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TCF: DALLA RIFORMA ALLA PRASSI, NUOVO PARADIGMA PER IMPRESE E PROFESSIONISTI

TCF: dalla riforma alla prassi, nuovo paradigma per imprese e professionisti

TCF: strumento di gestione del rischio fiscale

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L’evoluzione normativa degli ultimi anni ha introdotto una profonda revisione dell’adempimento collaborativo, aprendo la strada a un nuovo regime basato sul Tax Control Framework (TCF). L’istituto, nato come presupposto per l’accesso alla cooperative compliance, si è trasformato in uno strumento di gestione preventiva del rischio fiscale accessibile anche a imprese di dimensioni più contenute. 

La certificazione obbligatoria del TCF da parte di professionisti indipendenti, le Linee guida dell’Agenzia delle Entrate e le misure transitorie varate nel 2025 hanno ridisegnato gli equilibri tra contribuenti e amministrazione finanziaria, con rilevanti impatti operativi e strategici per aziende e studi professionali.

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1) L’evoluzione normativa e l’ampliamento della platea

La disciplina del Tax Control Framework affonda le sue radici nel Dlgs 128/2015, che introdusse in Italia il regime di adempimento collaborativo, ispirato a esperienze straniere di cooperative compliance. 

L’obiettivo era favorire un rapporto improntato a trasparenza e fiducia reciproca tra amministrazione finanziaria e grandi contribuenti, spostando l’asse del controllo dalle verifiche a posteriori alla gestione preventiva dei rischi fiscali. 

In origine, tuttavia, il regime era riservato a una platea ristretta di imprese con ricavi molto elevati e con la capacità organizzativa di predisporre sistemi complessi di internal audit. 

Con i successivi interventi normativi, in particolare con il Dlgs 221/2023 e il Dlgs 108/2024, il legislatore ha progressivamente ampliato e rimodellato il perimetro applicativo, riducendo le soglie dimensionali per l’accesso e introducendo l’art. 7-bis, che consente alle imprese di adottare un TCF anche su base volontaria, indipendentemente dal raggiungimento dei requisiti di fatturato.

Il DM 6 dicembre 2024 ha fissato in dettaglio i requisiti di accesso al regime ordinario, scandendo un percorso graduale: 750 milioni di euro nel biennio 2024–2025, 500 milioni per il biennio 2026–2027 e 100 milioni a partire dal 2028. 

In parallelo, ha previsto l’ingresso dei gruppi che adottano un TCF integrato e certificato, nonché l’ammissione dei soggetti che si conformano alla risposta all’interpello “nuovi investimenti”. 

Ma la svolta decisiva è giunta con il DM 9 luglio 2025, che ha dato piena attuazione al nuovo regime opzionale, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 164 del 17 luglio e operativo dal 1° agosto 2025. 

Grazie a questo intervento, anche le imprese non rientranti nelle soglie ordinarie possono optare per l’adozione di un TCF documentato e certificato, ottenendo benefici in termini di non applicazione delle sanzioni amministrative (art. 7-bis, co. 2, lett. a), in presenza di interpello preventivo e comportamento conforme) e di rafforzamento della tutela penale, con esclusione dell’applicazione dell’art. 4 D.Lgs. 74/2000 e senza obbligo di notizia di reato ex art. 331 c.p.p., fuori dai casi di condotte simulatorie, fraudolente o di elementi passivi fittizi.

Ai fini della lettera a), la norma precisa che la comunicazione del rischio deve intervenire «prima della presentazione delle dichiarazioni fiscali o prima del decorso delle relative scadenze»

Per i soggetti destinatari del servizio di consultazione semplificata ex art. 10-nonies L. 212/2000, la preventiva presentazione della richiesta tramite la piattaforma telematica dedicata costituisce condizione di ammissibilità dell’interpello ordinario; resta fermo che le risposte rese nell’ambito di tale consultazione non producono effetti ai fini del riconoscimento dei benefici collegati al TCF. 

L’istanza di interpello deve inoltre essere presentata agli uffici competenti individuati dai provvedimenti del Direttore dell’Agenzia delle Entrate prot. n. 27/2016 e n. 47688/2018 e il riconoscimento dei benefici è subordinato all’ammissibilità dell’istanza stessa. 

L’opzione ha durata biennale, è irrevocabile e si rinnova tacitamente.

