In materia doganale, la nullità dell’atto impositivo per difetto di sottoscrizione non è prevista dall’ordinamento né può essere desunta in via analogica dall’art. 42 del D.P.R. 600/1973, disposizione riferita alle imposte dirette e, per rinvio, all’IVA.
In mancanza di una espressa comminatoria di nullità, opera la presunzione di riferibilità dell’atto all’organo amministrativo titolare del potere, salvo che sia allegata e provata un’usurpazione di potere da parte del firmatario.
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 18185/2025, interviene per chiarire definitivamente un punto che aveva diviso la giurisprudenza di merito: le nullità previste per gli atti tributari non si estendono automaticamente agli atti doganali.
In altri termini, il difetto di sottoscrizione non determina la caducazione dell’atto, a meno che non emerga una vera carenza di potere in capo al funzionario che lo ha firmato. La decisione segna un passo importante verso una lettura più rigorosa e coerente del sistema doganale, improntata al principio di tassatività delle nullità e alla presunzione di validità dell’azione amministrativa.
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1) I fatti di causa
La vicenda trae origine da una verifica doganale condotta dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli nei confronti di un operatore economico abitualmente impegnato nell’importazione di prodotti provenienti da Paesi extra-UE, tra cui corde in polipropilene di origine indiana.
Nel corso delle operazioni di sdoganamento, l’Amministrazione procedeva al prelievo di campioni di merce e, successivamente, alle analisi tecniche presso il Laboratorio Chimico di Roma. A seguito degli esiti delle verifiche, veniva contestata una errata classificazione doganale: la voce indicata in dichiarazione non corrispondeva a quella ritenuta corretta dall’Ufficio, che comportava l’applicazione di un dazio antidumping dell’82%.
L’Agenzia emetteva quindi atto di contestazione e irrogazione di sanzioni ai sensi dell’art. 330 del D.P.R. 43/1973 (Testo Unico delle disposizioni in materia doganale).
L’importatore, pur provvedendo al versamento dei maggiori diritti doganali, impugnava il provvedimento sanzionatorio deducendo — tra l’altro — la nullità dell’atto per vizio di sottoscrizione, in quanto firmato da un funzionario privo di valida delega al momento della sottoscrizione.
La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso, ritenendo che la delega di firma fosse scaduta al momento della sottoscrizione e che l’atto dovesse quindi considerarsi nullo.
La decisione veniva confermata in appello dalla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado, la quale riteneva applicabile alla fattispecie il principio sancito dall’art. 42 del D.P.R. 600/1973 in materia di imposte dirette, secondo cui la mancanza di sottoscrizione da parte del capo ufficio o di soggetto validamente delegato determina la nullità dell’atto impositivo.
Contro tale pronuncia l’Agenzia proponeva ricorso per Cassazione, sostenendo che la norma richiamata non potesse trovare applicazione in ambito doganale, poiché la nullità per vizio di sottoscrizione non è prevista per i tributi doganali e che, in mancanza di una previsione espressa, opera la presunzione di riferibilità dell’atto all’organo amministrativo che lo ha emanato.
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2) Motivazione della Cassazione
Nel decidere la controversia, la Corte di Cassazione ha affrontato la questione centrale relativa all’applicabilità, anche in materia doganale, del principio di nullità dell’atto impositivo per difetto di sottoscrizione, previsto dall’art. 42 del D.P.R. 600/1973 in tema di imposte sui redditi.
La Sezione tributaria ha chiarito che tale disposizione, unitamente al rinvio contenuto nell’art. 56 del D.P.R. 633/1972, si riferisce esclusivamente alle imposte dirette e all’IVA, senza possibilità di estensione ai tributi doganali, salvo un espresso richiamo legislativo. In assenza di tale previsione, la nullità dell’atto per mancanza di firma o di delega non può essere invocata in via analogica, trattandosi di norma di stretta interpretazione.
Il Collegio ha dunque richiamato il principio, ormai consolidato, della tassatività delle cause di nullità degli atti tributari: solo i vizi espressamente qualificati come tali dal legislatore comportano l’invalidità del provvedimento, mentre ogni altra irregolarità incide al più sul piano della legittimità, ma non ne determina la caducazione automatica.
Di conseguenza, in materia doganale — dove manca una specifica previsione normativa di nullità per difetto di sottoscrizione — trova applicazione la presunzione generale di riferibilità dell’atto all’organo amministrativo che ne è titolare. Tale presunzione viene meno solo se si dimostra un’usurpazione di potere, ossia che il firmatario dell’atto non apparteneva all’Ufficio emittente o ha agito del tutto al di fuori della propria competenza.
Nel caso di specie, la Corte ha rilevato che nessuna contestazione era stata mossa circa l’appartenenza del funzionario firmatario all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, sicché l’atto doveva ritenersi pienamente riferibile all’Amministrazione, a prescindere dalla validità temporale della delega di firma.
Richiamando precedenti conformi (Cass. n. 7077/2020; Cass. n. 22800/2015; Cass. n. 27873/2018), la Cassazione ha dunque ribadito che l’art. 42 D.P.R. 600/1973 non trova applicazione nei procedimenti doganali, e che eventuali difetti di sottoscrizione non possono comportare la nullità degli atti emessi dall’Agenzia delle Dogane, in mancanza di una norma che la preveda espressamente.
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3) Conclusioni finali
La scelta della Corte di Cassazione privilegia la funzionalità amministrativa rispetto al controllo di legalità, con l’effetto di rafforzare la posizione dell’Amministrazione doganale nei contenziosi.
Nella sostanza, il giudice di legittimità sembra voler consolidare un modello nel quale la forma cede il passo alla sostanza, purché l’atto resti riconducibile all’organo competente.
Resta tuttavia un nodo di fondo.
In un sistema, come quello doganale, che si muove fra diritto unionale, prassi amministrativa e principi tributari interni, la certezza delle competenze e la tracciabilità delle deleghe non costituiscono un mero formalismo, ma un presidio di equilibrio e di garanzia.
Eliminare ogni conseguenza in caso di violazione di tali regole rischia di ridurre il livello di tutela del contribuente e di lasciare troppa discrezionalità agli uffici.