Speciale Pubblicato il 28/09/2017

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Contraddittorio endoprocedimentale tributario: il problema della "pretestuosità"

di Luca Mariotti

Il punto sul contraddittorio preventivo in ambito tributario dopo le tre sentenze della Corte Costituzionale del mese di luglio 2017



Le tre ordinanze della Corte Costituzionale (la n. 187, la n. 188 e la n. 189), depositate il 13 luglio 2017, non hanno mutato il quadro interpretativo sulla esistenza o meno di un obbligo generalizzato e non necessariamente codificato relativamente allo svolgimento del contraddittorio preventivo in ambito tributario. Ciò perché tali pronunce non sono entrate nel merito tutte si sono risolte in una dichiarazione di manifesta inammissibilità.

Nel frattempo la Cassazione, sulla scorta dell’interpretazione delle Sezioni Unite versione 24823/2015, sta facendo strage di tanti ricorsi introdotti dai contribuenti (e a contrario, premiando quelli dell’Agenzia delle entrate) in tempi nei quali la giurisprudenza era certamente orientata in senso ben diverso. Senso nel quale proprio la   24823/2015 costituisce una voce dissonante, seppur autorevolissima e recente. Che tali sentenze/ordinanze (perlopiù della sezione filtro), molto sintetiche, si limitano a citare per affermare, di fatto, delle conclusioni pro-fisco. Aggiungendo anche sovente una questione già presente nella citata sentenza del dicembre 2015 (nonché nell’ordinanza di rinvio che ne fu all’origine, la n. 527 del gennaio 2015): quella di stabilire se l’invocazione del rispetto del contraddittorio sia fatta per  “ragioni   non …  meramente pretestuose”.

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L'uso del termine pretestuoso nella recente giurisprudenza

Il termine “pretestuoso” è presente solo nell’ordinanza citata e nella sentenza delle Sezioni Unite. Non nell’origine di questa riflessione che la stessa ordinanza della sesta sezione del 2015 rinviene nella sentenza della Corte di Lussemburgo,  3 luglio 2014, causa  C-129/13  Kamino  International Logistic. Al tempo l’ordinanza citò la celebre sentenza in questo specifico passaggio: “secondo il diritto dell’Unione, una violazione dei diritti della difesa, in particolare del diritto di essere sentiti, determina l’annullamento del provvedimento adottato al termine del procedimento amministrativo di cui trattasi soltanto se, in mancanza di tale irregolarità, tale procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso”.

Il termine “pretestuoso” non pare intanto la traduzione più efficace del periodo citato.
Perché implica una valutazione negativa ab origine dell’eventuale eccezione. Si invoca insomma l’annullamento dell’atto per una ragione formale, completamente vuota di motivazioni. Ma l’esistenza delle eventuali motivazioni è valutazione che spetta al Giudice sulla base di un giudizio. E tale giudizio a) è prognostico, cioè deve essere fatto oggi per l’epoca di introduzione della causa (e dunque dell’eccezione) sulla base delle circostanze in quel momento conoscibili b) non comporta una valutazione della fondatezza dell’assunto per cui lo svolgimento del contraddittorio avrebbe portato all’emanazione di un atto diverso (o alla sua non emanazione), quanto sulla astratta configurabilità di un diverso risultato, spendendo almeno qualche utile motivazione. Letteralmente “avrebbe potuto comportare un risultato diverso”.

Quindi è sbagliato il termine “pretestuoso”. Ed è sbagliato leggendo con attenzione le fonti che vengono citate nell’ordinanza che utilizza tale termine per la prima volta.

Ma c’è dell’altro.
E’ sbagliato, sempre operando la semplice lettura dei riferimenti, anche il passaggio motivazionale della sentenza Kamino  International Logistic che ne costituisce lo spunto.

