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PERCHÉ PAGHIAMO LE TASSE?

Perché paghiamo le tasse?

Una analisi delle motivazioni che agevolano il pagamento delle imposte. A controlli e sanzioni andrebbero forse affiancati servizi e fiducia

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Comprendere il perché si decida di pagare o non pagare le tasse appare oggi fondamentale.  Le entrate fiscali non solo contribuiscono come principale fonte alle finanze pubbliche ma un’errata ridistribuzione del reddito tra la popolazione potrebbe portare il nostro Paese a un arretramento sul piano sociale e dei nostri valori costituenti: tutti abbiamo il diritto ad avere le stesse libertà, l’evasione fiscale, di fatto, ce ne priva.
Ma allora, se l’aspetto fiscale di un Paese è di tale rilievo, come può il governo utilizzare la ricerca scientifica per migliorarne la “compliance”?
Sarà questo il quesito a cui si proverà a dare una risposta secondo siffatto piano logico:
1. Cosa dice la ricerca su ciò che motiva il pagamento delle imposte.
2. In che modo il governo può utilizzare queste informazioni.

1) Cosa dice la ricerca su ciò che motiva il pagamento delle imposte

Punto di partenza nelle ricerche sulla conformità fiscale sono sicuramente gli studi di Becker (Becker & Gary, 1968) secondo cui gli individui agiscono come persone razionali decidendo di pagare o non pagare le tasse guidati esclusivamente dalla paura di essere scoperti. Secondo questo approccio, la conformità fiscale dipende dalla probabilità di essere controllati e dalla relativa sanzione; gli individui soppesano i benefici e i costi dell’evadere: tanto più le probabilità di essere scoperti e le relative punizioni aumentano, tanto più le persone ne saranno dissuase.

In questo modello denominato “Economia del Crimine” (Becker & Gary, 1968), la forza delle leggi fiscali (enforcement) è l’unica causa determinante la conformità fiscale, al Governo basterebbe aumentare i controlli e le punizioni per aumentare le proprie entrate. Ma la realtà può essere davvero così semplice? Intuitivamente la risposta non potrebbe che essere negativa altrimenti non si spiegherebbero evidenze come gli Stati Uniti dove i controlli sono solo allo 0,8% ma vi sia comunque una buona conformità fiscale (Revenue Service Internal, 2016).

Inoltre, sempre secondo questo approccio tradizionale, all’aumentare delle aliquote fiscali dovrebbe aumentare anche la “compliance” ma numerose evidenze empiriche dimostrano il contrario. Del resto: “se le tasse aumentassero arriverei a un punto in cui non riuscirei più a pagarle!”
Un modello più realistico potrebbe prevedere l’aggiunta di altri fattori oltre al “controllo” e alla “punizione”. Un esempio potrebbe essere la presenza o meno, nel quadro fiscale di un Paese, di un sistema di ritenute alla fonte (Kleven, et al., 2011), oppure la libertà di poter scegliere un lavoro che più ci aggrada (Cowell & Frank, 1985), oppure ancora la presenza di una assistenza fiscale adeguata (Klepper, Steven, & Daniel, 1989); tuttavia questa semplice aggiunta di variabili complicherebbe le analisi e non si supererebbero i limiti del modello tradizionale (teoria dell’utilità attesa) che incentra la decisione degli individui, esclusivamente, su incentivi finanziari.
A questo punto, per superare tali limiti, possono essere inseriti nel modello tradizionale alcune riflessioni esplicitamente considerate da altre scienze sociali, ossia, può essere incanalato nell’approccio alla conformità fiscale, l’economia comportamentale.
Come discusso da Rabin (Rabin & Matthew, 1998), l’economia comportamentale è un approccio che utilizza metodi ed esperimenti, anche di altre scienze (es. psicologia), per migliorare l’analisi dei processi decisionali. In quest’ottica, il punto di partenza sta nel fatto che l’individuo non sempre prende scelte razionali e orientate ai risultati.

