La recente ordinanza della Corte di Cassazione, sezione Tributaria, n. 27138 del 9 ottobre 2025 offre una sistematizzazione di principi fondamentali del contenzioso tributario, consolidando orientamenti giurisprudenziali di grande rilievo per la dottrina e per gli operatori del diritto.
La pronuncia si articola su tre distinti ma interconnessi profili.
In primo luogo, la Corte ribadisce una lettura restrittiva e costituzionalmente orientata della sanzione di inammissibilità per omessa sottoscrizione del ricorso, escludendola qualora il vizio non sia “materiale e totale” (rif. alla Corte Costituzionale con la storica sentenza n. 189/2000).
In secondo luogo, la Corte evidenzia che l'erronea declaratoria di inammissibilità in primo grado non costituisce un’ipotesi di rimessione tassativa al giudice di prime cure, imponendo al Giudice di appello di decidere la causa nel merito in virtù dell’effetto devolutivo di tale mezzo d'impugnazione (art. 59 D.Lgs. n. 546/1992).
Infine, sul piano sostanziale, la Corte conferma la nullità dell'avviso di accertamento emesso in violazione del termine dilatorio di 60 giorni previsto dallo Statuto dei Diritti del Contribuente, escludendo la necessità di una “prova di resistenza” da parte del contribuente (art. 12, comma 7, L. 212/2000) e negando che l’imminenza della scadenza dei termini di accertamento possa configurare una valida ragione d’urgenza.
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1) Il caso
La vicenda processuale trae origine dall'impugnazione di un avviso di accertamento con cui l’Amministrazione finanziaria riprendeva a tassazione, ai fini IRPEF, IVA e IRAP, un maggior imponibile desunto da indagini bancarie.
Il contribuente eccepiva in via preliminare la nullità dell’atto per violazione del termine dilatorio di 60 giorni di cui all’art. 12, comma 7, della L. 212/2000.
L’Ufficio, costituendosi in giudizio, eccepiva a sua volta l’inammissibilità del ricorso introduttivo per mancata sottoscrizione da parte del difensore sulla copia notificata, ai sensi dell’art. 18 del D.Lgs. n. 546/1992.
L’allora Commissione Tributaria Provinciale (CTP) accoglieva l’eccezione dell’Ufficio, dichiarando il ricorso inammissibile e dichiarando assorbita ogni questione di merito.
Il contribuente proponeva appello dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale (CTR), contestando unicamente la statuizione processuale di inammissibilità e chiedendo la rimessione della causa al primo giudice.
L’allora Commissione Tributaria Regionale (CTR) accoglieva il gravame, ritenendo ammissibile il ricorso originario.
Tuttavia, anziché rimettere la causa alla CTP, procedeva all’esame del merito e, accogliendo il motivo di ricorso del contribuente assorbito in primo grado, dichiarava la nullità dell’avviso di accertamento per violazione del termine dilatorio di 60 giorni, specificando che l’imminente scadenza dei termini di accertamento non costituisce ragione di particolare urgenza idonea a derogare a tale garanzia.
L’Agenzia delle Entrate ricorreva per Cassazione, affidandosi a tre motivi:
(i) la violazione dell’art. 182 c.p.c., per non aver la CTR ordinato la rinnovazione dell'atto viziato prima di decidere nel merito.
(ii) la violazione dell’art. 100 c.p.c., per aver la CTR deciso nel merito anziché dichiarare l’inammissibilità dell’appello per carenza di interesse, non rientrando il vizio di sottoscrizione tra le ipotesi tassative di cui all’art. 59 del D.Lgs. n. 546/1992.
(iii) La violazione dell’art. 12, comma 7, della L. 212/2000, per non aver la CTR considerato l’assenza di ricadute sostanziali della violazione formale, omettendo di richiedere al contribuente la c.d. “prova di resistenza”.
La Corte di Cassazione (Ordinanza n. 27138/2025) ha rigettato integralmente il ricorso dell’Agenzia, confermando la decisione della CTR, seppur integrandone la motivazione.
L'ordinanza in commento si segnala per la sua capacità di offrire una sintesi organica e chiara su tre questioni di grande rilevanza pratica e dogmatica, consolidando principi cardine del diritto processuale tributario.
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2) La sottoscrizione del ricorso
Nell’esaminare il primo motivo, la Corte ha affrontato il tema dell’inammissibilità del ricorso per vizio di sottoscrizione. L’art. 18, comma 3, del D.Lgs. n. 546/1992 impone, a pena di inammissibilità, la sottoscrizione del ricorso da parte del difensore.
La Corte, tuttavia, ha ribadito la necessità di un’interpretazione restrittiva della sanzione, in armonia con il principio costituzionale di limitazione delle irragionevoli sanzioni di inammissibilità (Corte Cost. n. 189/2000).
Il vizio che conduce all’inammissibilità deve essere inteso come una <<mancanza radicale e totale del requisito>>.
Di conseguenza, la sanzione non opera quando la paternità dell’atto sia comunque riconducibile al difensore.
Nel caso di specie, la sottoscrizione era presente sull’originale depositato in CTP, sebbene assente sulla copia notificata all'Ufficio.