La comunicazione avviene esclusivamente in via telematica, attraverso l’apposito modello previsto dal DM 9 luglio 2025 e approvato con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate. Essa produce effetti fin dall’inizio del periodo d’imposta in cui è esercitata. 

Queste Linee guida, contenute nei provvedimenti del 10 gennaio 2025 e del 7 agosto 2025 (protocolli n. 321934 e n. 321940 per il settore assicurativo), definiscono i contenuti minimi del documento TCF e le modalità di mappatura dei rischi fiscali e contabili attraverso una Risk & Control Matrix (RCM). 

La RCM è costruita distinguendo tra entity-level e activity-level assessment, individuando rischi rilevanti, controlli di primo e di secondo livello e rischio residuo; il tutto è integrato da uno specifico servizio web che consente la compilazione assistita della mappatura e l’upload dei documenti previsti. 

Ai sensi dell’art. 4, co. 2, DM 9 luglio 2025, l’opzione è validamente effettuata solo se corredata di tutta la documentazione indicata dall’art. 2, co. 3 (documento attività, strategia fiscale, documento TCF, mappe dei processi e dei rischi, certificazione con data certa anteriore). 

In tal modo, la compliance fiscale si è trasformata in un processo continuo, che obbliga le imprese a integrare la gestione del rischio tributario nella governance aziendale e a documentarne l’effettiva operatività.

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2) La certificazione obbligatoria e il ruolo dei professionisti

Elemento qualificante del nuovo impianto normativo è la certificazione del TCF da parte di un professionista indipendente. Il DM 212/2024 ha istituito un elenco specifico, al quale possono iscriversi avvocati e dottori commercialisti della sezione A dell’albo, previa dimostrazione di requisiti di professionalità, onorabilità e indipendenza. Il certificatore è chiamato a verificare la coerenza del sistema predisposto dall’impresa rispetto alle Linee guida dell’Agenzia e a testarne l’efficacia operativa. Il suo ruolo non si limita a una mera attestazione formale: il professionista deve entrare nel merito dei processi aziendali, analizzare i flussi informativi, valutare la solidità dei controlli e redigere una relazione dettagliata con data certa anteriore all’esercizio dell’opzione. La certificazione ha durata triennale, ma richiede aggiornamenti periodici e la realizzazione di test di efficacia operativa (ToE) che devono coprire l’intero triennio.

Il legislatore ha previsto un regime sanzionatorio specifico per il caso di certificazioni infedeli, modellato su quello del “visto pesante” di cui al Dlgs 241/1997. 

Ciò significa che il professionista risponde non solo sul piano disciplinare, ma anche in termini patrimoniali e penali, ove concorra alla falsa rappresentazione di un TCF non effettivamente operativo. In occasione di Telefisco 2025, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che i test di efficacia possono essere effettuati annualmente, ma devono dimostrare la copertura integrale del triennio, a tutela della continuità dei controlli. 

La responsabilità del certificatore è quindi particolarmente gravosa, tanto più che l’Agenzia non entra più nel merito della valutazione del modello, limitandosi a verificare la completezza della documentazione e la sussistenza dei requisiti.

Questo spostamento di responsabilità ha reso centrale il ruolo del commercialista, che da consulente fiscale tradizionale diventa garante della qualità dei presidi aziendali.

Le difficoltà applicative non mancano. Da un lato, la standardizzazione dei requisiti rischia di generare modelli sovradimensionati per le PMI, con costi di implementazione significativi e difficoltà nella mappatura di processi meno complessi. 

Dall’altro, la disarmonia temporale tra la durata biennale dell’opzione e quella triennale della certificazione impone una pianificazione accurata delle scadenze, pena la perdita dei benefici. 

Sullo sfondo si colloca inoltre la fase transitoria: per le imprese che hanno presentato istanza nel 2024, è prevista, nell’ambito del correttivo fiscale in itinere, una proroga del termine per il deposito della certificazione al 30 giugno 2026, disposizione che allo stato non risulta ancora definitivamente perfezionata.