Un filone dell’economia comportamentale si occupa degli individui mentre un'altra parte riguarda i gruppi sociali. Secondo il primo filone le persone reagiscono in modo diverso ai guadagni e alle perdite e il valore a queste attribuito, dipende dalle diverse situazioni di partenza di ogni individuo (Glaeser & Edward, 2004). Ogni persona ha una propria propensione al rischio ed inoltre, spesso, non si hanno tutte le informazioni per compiere delle scelte razionali o, anche se si avessero, l’individuo non sarebbe in grado di scegliere la scelta migliore per limiti di tempo o di abilità cognitive.Tutte queste considerazioni cambiano le probabilità (soggettive) percepite dal soggetto di essere controllato e di conseguenza la scelta se evadere o pagare le tasse, tuttavia, ancora, non si superano i limiti del modello tradizionale (legame tra evasione e aliquota fiscale).

Il secondo filone rilevante per la compliance fiscale riguarda il comportamento di gruppo. Vi sono numerose prove che dimostrano come gli individui non prendano solo decisioni in autonomia ma vengono influenzati dal contesto sociale in cui vivono: è proprio da questa interazione tra individuo e gruppo che nascono valori e sentimenti come equità, altruismo, simpatia, empatia ecc.
Nel settore della conformità fiscale vi sono numerosi aspetti di queste interazioni sociali come discusso da Alm (Alm & James, 2012), in cui il punto focale sta nel fatto che in un gruppo non tutte le persone sono uguali e anzi, anche la stessa persona cambia con il trascorrere del tempo. Alcuni individui possono essere motivati da oneri di natura finanziaria ma altri da differenti fattori come ad esempio i sensi di colpa o l’altruismo. In breve, le persone e quindi i gruppi, mostrano una grande diversità ossia una “full house” di preferenze che, nell’elaborare delle previsioni realistiche, devono essere riconosciute (Alm J. , 2019).
Questi modelli di interazione sociale sono in grado di superare i limiti del modello tradizionale, ossia interrompono il legame tra evasione e aliquota fiscale, fornendo previsione più realistiche ma a caro prezzo, incrementando notevolmente la complessità.

In sintesi allora, la teoria sul comportamentale fiscale suggerisce tre principi base (Alm J. , 2019):
1. L’enforcement (controlli e sanzioni) delle norme tributarie è importante ma sono importanti anche altri fattori come le ritenute alla fonte.
2. L’individuo non si comporta sempre come la persona “razionale” descritta dal modello tradizionale.
3. Un individuo fa parte di una società ed è influenzato
da essa.

Sulla base di queste considerazioni, la ricerca empirica (strumento dell’economia comportamentale) ha indicato che:
1. I controlli contano molto. All’aumentare dei controlli aumenta la conformità tuttavia questo incremento non è lineare: all’aumentare dei controlli l’effetto dissuasivo non è proporzionale. Inoltre, un soggetto appena controllato si sente più libero di evadere come indicato nel punto successivo.
2. Le percezioni sui controlli influenzano notevolmente. Gli individui sovrastimano le probabilità di essere controllati mentre le sottostimano subito dopo un controllo.
3. L’effetto dissuasivo delle sanzioni di tipo finanziario è piccolo.
4. Gli incentivi come ad esempio: premi in termini di adempimenti, sconti di imposte, migliorano la conformità.
5. Le aliquote fiscali incidono sulla conformità ma gli effetti sono ambigui. All’aumentare delle aliquote sale la conformità fiscale per l’effetto proporzionale delle sanzioni ma oltre certi limiti l’effetto è contrario. Inoltre, vi è un effetto discriminazione tra aliquote che salgono e altre che rimangono invariate che portano il contribuente all’evasione.
6. L’ambiente sociale e istituzionale influenza notevolmente l’individuo: dove una persona vive è importante. Le norme cd “sociali” incidono sulle decisioni, provare fiducia per i propri politici aumenta la conformità e viceversa.
7. È importante che i contribuenti partecipino alle scelte istituzionali. Ad esempio, scegliere la destinazione del prelievo fiscale ha effetti positivi sulla compliance.
8. Tanto più un sistema fiscale utilizza ritenute alla fonte e tanto più è alta la conformità.
9. Non sono importanti solo le politiche effettive ma anche come vengono comunicate. L’uso delle informazioni è molto importante. Alti tassi di controllo se non avvertiti perdono di effetto dissuasivo così come informare che solo determinate categorie di contribuenti verranno sottoposti a controllo favorisce l’evasione.
10. La conoscenza del sistema fiscale da parte degli individui incide ma non molto. Tuttavia, sistemi complessi richiedono più professionisti aumentando i costi di natura finanziaria.
11. L’aspetto demografico conta. Giovani single e autonomi sono più propensi all’evasione al contrario delle persone adulte e con famiglia.
12. Gli individui, in quanto facenti parte di una società, sono motivati anche da un aspetto “morale” ,  come ad esempio equità o altruismo.

