Il Tax Control Framework evolve oltre il presidio fiscale: dalle nuove soglie di accesso ai TOE triennali, dalla certificazione autonoma per società di gruppo fino all’impatto sull’informativa finanziaria. Un passaggio che ridefinisce il rapporto tra imprese, professionisti e amministrazione.
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1) TCF e cooperative compliance: la nuova rotta dei controlli tra fisco e bilancio
Il regime di adempimento collaborativo è entrato in una fase decisiva: abbassamento delle soglie, ingresso per estensione nei gruppi, albi dei certificatori, linee guida settoriali e proroghe dei termini delineano uno scenario più inclusivo e strutturato.
Il Tax Control Framework, cardine del sistema, non presidia più soltanto il rischio fiscale: incide ormai in profondità sulla qualità dell’informativa finanziaria. Ne consegue che le imprese chiamate a certificare i propri modelli non possono più considerarlo un mero adempimento, ma un vero strumento di governance e trasparenza che dialoga con bilanci, principi contabili internazionali e aspettative del mercato.
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2) Il nuovo perimetro normativo e operativo
Il Tax Control Framework, introdotto dall’art. 7 del D.Lgs. 128/2015 e profondamente rivisto con i decreti legislativi del 2023 e del 2024, si è progressivamente trasformato in un sistema dinamico di gestione del rischio.
Il D.Lgs. 221/2023 e il D.Lgs. 108/2024 hanno ridisegnato la disciplina della cooperative compliance, prevedendo l’abbassamento graduale delle soglie di accesso - a 500 milioni dal 2026 e a 100 milioni dal 2028 - e l’ingresso per estensione ai gruppi, così da includere anche società prive di requisiti dimensionali propri.
Parallelamente, il Dm 212/2024 ha definito i requisiti dei certificatori, individuando nei commercialisti e negli avvocati abilitati i soggetti chiamati a garantire indipendenza e rigore nella validazione dei modelli. Sul piano pratico, nel 2025 si è registrata l’apertura degli albi professionali, con la pubblicazione dei primi elenchi e l’avvio dei corsi formativi organizzati congiuntamente dai Consigli nazionali.
Le linee guida diffuse dall’Agenzia delle Entrate, emanate il 7 agosto 2025 per il settore assicurativo, hanno tracciato standard operativi dettagliati; parallelamente, l’Agenzia sta lavorando all’elaborazione di linee guida specifiche per il settore bancario.
Il quadro di riferimento è stato delineato anche dal Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate n. 5320/2025, che ha fissato criteri e coordinate applicative del TCF utili anche ai profili di gruppo. Nel frattempo, è stata annunciata la possibile proroga al 30 giugno 2026 per le imprese che hanno presentato domanda nel 2024, misura che, se confermata in sede normativa, testimonierebbe la consapevolezza istituzionale dei tempi necessari per rodare una macchina complessa, destinata a incidere sul tessuto produttivo in modo capillare.
3) Il nuovo perimetro normativo e operativo
Uno dei passaggi più delicati riguarda la certificazione del TCF, che deve essere ottenuta da ciascuna società che intende aderire al regime, anche quando appartiene a un gruppo sotto direzione e coordinamento. Non è quindi sufficiente il bollino della capogruppo: ogni entità giuridica deve presentare una propria certificazione, a garanzia della responsabilità individuale. L’aggiornamento del modello è ancorato ai test di efficacia operativa, i cosiddetti TOE, che non possono limitarsi a fotografare l’ultimo esercizio ma devono coprire l’intero arco del triennio di validità della certificazione. In questo modo, i controlli risultano continuativi e coerenti, documentando non solo la presenza formale ma l’effettiva operatività dei presidi. Nei casi in cui intervengano modifiche organizzative di rilievo, la normativa impone una nuova certificazione, evitando che mutamenti aziendali significativi restino senza presidio. Per i professionisti, ciò significa pianificare verifiche periodiche, raccogliere elementi probativi solidi e garantire un approccio metodico, senza margini per superficialità.
4) Dal rischio fiscale alla qualità dell’informativa
Se la finalità originaria del TCF era quella di ridurre l’incertezza fiscale e di favorire un rapporto trasparente con l’amministrazione, oggi l’impatto più rilevante si manifesta sul terreno dell’informativa finanziaria. La mappa dei rischi e i controlli di processo incidono direttamente sulla coerenza e affidabilità dei bilanci, in particolare nelle aree più sensibili: la determinazione delle imposte correnti e differite, la riconciliazione tra aliquota teorica e tax rate effettivo e la gestione delle posizioni fiscali incerte, che richiedono tracciabilità delle valutazioni e documentazione coerente. Un TCF ben strutturato consente di documentare le assunzioni sottostanti, rendere tracciabili le valutazioni probabilistiche e assicurare che le scelte contabili siano coerenti con i trattamenti fiscali. La collaborazione tra Agenzia delle Entrate e Organismo Italiano di Contabilità, culminata nelle linee guida aggiornate del 2025, ha reso evidente questo legame: i controlli fiscali dialogano ormai con la disclosure contabile, contribuendo a migliorare la qualità delle informazioni fornite agli investitori, ai finanziatori e agli altri stakeholder.
5) Le sfide per imprese e professionisti
Per le imprese, la cooperative compliance è sempre meno un adempimento da esibire e sempre più un’infrastruttura di governance. Adottare un TCF efficace significa dotarsi di processi strutturati che riducono il rischio di errori, rafforzano la reputazione sul mercato e facilitano la gestione dei rapporti con l’amministrazione. Per le piccole e medie imprese che entreranno progressivamente nel regime, gli oneri organizzativi sono rilevanti, ma possono essere compensati da benefici concreti, anche grazie a possibili incentivi, come l’ipotesi di un credito d’imposta per la certificazione. Per i professionisti si apre un campo di attività nuovo e specializzato, in cui la certificazione del TCF richiede un approccio multidisciplinare che unisce diritto tributario, principi contabili, sistemi di controllo interno e valutazioni di governance. Il ruolo di avvocati e commercialisti diventa così di garanzia, non di consulenza, e ciò rappresenta un cambiamento culturale profondo nel rapporto tra imprese e fisco. In prospettiva, la cooperative compliance è destinata a diventare non solo uno strumento di certezza fiscale ma un fattore di qualità del reporting, con i controlli che fanno rotta sempre più chiaramente anche sul bilancio.