivo". La motivazione è che tale atto sancisce in modo formale e definitivo l'irrealizzabilità della pretesa creditoria, realizzando così quella "ragionevole certezza dell'incapienza del patrimonio del debitore" che la prassi (risposta n. 102/2022) equipara all'infruttuosità della procedura.
Nella risposta in commento si legge: <<la definitività del ''decreto di formazione ed esecutività dello stato passivo'' sancisce, di fatto, l'irrealizzabilità della pretesa creditoria con riguardo al credito ''falcidiato'', che non subirà alcun effetto dalle vicende che caratterizzano la procedura di liquidazione giudiziale; la definitività della sorte dell'importo falcidiato determina, in buona sostanza, il verificarsi della ragionevole certezza dell'incapienza del patrimonio del debitore analogamente a quanto accade in presenza di una procedura concorsuale rimasta infruttuosa>>.
Questa interpretazione, sebbene formalmente ancorata al concetto di "infruttuosità", di fatto anticipa significativamente il momento del recupero per la parte di credito definitivamente non più esigibile, mitigando la rigidità del vecchio regime.
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4) Conclusioni
La soluzione prospettata dall'Agenzia delle Entrate, pur apprezzabile per lo sforzo di contemperare il dettato normativo con esigenze di ragionevolezza, non va esente da critiche, soprattutto se analizzata alla luce dei principi cardine del sistema unionale dell'IVA.
Il principio di neutralità fiscale, pilastro del sistema comune dell'IVA, impone che il soggetto passivo sia interamente sgravato dall'onere dell'imposta dovuta o assolta nell'ambito delle sue attività economiche (Cass. Civ., Sez. 5, N. 27814 del 22-09-2022).
Come corollario, l'Amministrazione finanziaria non può riscuotere un importo IVA superiore a quello effettivamente percepito dal soggetto passivo [Risposta n. 268 del 29/03/2023]. La Corte di Giustizia ha costantemente ribadito che il diritto alla detrazione (e, per estensione, alla rettifica della base imponibile in caso di non pagamento) è parte integrante del meccanismo IVA e non può essere limitato da normative nazionali che ne rendano l'esercizio eccessivamente difficile o, di fatto, impossibile (CGUE, sentenza 7.3.2024, causa C-341/22, Feudi di San Gregorio Aziende Agricole; CGUE, sentenza 25.5.2023, causa C-114/2022, Dyrektor Izby Administracji Skarbowej w Warszawie (TVA - Acquisition fictive); CGUE, sentenza 15.9.2022, causa C-227/21, HA.EN.; CGUE, sentenza 24.2.2022, causa C-582/20, SC Cridar Cons; Cass. Civ., Sez. 5, N. 27038 del 08-10-2025; Cass. Civ., Sez. 5, N. 27814 del 22-09-2022).
Subordinare il recupero dell'IVA all'esito finale di una procedura di liquidazione giudiziale, che può durare molti anni, si pone in evidente frizione con il principio di effettività del diritto alla rettifica.
La riforma del 2021 è stata introdotta proprio per sanare questo vulnus e allineare l'ordinamento italiano alla Direttiva IVA (2006/112/CE). L'interpretazione dell'Agenzia, ancorando l'applicabilità della nuova norma alla data formale di avvio della procedura, perpetua per le situazioni "a cavallo" una distorsione che il legislatore intendeva eliminare.
L'argomento fondato sulla "consecuzione delle procedure" è un istituto di diritto interno che non può prevalere sul principio di supremazia del diritto unionale. Se la disciplina previgente è incompatibile con i principi unionali, il giudice nazionale (e, in sede interpretativa, l'Amministrazione stessa) ha l'obbligo di disapplicarla in favore della norma conforme al diritto dell'Unione [la primazia del diritto unionale e il conseguente obbligo di disapplicazione della norma interna ove non esperibile un’interpretazione conforme al predetto diritto discende direttamente dall'art. 4, comma 3, del Trattato sull'Unione europea (TUE), dalla "Dichiarazione n. 17" (rubricata “Dichiarazione relativa al primato”) allegata al TUE, dagli artt. 11 e 117, comma 1, della Costituzione, dall’art. 1, comma 1, della Legge 7.8.1990, n. 241, e, da ultimo, dall'art. 1, comma 1, della Legge 27.7.2000, n. 212 ("Statuto dei diritti del contribuente"].
La rigidità della norma transitoria, che lega l'applicazione del nuovo regime alla data del 26 maggio 2021, crea una disparità di trattamento irragionevole tra creditori che si trovano nella medesima situazione sostanziale (credito non pagato a causa di insolvenza del debitore), basata unicamente su un dato temporale formale.
Tale approccio formalistico appare in contrasto con la giurisprudenza della Corte di Cassazione, la quale, anche in altri contesti, ha affermato che il diritto alla detrazione IVA deve essere tutelato in modo "sostanziale ed effettivo", a fronte di una reale operazione sottostante, essendo meno rilevante l'osservanza di meri obblighi formali (Cass. Civ., Sez. 5, N. 18642 del 03-07-2023).
La stessa evoluzione giurisprudenziale in materia di falcidiabilità dell'IVA nei concordati, inaugurata dalla celebre sentenza Degano Trasporti (C-546/14), ha dimostrato come la Corte di Giustizia privilegi un approccio pragmatico, volto a massimizzare il recupero del credito erariale in un contesto di crisi, superando i dogmi dell'intangibilità assoluta.
L'interpretazione dell'Agenzia, pur muovendo un passo in questa direzione per il credito falcidiato, rimane ancorata a presupposti che appaiono superati dallo spirito della normativa unionale.
In conclusione, la risposta n. 276/2025, se da un lato offre una soluzione operativa lodevole per il recupero dell'IVA sulla quota di credito falcidiata, dall'altro conferma una posizione di retroguardia per quanto riguarda l'applicazione generale della nuova disciplina. È prevedibile che tale impostazione genererà un significativo contenzioso, in cui i contribuenti chiederanno la disapplicazione della norma transitoria e l'applicazione diretta del più favorevole comma 3-bis dell'art. 26 anche alle procedure in corso prima del 26 maggio 2021, in ossequio al primato del Diritto Unionale e ai principi di neutralità ed effettività che governano l'imposta sul valore aggiunto.
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