E allora, riassumendo: gli individui sono motivati da analisi finanziarie definite e basate individualmente (ad esempio controlli e sanzioni). Tuttavia, l'evidenza indica che vi sono incentivi, nel prendere le scelte, anche di tipo non finanziario (ad esempio colpa, vergogna, moralità). Inoltre, vi sono alcune prove del fatto che i fattori sociali contano (ad esempio norme sociali o scelte istituzionali). Ancora, le persone sono motivate dalle informazioni e dai modi in cui le elaborano. Infine, l'evidenza mostra come esista una grande eterogeneità tra gli individui: il comportamento delle persone non può essere rappresentato da un gruppo omogeneo ma devono essere considerati una raccolta di diversi segmenti di persone.

2) In che modo il governo può utilizzare queste informazioni

Una volta intuito che l’eterogeneità degli individui è la chiave di volta per comprendere la conformità fiscale, cosa si può imparare da queste riflessioni sull'elaborazione di politiche governative per migliorare la compliance?
In proposito, fra tutti si legga Gould (Gould & Stephen, 1996) secondo cui è gravemente fuorviante rappresentare un sistema complesso attraverso i comportamenti di un singolo individuo “medio” dove, invece, la corretta comprensione di qualsiasi sistema richiede il riconoscimento di una “full house” di condotte.

  1. In primo luogo, allora, un Governo, al fine di massimizzare le proprie entrate, dovrebbe migliorare le politiche di controllo e il sistema sanzionatorio degli eventuali illeciti commessi dai contribuenti (enforcement delle norme tributarie). Queste politiche dovrebbero includere azioni come aumentare il numero e la qualità dei controlli attraverso metodologie basate di “risk approch” tipici della revisione aziendale ossia: tanto più è alto il rischio evasione e tanto più dovrebbero esserci verifiche e viceversa, in una logica di efficacia ed efficienza dei controlli e delle risorse. Un altro aspetto da non sottovalutare dovrebbe essere la condivisione di informazioni tra Paesi, vedi ad esempio i cosiddetti “paradisi fiscali”. Inoltre, sarebbe opportuno: migliorare le sanzioni per le frodi fiscali applicando coerenza tra illeciti dello stesso tipo senza creare discriminazioni, pubblicizzare le eventuali condanne per evasione fiscale nei media come tipo alternativo di sanzione (non finanziaria), creare un sistema fiscale basato su un modello di ritenuta alla fonte e facilitare i pagamenti tracciabili.
  2. In secondo luogo, dovrebbero migliorare i servizi dell’Amministrazione finanziaria come se il contribuente fosse un “cliente”. Tali politiche dovrebbero promuovere l’educazione fiscale, assistere gli individui dalla presentazione delle dichiarazioni fiscali al pagamento delle tasse, migliorare l’assistenza telefonica e dei siti Web, semplificare i vari moduli e i vari adempimenti.   In proposito pare utile sottolineare come vi debba essere un cambio di “rotta” nell’approccio: mentre se si dovesse considerare solo l’enforcement della norma i contribuenti dovrebbero essere visti come “potenziali evasori”, l’economia comportamentale ispira a considerare gli individui anche come potenziali “clienti” del sistema tributario.
  3. In terzo luogo, il Governo dovrebbe attuare politiche che inducano culturalmente e spontaneamente le persone a pagare le tasse utilizzando ad esempio i mass media per rafforzare valori come l’etica, pubblicizzare le condanne per evasione fiscale, enfatizzare il collegamento tra entrate tributarie e servizi ai cittadini. Introdurre insomma l’idea che il pagamento dei tributi è “la cosa giusta da fare” evitando azioni che inducano a pensare che chi non paga è “furbo” o “scaltro” (un esempio potrebbe essere nell’evitare i cosiddetti “condoni tombali”) promuovendo un “codice etico” tra contribuenti e fisco.

