Dal 12 aprile 2025, con l’entrata in vigore della legge n. 35/2025, i sindaci delle società di capitali si muovono in un quadro normativo inedito e, per certi versi, rivoluzionato.
La riforma, centrata sulla modifica dell’articolo 2407 del codice civile, ha introdotto un sistema di limitazione della responsabilità civile dei componenti del collegio sindacale, collegandola a un multiplo del compenso percepito e introducendo un termine di prescrizione quinquennale.
Il tutto nella prospettiva dichiarata di rendere la funzione di controllo più sostenibile e attrattiva, evitando esposizioni patrimoniali sproporzionate in caso di colpa non grave.
Il nuovo regime prevede un tetto massimo al risarcimento dei danni in caso di violazione colposa dei doveri, calcolato in base a tre scaglioni:
- fino a 15 volte il compenso annuo per importi fino a 10.000 euro;
- 12 volte per compensi tra 10.000 e 50.000 euro;
- 10 volte per compensi superiori a tale soglia.
È importante notare che questo “cap” opera solo nei casi in cui il comportamento del sindaco non sia stato doloso: in presenza di dolo, la responsabilità resta piena e illimitata.
La riforma ha da subito sollevato una vivace discussione dottrinale e giurisprudenziale, soprattutto su due punti cruciali:
- l’applicabilità retroattiva del nuovo regime alle condotte pregresse e
- la coerenza sistemica dell’intervento, considerata la posizione degli altri organi di controllo societari, come i revisori legali e i componenti degli organi di sorveglianza nei sistemi alternativi di governance.
Fisco e Tasse Ente accreditato dal Mef per la formazione continua dei Revisori Legali presenta il suo Mini Master Revisori legali on-line per assolvere all’obbligo di formazione di almeno 20 crediti formativi nelle materie caratterizzanti la revisione legale.
Per la tua attività di revisore ti consigliamo il SOFTWARE REVISAL - scegli la configurazione piu' adatta alle tue esigenze.
Vieni a scoprire tutti i nostri documenti (fogli excel e guide) nella sezione del Business Center Controllo di gestione, dedicata ad Analisi di Bilancio, Programmazione e controllo, Budget e Contabilità analitica o gestionale, Controllo di Direzione.
Ti segnaliamo anche l'eBook Rendicontazione sostenibilità e Modello di Business ESG.
1) Il punto della retroattività
Sul fronte della retroattività, i tribunali si sono divisi.
- Il Tribunale di Bari, con l’ordinanza del 24 aprile 2025, ha affermato che i nuovi limiti risarcitori possono essere applicati anche ai fatti anteriori all’entrata in vigore della legge, qualificandoli come criteri lato sensu procedurali, cioè meri strumenti di quantificazione giudiziale del danno. Su questa linea si è collocato anche il Tribunale di Palermo, con l’ordinanza del 26 giugno 2025, valorizzando il principio di favor responsabilis e riconoscendo alla norma una portata più favorevole per il convenuto, tale da giustificarne l’applicazione retroattiva.
- Diametralmente opposto l’orientamento del Tribunale di Roma che, con ordinanza del 19 giugno 2025, ha negato qualsiasi efficacia retroattiva, rilevando come il nuovo comma 2 dell’art. 2407 c.c. incida direttamente sulla portata del diritto al risarcimento e debba quindi essere considerato norma di diritto sostanziale. Stessa posizione assunta anche dal Tribunale di Venezia (sentenza dell'11 giugno 2025), che ha richiamato l’art. 11 delle preleggi e la necessità che eventuali deroghe all’irretroattività delle leggi siano esplicitamente previste.
La Cassazione penale, dal canto suo, è intervenuta nella sentenza n. 23175/2025 in un caso di concorso in bancarotta fraudolenta da parte di un sindaco, per affermare un principio chiave: la nuova disciplina non è applicabile in presenza di dolo, anche qualora l’interpretazione futura dovesse orientarsi in senso favorevole alla retroattività.
L’incipit della norma (“al di fuori delle ipotesi in cui hanno agito con dolo”) costituisce, secondo la Suprema Corte, una barriera insormontabile all’applicazione del cap nei procedimenti penali per condotte fraudolente o dolose.
La situazione è resa ancora più fluida dall’assenza, nel testo della legge, di una clausola transitoria.
Un vuoto che ha reso necessario l’avvio di un disegno di legge (Ddl n. 1426/2025) finalizzato non solo a chiarire l’efficacia intertemporale delle nuove regole, ma anche ad estenderle a figure attualmente escluse, come i revisori legali e le società di revisione.
Tuttavia, l’iter parlamentare di questo intervento appare al momento rallentato, lasciando in sospeso una questione decisiva per la certezza del diritto e per l’uniformità dei giudizi in corso.
2) il parere di Assonime
In questo contesto si inserisce la dettagliata e articolata circolare Assonime n. 18 del 24 luglio 2025, che ha offerto una delle analisi più lucide e critiche della riforma.
Secondo Assonime, il nuovo impianto normativo segna uno strappo con la tradizionale logica della responsabilità civile, fondata sul principio del ristoro integrale del danno. Il tetto risarcitorio non si collega al pregiudizio effettivamente cagionato, ma al compenso percepito dal professionista, e ciò – secondo l’Associazione – contrasta con i principi generali dell’ordinamento.
La circolare evidenzia anche i profili di incoerenza sistemica generati dalla riforma.
Il nuovo art. 2407 c.c. si applica esclusivamente ai sindaci nel modello di governance tradizionale, lasciando inalterato il regime di responsabilità per altri soggetti che svolgono analoghe funzioni di controllo: revisori legali, amministratori non esecutivi, membri del consiglio di sorveglianza nel sistema dualistico, componenti del comitato per il controllo sulla gestione nel sistema monistico.
