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ACCERTAMENTO INDUTTIVO SUI CONTI CORRENTI BANCARI DEI PROFESSIONISTI: PRINCIPIO CASSAZIONE

Accertamento induttivo sui conti correnti bancari dei professionisti: principio Cassazione

Deducibilità dei costi in presenza di versamenti ritenuti compensi non dichiarati: decisione della Cassazione

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Con Ordinanza 23 agosto 2025, n. 23741, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sul tema delicato dell’accertamento induttivo sui conti correnti bancari dei professionisti. 

Il fulcro della controversia  è la deducibilità dei costi in presenza di versamenti ritenuti compensi non dichiarati. 

La Corte ribadisce un principio ormai consolidato: anche in caso di accertamento basato su presunzioni, l’Agenzia delle Entrate deve considerare una quota di costi deducibili per rispettare il principio di capacità contributiva.

Vediamo il dettaglio del caso di specie.

1) Deducibilità dei costi in presenza di versamenti ritenuti compensi non dichiarati: decisione della Cassazione

Il ricorso è stato proposto dagli eredi di un avvocato destinatario di un avviso di accertamento induttivo emesso dall’Agenzia delle Entrate in relazione ai redditi professionali dell’anno 2002.

Il de cuius aveva impugnato l’atto di accertamento, ottenendo inizialmente un parziale successo in CTP e successivamente in CTR

Tuttavia, la Cassazione, con precedente pronuncia, aveva annullato la sentenza di appello, rinviando alla Corte di Giustizia Tributaria regionale di secondo grado, affinché si tenesse conto della sentenza della Corte Costituzionale n. 228/2014, che aveva eliminato la presunzione legale di evasione per i prelievi bancari dei professionisti.

Il giudice del rinvio accolse parzialmente l’appello del contribuente.

A seguito di tale decisione, gli eredi ricorrevano nuovamente in Cassazione per tre motivi:

  • la sentenza impugnata non indicava chiaramente il debito residuo,
  • non veniva applicata correttamente la deduzione dei costi relativi ai compensi presunti,
  • non si rispettava il principio di capacità contributiva, come sancito dalla Corte Costituzionale n. 10/2023.

La Cassazione nell'rodine:

  • ha rigettato il primo motivo, relativo alla presunta estinzione del giudizio per mancata riassunzione nel termine;
  • accolto il secondo motivo, nella parte riguardante la mancata deduzione forfettaria dei costi;
  • assorbito il terzo motivo, relativo alle spese del primo giudizio di Cassazione.

La Corte ha riaffermato un principio di diritto fondamentale: «Nel caso in cui, in seguito ad accertamento induttivo, vengano imputati al contribuente maggiori ricavi, è obbligatoria la deduzione di una quota forfettaria di costi necessari alla produzione di tali ricavi, anche in assenza di una documentazione precisa».

La ratio risiede nel rispetto dell’art. 53 della Costituzione, che impone la tassazione sulla capacità contributiva reale e non presunta. L'accertamento induttivo, anche quando fondato, non può trasformarsi in un’imposizione automatica che ignora i costi sostenuti per produrre il reddito.

Occorre evidenziare che la sentenza conferma un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, ad esempio, la Cassazione n. 7122/2023 e la Cass. n. 31981/2024 avevano affermato che, in caso di accertamenti basati su presunzioni (es. movimentazioni bancarie), l’Amministrazione non può prescindere dalla stima di costi proporzionali ai ricavi accertati.

La novità della Sentenza n. 23741/2025 sta nell’estensione applicativa anche ai versamenti bancari imputati a compensi in nero, e nel rafforzamento del legame tra accertamento tributario e principi costituzionali.

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