In breve, in risposta a una “full house” di comportamenti occorrerebbe allora che il Governo adottasse una “full house” di strategie politiche. Dovrebbe essere questo il disegno vincente.

Una strategia interessante, potrebbe essere racchiudere l’eterogeneità di cui si è già parlato in tre paradigmi (Alm J. , 2019):

  1.  Sotto il primo paradigma, “paradigma dell’enforcement”, l’enfasi dovrebbe essere la repressione dei comportamenti illeciti attraverso controlli frequenti e sanzioni pesanti. Questo è il paradigma più sviluppato nella storia delle amministrazioni finanziarie e si adatta bene al “modello del crimine” tuttavia, è una politica già sviluppata che lascia pochi spazi di manovra.
  2.  La ricerca suggerisce un secondo paradigma che riconosce il fisco come facilitatore e fornitore di servizi ai contribuenti. Questo modello, “paradigma dei servizi”, è il motivo di molte recenti politiche anche nel nostro Paese, come ad esempio le dichiarazioni fiscali precompilate o il cosiddetto “cassetto fiscale “del contribuente.
  3.  Il terzo paradigma è quello emergente dall’economia comportamentale che vede il cittadino come membro di una società, il cui comportamento dipende dai valori condivisi, dalla credibilità e dall’affidabilità dell’amministrazione finanziaria. Questo terzo modello, “paradigma della fiducia”, si basa sull’idea che la compliance fiscale migliora tanto più gli individui hanno fiducia nelle proprie autorità. È questo il paradigma meno sviluppato con più spazi di crescita e quindi di risultati.

Inoltre, va sottolineato che tra i paradigmi occorre sistematicità in una visione unitaria e non atomistica altrimenti si rischia una “cannibalizzazioni” tra politiche di miglioramento della compliance: se si dovessero aumentare i controlli (paradigma dell’enforcement), siamo sicuri che questo non creerebbe una rottura nel rapporto di fiducia tra fisco e contribuente (paradigma della fiducia)? Le verifiche comunque comportano dispendio di tempo e risorse anche per il contribuente.
A giudizio di chi scrive, le politiche governative andrebbero parametrate in risposta ai clienti (contribuenti) e non in via prioritaria e indipendente. Un approccio interessante potrebbe essere una segmentazione della popolazione, proprio come si fa nelle politiche di marketing, in modo da conoscere il proprio “mercato” e offrire proposte mirate secondo quelli che sono i paradigmi poc’anzi discussi.
Se il mercato di riferimento fosse saturo di controlli sarebbe inutile sprecare altre risorse (entrate tributarie) per migliorarne la compliance anzi, l’effetto sarebbe contrario. Invece, magari, si otterrebbero risultati più soddisfacenti attraverso un’assistenza telefonica più puntuale.

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