L’evoluzione del Tax Control Framework (TCF) ha consolidato il nesso strutturale tra compliance fiscale e qualità dell’informativa finanziaria.
Le riforme più recenti — dal rafforzamento del decreto legislativo 128 del 2015, come integrato dalla legge 111 del 2023 e dai decreti legislativi 221 del 2023 e 108 del 2024, fino al decreto ministeriale del 9 luglio 2025 e ai Provvedimenti dell’Agenzia delle Entrate del 10 gennaio e del 7 agosto 2025 — richiedono che i rischi contabili siano presidiati in modo espresso all’interno della mappa dei rischi fiscali. In questo quadro, la centralità del principio di derivazione rafforzata impone l’integrazione operativa tra il sistema di gestione dei rischi fiscali (Scigr-Tax) e l’internal control over financial reporting (ICFR/ICOFR).
Per i contribuenti che già applicano modelli Sarbanes–Oxley o legge 262/2005, l’adeguamento è prevalentemente di raccordo; per gli altri si apre un percorso di costruzione di presidi contabili funzionali al TCF.
Ne deriva un cambio di paradigma che trasforma il TCF in autentico strumento di governance.
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1) Tcf: la relazione tra compliance fiscale e qualità dell’informativa finanziaria
Negli ultimi anni il TCF si è imposto come snodo essenziale nel rapporto collaborativo tra contribuenti e Amministrazione.
La normativa e la prassi hanno progressivamente ampliato l’ambito di applicazione: dalla sola gestione dei rischi tributari in senso stretto si è passati all’integrazione con i controlli sull’informativa contabile, nella consapevolezza che la qualità dei dati finanziari è condizione indispensabile per la solidità del modello di compliance.
Questo vale tanto per i gruppi di grandi dimensioni quanto per le imprese che intendono accedere al TCF opzionale.
Sul piano delle fonti, il decreto legislativo 128 del 2015 ha introdotto l’adempimento collaborativo e, all’articolo 4, ha imposto che la mappatura dei rischi fiscali tenga conto dei principi contabili applicati.
La legge 111 del 2023 e i decreti legislativi 221 del 2023 e 108 del 2024 hanno poi irrobustito l’impianto, anche mediante l’inserimento dell’articolo 7-bis, favorendo il passaggio da assetti flessibili a un modello certificato su standard comuni.
Il decreto ministeriale del 9 luglio 2025 ha disciplinato il TCF opzionale, rendendolo accessibile anche a realtà non in possesso dei requisiti dimensionali, a fronte di una documentazione strutturata che comprende, tra l’altro, la mappa dei processi e la mappa dei rischi e dei controlli fiscali.
Sul versante attuativo, i Provvedimenti dell’Agenzia delle Entrate del 10 gennaio e del 7 agosto 2025 hanno fornito linee guida settoriali, istruzioni operative e schede tecniche.
Un aspetto centrale riguarda il rapporto tra il sistema di gestione dei rischi fiscali e l’ICFR.
Pur perseguendo finalità differenti, i due ambiti risultano strettamente complementari: il primo mira a prevenire violazioni tributarie, il secondo a garantire la correttezza e l’attendibilità dell’informativa contabile e finanziaria.
Secondo l’Amministrazione, il presidio dei rischi contabili può considerarsi soddisfatto qualora l’impresa disponga già di un sistema conforme alla legge 262 del 2005 o al Sarbanes–Oxley Act, purché esso sia formalmente richiamato nel TCF e opportunamente tracciato nella Risk Control Matrix.
In assenza di un ICFR preesistente, il requisito deve essere assolto attraverso presidi contabili integrati nel TCF, con mappatura dei processi e dei punti di rischio, definizione della materialità e cicli di test e monitoraggio.
La ratio di questa impostazione risiede nel principio di derivazione rafforzata, introdotto nel 2007 per i soggetti IAS/IFRS e poi esteso agli OIC adopter con il decreto-legge 244 del 2016, oggi formalizzato nell’articolo 83 del TUIR.
Ne discende che la determinazione del reddito imponibile è strettamente influenzata dalle scelte contabili: la qualità dell’informativa finanziaria produce effetti diretti sul piano fiscale e rafforza il legame operativo tra area contabile e tributaria, rendendo imprescindibile l’allineamento fra ICFR e TCF.
Quanto alla certificazione del TCF, il nuovo assetto distingue ambiti e oneri.
I contribuenti obbligati seguono le regole dettate dal regolamento attuativo previsto dall’articolo 4, comma 1-ter, del decreto legislativo 128 del 2015, con verifiche periodiche sul mantenimento dell’efficacia del sistema.