In primo luogo perché la sentenza stessa fornisce le basi normative del diritto di difesa endoprocedimentale, che vengono ravvisate negli articoli 41, 47, 48 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea. Tra queste norme la prima è inserita nelle tutele sul procedimento (Capo V – cittadinanza), le altre due nelle tutele giurisdizionali (Capo VI – giustizia). Solo l’articolo 41 tratta della questione del contraddittorio in materia espressa prevedendo  “il diritto di ogni persona di essere ascoltata prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che le rechi pregiudizio”. Senza se e senza ma…

Quindi nessuna limitazione normativa esiste alla tutela del contraddittorio preventivo. Meno che mai nel senso individuato dalla Kamino. Per non parlare neppure della “pretestuosità”…
Da notare anche che siamo in un testo di garanzia che non può ovviamente essere interpretato in senso restrittivo: casomai le tutele dovrebbero avere natura espansiva nei casi dubbi.
Ma una completa lettura della sentenza del 2014 della Corte UE fa capire come siano veramente sbagliati i riferimenti. Vengono citate infatti a conferma molte sentenze le quali, lette una per una e con attenzione, in larga parte o non sono relative alla questione o semplicemente si citano fra loro. Alcune trattano sì del problema, ma sono di epoca anteriore all’entrata in vigore della Carta di Nizza. E necessariamente le tutele di cui sopra prendono un’altra forza dopo l’innovazione costituita dalla Carta e particolarmente dopo il trattato di Lisbona che ha riscritto l’articolo 6 del Trattato sull’Unione europea prevedendo che la “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, … ha lo stesso valore giuridico dei trattati”.

L’operazione della Kamino di a) restringere le garanzie inserite in un testo che ha oggi lo stesso valore dei trattati b) fondare tale riduzione su giurisprudenza degli anni ’80-’90 (poi citata a catena) insomma non convince affatto.

Aggiungiamo solo una considerazione. Dopo la 24823/2015 è poi venuto in uso, per ovvi motivi, cercare le basi del contraddittorio endoprocedimentale (e le eccezioni ad esso) nel diritto interno. E allora qualcuno si è ricordato dell’articolo 21-octies della Legge 241/90. Tale disposizione, rubricata “Annullabilità del provvedimento” stabilisce al primo comma che sia annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza. Al comma seguente si aggiunge tuttavia: “Non é annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.
Ma tale passaggio dalle disposizioni sul procedimento amministrativo a quello tributario non regge. La stessa  Sentenza 24823/2015 nega espressamente l’applicabilità al contesto tributario delle norme della L. 241/90 in quanto l’articolo 13 del citato testo sul procedimento amministrativo “esclude espressamente dalla disciplina  partecipativa   ivi prevista "i procedimenti  tributari  per  i  quali  restano  parimenti  ferme le particolari norme che li regolano...". Cioè l’articolo 13 esclude l’applicazione ai procedimenti tributari del capo III della Legge 241/90 espressamente rubricato “Partecipazione al procedimento amministrativo”.
In realtà, osserviamo noi, l’articolo 21-octies non sta nel capo III della Legge 241/90, quindi sarebbe, almeno teoricamente, applicabile. Ma a) la norma non è endoprocedimentale, ma riguarda piuttosto l’annullabilità del provvedimento già emesso b) una volta applicata per riferimento analogico, tuttavia, si avrebbe il risultato paradossale per cui una espressa esclusione dalla disciplina partecipativa amministrativa dei procedimenti tributari viene ad essere superata con il riferimento estensivo a una disposizione non riguardante il procedimento.
Quindi la regola che compare nella sentenza non trova neppure un supporto su base normativa interna.
E allora? Abbiamo cominciato con un riferimento alla Corte Costituzionale. Chiudiamo con un passaggio della sentenza 132/2015 della Consulta, l’ultima del Giudice delle Leggi sull’argomento: “l'attivazione    del contraddittorio endoprocedimentale  costituisce  un  principio  fondamentale immanente nell'ordinamento, operante anche in  difetto  di  una  espressa  e specifica previsione normativa, a  pena  di  nullità  dell'atto  finale  del procedimento, per violazione del diritto di partecipazione  dell'interessato al procedimento stesso”.

Altro che valutare la “pretestuosità”, insomma….



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