Tale circostanza è stata ritenuta sufficiente a sanare il vizio, in quanto l’Ufficio aveva la possibilità di consultare l’originale depositato.
Ciò, per la verità, non può stupire, atteso che la giurisprudenza di legittimità ha da tempo sposato questa opzione ermeneutica, escludendo l’inammissibilità in casi analoghi, come quando la copia notificata è una fotocopia dell’originale sottoscritto (Cass. n. 4315/2011) o quando la firma, pur mancando in calce, è apposta per autenticare la procura a margine, assumendo così la paternità dell’atto (Cass. n. 20619/2019).
Il principio è che la sanzione scatta solo se la mancanza della sottoscrizione è <<materiale e totale>> e la paternità non sia desumibile da altri elementi dell’atto stesso.
Al contrario, la giurisprudenza di merito ha correttamente dichiarato l’inammissibilità in casi di assenza totale della firma sia sull’originale depositato sia sulla copia notificata, non potendosi in alcun modo stabilire il nesso tra l’atto e il suo autore apparente (Corte Giustizia Tributaria 1° grado Cosenza, sent. n. 1063/2022).
3) L’appello ed il suo effetto devolutivo
Esaminando il secondo motivo di ricorso, la Corte ha potuto riaffermare la natura tassativa delle ipotesi di rimessione della causa al primo giudice, disciplinate dall’art. 59 del D.Lgs. n. 546/1992.
La Corte ha chiarito che l’erronea declaratoria di inammissibilità per un vizio formale, come quello della sottoscrizione, non rientra in tali ipotesi.
Questo principio è coerente con la natura del giudizio di appello, dominato dall’effetto devolutivo, che trasferisce al giudice superiore la cognizione piena della lite per una rivalutazione.
La CTP, pronunciandosi solo in rito, aveva assorbito le questioni di merito.
Di conseguenza, una volta rimossa la statuizione processuale, la CTR aveva il potere e il dovere di decidere la controversia nel merito, analizzando le censure rimaste assorbite.
La Corte ha altresì precisato che il difetto di interesse a impugnare (ex art. 100 c.p.c.) per soli vizi di rito si configura solo quando il giudice di primo grado abbia deciso anche nel merito in senso sfavorevole all’appellante, e il vizio denunciato non comporti una rimessione obbligatoria (Cass. n. 2302/2016). Poiché nel caso di specie la CTP non si era pronunciata sul merito, il contribuente aveva pieno interesse a contestare la decisione processuale che gli precludeva l’accesso alla giustizia sostanziale.
La tassatività delle ipotesi di rimessione è un principio cardine volto a garantire la ragionevole durata del processo, evitando regressioni alla fase di primo grado se non nei casi eccezionali previsti dalla legge, come il litisconsorzio necessario pretermesso.
4) Il termine dilatorio e la prova di resistenza
Infine e nell’esaminare l’ultimo mezzo di impugnazione, la Corte ha confermato la nullità dell’avviso di accertamento emesso in violazione del termine dilatorio di 60 giorni previsto dall'art. 12, comma 7, della L. 212/2000 (Statuto dei Diritti del Contribuente).
Tale termine è posto a presidio del contraddittorio preventivo, consentendo al contribuente di presentare osservazioni dopo la conclusione delle attività di verifica.
Due sono i corollari fondamentali che si possono ritrarre dalla pronuncia in esame:
(i) l’imminente scadenza dei termini per l’accertamento non integra una “ragione di particolare urgenza” che possa giustificare la deroga al termine dilatorio;
(ii) la nullità dell’atto emesso "ante tempus" è conseguenza del fatto che il termine dilatorio di 60 giorni è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale, come rilevato dalle Sezioni Unite civili nella sentenza 29 luglio 2013, n. 18184 costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il contribuente non è quindi tenuto a dimostrare che, se il termine fosse stato rispettato, l’atto impositivo avrebbe avuto un contenuto diverso.
In conclusione, l’ordinanza n. 27138/2025 si pone come un punto di riferimento essenziale, riaffermando un approccio al processo tributario che privilegia la sostanza sulla forma, garantisce la pienezza del diritto di difesa e rafforza le garanzie statutarie del contribuente, imponendo agli uffici un rigoroso rispetto delle regole procedurali e del contraddittorio.
Su quest’ultimo punto, si coglie l’occasione per rammentare che con l’odierno art. 6 bis della Legge n. 212 del 2000 (il cui inserimento è stato abbinato all’abrogazione del comma 7 dell’art. 12 della medesima Legge) non c’è più alcun dubbio che il contribuente non abbia l’onere della di fornire la c.d. “prova di resistenza”, atteso che la medesima norma prevede espressamente che l’avviso di accertamento è annullabile se emesso in violazione di un effettivo e informato contraddittorio endoprocedimentale.
E allora non può che riecheggiare il concetto speso dalla Corte di Cassazione sia nell’ordinanza in esame sia nella sentenza 5 maggio 2021, n. 11685: il Legislatore, nel momento in cui commina espressamente l’invalidità dell’atto impositivo per violazione del principio del contraddittorio endoprocedimentale, opera una valutazione ex ante in merito al rispetto del contraddittorio preventivo, che assorbe a monte la prova di resistenza.