I soggetti esonerati dalla certificazione — in particolare quelli già ammessi al regime o che hanno presentato istanza prima dell’entrata in vigore dei decreti attuativi — sono comunque tenuti a un’attestazione dell’efficacia operativa con cadenza triennale.
In ogni caso, gli aggiornamenti annuali della Risk Control Matrix non richiedono una ricertificazione autonoma, ma rientrano nella manutenzione ordinaria e nel monitoraggio continuo dei controlli.
Il TCF opzionale, disciplinato dall’articolo 5 del decreto ministeriale 9 luglio 2025, presenta ulteriori specificità.
L’opzione ha durata biennale ed è rinnovata tacitamente per altri due anni, salvo revoca o decadenza. La documentazione, munita di data certa anteriore, deve essere trasmessa in via telematica.
Non è prevista una validazione preventiva: i requisiti e i benefici sono verificati ex post dall’Amministrazione e decadono in caso di documentazione carente o di presidi inefficaci.
Il decreto, inoltre, collega i benefici sanzionatori al corretto utilizzo degli strumenti di interlocuzione con l’Amministrazione, inclusa, ove ricorrano i presupposti, l’ammissibilità dell’istanza di interpello.
Sul piano applicativo, le schede tecniche congiunte OIC–Agenzia delle Entrate approvate con Provvedimento del 7 agosto 2025 hanno illustrato come le scelte contabili influenzino direttamente il trattamento fiscale in logica di derivazione rafforzata.
Il recesso anticipato da un contratto di commodity swap comporta l’iscrizione di componenti positivi da imputare secondo la corretta competenza contabile, con effetti temporali direttamente rilevanti ai fini IRES.
In tema di diritto di superficie, in mancanza di disciplina specifica, i corrispettivi periodici sono assimilati ai canoni di locazione e qualificati come ricavi e non come plusvalenze.
Per le obbligazioni convertibili, la necessaria scomposizione tra componente obbligazionaria e patrimoniale produce effetti sul risultato fiscale coerenti con la rappresentazione contabile adottata.
Questi casi confermano che i controlli fiscali e contabili non possono più essere gestiti come compartimenti separati: devono confluire in un processo unitario di gestione del rischio, coerente con la mappa dei rischi e dei controlli del TCF e con i criteri di materialità e testing.
Per le imprese di minori dimensioni, l’abbassamento delle soglie permette l’adozione del TCF opzionale senza introdurre una “semplificazione minima standardizzata” dei presidi contabili.
La prassi consente soluzioni proporzionate alle caratteristiche dell’impresa: anche le aziende più piccole sono chiamate a implementare un set essenziale di controlli sui processi maggiormente esposti, tipicamente ciclo acquisti e vendite, immobilizzazioni, fondi e stime, documentandone disegno, esecuzione e risultati dei test.
In assenza di un ICFR preesistente, diventano centrali la definizione rigorosa delle soglie di materialità, l’assegnazione chiara delle responsabilità e la programmazione di verifiche periodiche con evidenze adeguate.
In questo scenario, il ruolo del professionista è cruciale: non solo per garantire la conformità formale, ma anche per valorizzare i benefici indiretti del sistema.
Un TCF correttamente progettato e operato rafforza la governance, allinea l’organizzazione ai criteri ESG — in particolare sull’asse della governance —, riduce il rischio di errori materiali in bilancio e contribuisce a prevenire il contenzioso grazie a una tracciabilità più robusta e a un dialogo ordinato con l’Amministrazione.
Per i soggetti già strutturati con modelli 262 o SOX, l’adeguamento è prevalentemente di raccordo, a condizione che l’ICFR sia formalmente richiamato nel TCF e che i rischi contabili siano riportati nella Risk Control Matrix; per gli altri, il percorso è più impegnativo, ma consente di migliorare significativamente la qualità dei presidi interni.
In conclusione, l’integrazione tra TCF e controlli sull’informativa finanziaria rappresenta una delle innovazioni più incisive degli ultimi anni. L’investimento organizzativo richiesto trova riscontro in minori rischi fiscali, benefici sanzionatori e maggiore certezza nei rapporti con l’Amministrazione, oltre a trasformare la compliance in una leva di creazione di valore per gli stakeholder.
Restano soltanto da monitorare gli eventuali ulteriori sviluppi, in modo da recepire tempestivamente eventuali ulteriori istruzioni di prassi e consolidare la piena operatività del modello.
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