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ACCERTAMENTO A SRL CON SOCIO UNICO: LE PRESUNZIONI DI LEGGE

Accertamento a srl con socio unico: le presunzioni di legge

Società a ristretta base e presunzione di distribuzione utili: cosa evidenzia la Cassazione con la Ordinanza n 24536/2025

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La Cassazione con l'Ordinanza n. 24536/2025 si è pronunciata su un ricorso avverso alcuni avvisi di accertamento emessi dal Fisco nei confronti di una s.r.l. e del suo socio unico, con i quali è stato contestato un maggior imponibile ai fini IRES, IRAP e IVA, derivante dall'omessa dichiarazione di una parte dei ricavi.
In materia di imposte sui redditi, vige il principio secondo cui, nelle società a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di distribuzione pro quota ai soci degli utili extracontabili eventualmente conseguiti dall'ente.
Pertanto, non è richiesta la prova di effettivi trasferimenti patrimoniali, né la tracciabilità delle somme, poiché la preseunzione si fonda sulla particolare struttura della compagine sociale.
L'onere della prova contraria grava sul socio, il quale deve dimostrare che i maggiori utili non sono stati percepiti, in quanto reinvestiti, accantonati o attribuiti ad altri soggetti.

Vediamo i dettagli della causa.

1) Accertamento a srl con socio unico: le presunzioni di legge

Le Entrate hanno presentato ricorso per Cassazione dopo che la Commissione tributaria provinciale e poi la Commissione regionale avevano ridimensionato le pretese fiscali di alcuni avvisi di accertamento.

L’Amministrazione finanziaria ha denunciato tre errori di diritto commessi dal giudice d’appello:

  • mancata sospensione del giudizio (art. 295 c.p.c.), nonostante la pendenza della causa parallela sulla società.
  • motivazione apparente della sentenza, ritenuta nulla per carenza di spiegazioni logico-giuridiche (art. 111 Cost. e art. 132 c.p.c.).
  • errata applicazione della presunzione di distribuzione di utili occulti, tipica delle società a ristretta base (D.P.R. 600/1973 e TUIR).

In particolare, si sosteneva che il giudice regionale avesse considerato definitive le decisioni favorevoli alla società, quando in realtà erano ancora oggetto di giudizio, e che avesse richiesto prove inesistenti sulla tracciabilità bancaria dei presunti utili distribuiti al socio.

La Cassazione ha rigettato i primi due motivi di ricorso, ritenendo corretta la gestione processuale (nessuna sospensione necessaria) e sufficiente la motivazione della sentenza regionale.

Il primo motivo è infondato poichè la Corte ha già chiarito che nel processo tributario, qualora tra due giudizi esista un rapporto di pregiudizialità, va disposta la sospensione, ai sensi dell'art. 295 c.p.c., della causa dipendente allorché la causa pregiudicante sia ancora pendente in primo grado, mentre, una volta che questa sia definita con sentenza non passata in giudicato, opera la sospensione facoltativa di cui all'art. 337, comma 2, c.p.c., con la conseguenza che, in tale ultimo caso, il giudice della causa pregiudicata può, alternativamente, sospendere il giudizio e attendere la stabilizzazione della sentenza con il suo passaggio in giudicato, oppure proseguire il giudizio medesimo ove ritenga, sulla base di una valutazione prognostica, che la decisione possa essere riformata.

Inoltre per il secondo motivo la Corte ha chiarito che sussiste l'apparente motivazione della sentenza ogni qual volta il giudice di merito ometta di indicare su quali elementi abbia fondato il proprio convincimento, nonché quando, pur indicandoli, a tale elencazione ometta di far seguire una disamina almeno chiara e sufficiente, sul piano logico e giuridico, tale da permettere un adeguato controllo sulla correttezza del suo ragionamento.

La Cassazione ha invece accolto il terzo motivo, riconoscendo la fondatezza delle doglianze dell’Agenzia delle Entrate in tema di presunzione di distribuzione degli utili. La Corte ha ribadito che:

  • nelle società a ristretta base partecipativa, la legge consente di presumere che i maggiori utili accertati dall’Amministrazione siano stati distribuiti ai soci;
  • l’onere della prova si sposta sul socio, che deve dimostrare il contrario, cioè che i maggiori ricavi non siano stati distribuiti ma accantonati, reinvestiti o percepiti da altri soggetti;
  • non è necessario dimostrare passaggi di denaro tracciabili: la natura occulta degli utili rende improbabile l’esistenza di riscontri bancari.

Il punto centrale è che la società aveva un unico socio, con partecipazione al 100%. 

In questi casi, la presunzione di percezione degli utili è ancora più forte: non si può invocare la mancanza di prove documentali per sottrarsi all’imposizione.

Nei confronti delle società a ristretta base (anche unipersonali), il Fisco può presumere la distribuzione degli utili extracontabili.

Il socio non può limitarsi a negare la percezione, ma deve dimostrare concretamente che i maggiori utili non gli siano stati attribuiti, le contestazioni fondate sull’assenza di tracciabilità bancaria non sono idonee a superare la presunzione.

La vicenda conferma quindi un principio operativo essenziale ossia che la difesa del socio unico richiede elementi probatori solidi, capaci di superare la presunzione legale, altrimenti l’accertamento del Fisco troverà conferma.

Fonte immagine: Chat Gpt
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