 A complicare il quadro vi è l’avvio graduale degli elenchi dei certificatori, istituiti e tenuti dagli Ordini professionali (CNDCEC e CNF) con aggiornamenti periodici, con inevitabili ricadute sui tempi di rilascio delle prime attestazioni

La disciplina prevede inoltre la decadenza dai benefici in caso di perdita dei requisiti o di mancato mantenimento di un TCF effettivamente operativo (art. 5 DM 9 luglio 2025). In presenza di modifiche organizzative di rilievo tali da rendere necessaria una revisione complessiva del sistema, l’impresa è obbligata a richiedere una nuova certificazione da parte di un professionista indipendente (art. 3, co. 3, DM 9 luglio 2025). Tali presidi rafforzano la solidità complessiva dell’istituto e ne assicurano la continuità nel tempo.

Questi elementi dimostrano come l’impianto normativo, pur solido nella struttura, necessiti ancora di chiarimenti interpretativi e di un periodo di assestamento per entrare a regime.

3) Impatti pratici, criticità aperte e prospettive future

L’adozione del TCF produce conseguenze che vanno ben oltre l’ambito sanzionatorio.

La possibilità di comunicare preventivamente all’Agenzia delle Entrate i rischi fiscali tramite interpello consente di neutralizzare l’applicazione di sanzioni amministrative e, in taluni casi, di attenuare le conseguenze penali, purché la condotta non sia fraudolenta e sia coerente con quanto rappresentato.

Ma il valore aggiunto più rilevante è rappresentato dal miglioramento della reputazione aziendale: un TCF certificato e coerente con le Linee guida rafforza la trasparenza verso il mercato, aumenta l’affidabilità nei confronti degli investitori e facilita operazioni straordinarie come fusioni, acquisizioni o quotazioni. Integrare la gestione del rischio fiscale nella strategia d’impresa significa, in definitiva, trasformare un obbligo di compliance in un asset competitivo, capace di generare valore anche al di fuori dell’ambito tributario.

Dal punto di vista professionale, i commercialisti sono chiamati a un salto di qualità. 

La costruzione della Risk & Control Matrix, l’assistenza nella predisposizione della documentazione richiesta, la pianificazione dei test di efficacia e la gestione degli interpelli preventivi rappresentano attività nuove e altamente specialistiche. 

Si tratta di un’evoluzione che impone agli studi di dotarsi di competenze multidisciplinari, che spaziano dal diritto tributario alla revisione contabile, dall’organizzazione aziendale alla gestione dei sistemi informativi. In questo contesto, il ruolo del professionista non è più confinato alla consulenza fiscale tradizionale, ma si estende alla garanzia della solidità complessiva dei presidi interni dell’impresa. 

La responsabilità è notevole, ma altrettanto importanti sono le opportunità: il TCF può essere integrato con altri modelli di compliance, come il Modello 231 e l’AEO in ambito doganale, consentendo di razionalizzare i controlli e di ridurre duplicazioni. 

Inoltre, la crescente attenzione alla sostenibilità fiscale e alla tax transparency rende il TCF uno strumento prezioso anche sul piano della rendicontazione non finanziaria.

Non mancano tuttavia le criticità. 

L’assenza di un credito d’imposta per i costi di implementazione e certificazione rischia di frenare l’adesione delle imprese medie, mentre la necessità di conciliare l’opzione biennale con la certificazione triennale può creare vuoti di copertura se non gestita con attenzione. 

Resta aperto il tema della gestione delle “aree di miglioramento” segnalate dal certificatore: l’Agenzia dovrà chiarire se la mancata tempestiva correzione di una debolezza organizzativa comporti o meno la decadenza dai benefici. 

Allo stesso modo, occorrerà definire in che misura le risposte agli interpelli possano fungere da presupposto per la non applicazione delle sanzioni, specie nei casi di rischi non univocamente disciplinati. 

Sul fronte politico e accademico si discute della possibilità di introdurre incentivi fiscali per sostenere la diffusione del TCF, ipotesi che, se attuata, potrebbe agevolare la partecipazione delle PMI. 

In definitiva, il successo del nuovo istituto dipenderà dalla capacità delle imprese di adattare i modelli organizzativi alle proprie specificità e dalla prontezza dei professionisti nell’assumere un ruolo di presidio e accompagnamento. 

Se ben implementato, il TCF può ridurre il contenzioso, aumentare la prevedibilità del prelievo e consolidare un rapporto di fiducia tra contribuenti e amministrazione, con benefici che si estendono all’intero sistema economico.

Fonte immagine: Chat GPT
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