Si tratta di un assetto disomogeneo che, secondo Assonime, può generare distorsioni concorrenziali e incentivare scelte organizzative non motivate da esigenze gestionali, ma da considerazioni di mera “convenienza normativa”.
3) Il nodo "compenso percepito" e prescrizione
Un altro punto delicato riguarda la definizione di “compenso percepito”.
Mentre alcune pronunce giurisprudenziali (come quella del Tribunale di Bari) fanno riferimento al compenso effettivamente incassato, Assonime ritiene più coerente considerare il compenso pattuito o deliberato in assemblea, comprensivo dei gettoni di presenza. Diversamente, si rischierebbe di creare incentivi distorti – come la rinuncia formale al compenso per eludere il rischio risarcitorio.
La circolare affronta anche il tema della prescrizione.
L’art. 2407, comma 4, prevede ora un termine quinquennale per l’azione di responsabilità, decorrente dal deposito della relazione del collegio sindacale ex art. 2429 c.c..
Secondo Assonime, tale deposito deve intendersi quello presso il Registro delle imprese (art. 2435 c.c.), momento in cui il documento diventa pubblicamente accessibile.
Tuttavia, secondo la dottrina maggioritaria, il nuovo termine di prescrizione quinquennale introdotto dall’articolo 2407, quarto comma, del Codice civile deve ritenersi applicabile esclusivamente all’azione sociale di responsabilità, ovvero a quella promossa dalla società nei confronti dei propri sindaci per il danno arrecato al patrimonio sociale.
Al contrario, per le azioni di responsabilità intentate da soggetti diversi – come creditori sociali, soci o terzi danneggiati – continuano a trovare applicazione le regole generali in materia di decorrenza della prescrizione.
In questi casi, il termine non decorre da un dato formale e oggettivo, come il deposito della relazione dei sindaci presso il registro delle imprese, bensì dal momento in cui il soggetto danneggiato ha avuto (o avrebbe potuto ragionevolmente avere) conoscenza del pregiudizio subito e della condotta illecita che lo ha causato.
Si tratta di una distinzione tutt’altro che trascurabile, poiché incide direttamente sulla possibilità concreta di esperire l’azione risarcitoria e, dunque, sulla tutela dei diritti dei soggetti lesi, che possono trovarsi in situazioni molto diverse rispetto alla società. La giurisprudenza di merito, in più occasioni, ha confermato questo orientamento, richiamando la necessità di rispettare il principio generale secondo cui la prescrizione decorre dalla percepibilità effettiva del danno da parte del soggetto legittimato ad agire.
Tra i profili applicativi che possono creare implicazioni delicate c’è senz’altro il caso, tutt’altro che raro nella prassi societaria, in cui i componenti del collegio sindacale rivestano anche il ruolo di Organismo di Vigilanza (OdV) ai sensi del D.lgs. 231/2001. Questa sovrapposizione funzionale, legittima sul piano normativo, comporta però una compenetrazione di doveri che può dar luogo a forme ibride di responsabilità.
La circolare Assonime evidenzia come, in queste situazioni, l’inadempimento degli obblighi di vigilanza possa rilevare anche sul piano della responsabilità civile del sindaco, ai sensi dell’art. 2407 c.c., ogniqualvolta si tratti di un’omissione riferibile – almeno in parte – alla sua funzione sindacale.
Ad esempio, la mancata segnalazione di gravi carenze del modello organizzativo 231 o l’inerzia rispetto a segnali di non conformità potrebbe essere valutata come violazione dei doveri di controllo che incombono sul collegio, e dunque aprire la strada a una responsabilità risarcitoria in capo ai sindaci.
In questi casi, precisa Assonime, anche se il comportamento ha rilievo nell’ambito dell’attività dell’OdV, la responsabilità che ne consegue si innesta sul terreno dell’art. 2407 c.c., rientrando pertanto nell’ambito applicativo della nuova disciplina limitativa introdotta dalla riforma.
Ciò significa che, in assenza di dolo, la responsabilità sarà parametrata ai criteri stabiliti dal legislatore (cioè al tetto legato al compenso percepito), e non più a titolo pieno sul danno effettivamente subito dalla società.
Questa lettura risulta coerente con la logica di fondo della riforma, che intende ricalibrare il perimetro della responsabilità civile dei sindaci in funzione di un equilibrio tra doveri di vigilanza e sostenibilità del rischio professionale.
Tuttavia, Assonime richiama anche l’attenzione sul fatto che tale configurazione non deve determinare un “vuoto di tutela”: le responsabilità dell’OdV, pur se ricondotte sotto l’art. 2407 c.c., continuano a essere valutate con attenzione, proprio perché incrociano aspetti di compliance e prevenzione del rischio penale.
4) Conclusioni
In definitiva, la riforma del 2025 ha rappresentato un passaggio importante nel tentativo di riequilibrare la posizione dei sindaci, finora esposti a rischi sproporzionati rispetto ai mezzi e poteri effettivamente a loro disposizione. Ma la soluzione adottata è parziale e squilibrata.
È urgente – come auspicato anche da Assonime – un intervento più ampio e organico che estenda il nuovo regime ad altre figure di controllo e che chiarisca definitivamente l’ambito di applicazione temporale delle nuove regole.
Nel frattempo, professionisti e società devono muoversi in un contesto normativo frammentato, dove la giurisprudenza continua a giocare un ruolo da protagonista e dove la certezza del diritto è ancora lontana. E se la riforma ha almeno il merito di aver acceso i riflettori su un tema cruciale, resta molto lavoro da fare per costruire un sistema di responsabilità più equo, razionale e coerente.