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INDENNITÀ OBSOLETE CONVERTITE IN WELFARE: LA TASSAZIONE SECONDO L'AGENZIA

Indennità obsolete convertite in welfare: la tassazione secondo l'Agenzia

L’Agenzia chiarisce che le somme derivanti dalla conversione di indennità retributive in prestazioni welfare aziendale non beneficiano dell’esenzione fiscale

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La mera trasformazione di un elemento monetario della retribuzione in benefit non fa venir meno la natura reddituale del compenso.

 Questa la conclusione dell'Agenzia delle Entrate nella Risposta a interpello 195 2025,  riguardante il trattamento fiscale di indennità  “obsolete” previste da un contratto collettivo nazionale di settore e poi soppresse.

L'azienda istante precisava  in particolare che in base ad un nuovo  accordo sindacale,  in sostituzione di precedenti indennità monetarie, i lavoratori in forza al 31 dicembre 2024 potevano scegliere se:

  • ricevere un importo fisso annuo sotto forma di “ad personam” non rivalutabile, pari al 100% del valore medio percepito negli ultimi 5 anni;
  • oppure convertire tali importi in prestazioni di welfare aziendale, per un controvalore pari al 105% o 110%, a seconda del tipo di indennità soppressa.

La finalità della misura è duplice: da un lato superare voci retributive non più attuali, dall’altro offrire strumenti alternativi per accrescere la soddisfazione e la fidelizzazione del personale. Secondo l’azienda istante, i benefit concessi attraverso il welfare aziendale non dovrebbero concorrere a formare il reddito da lavoro dipendente ai sensi dell’art. 51, commi 2 e 3 del Testo unico delle imposte sui redditi (TUIR), approvato con d.P.R. 917/1986.

1) Il quesito su voci retributive trasformate in welfare - la normativa

Nel fornire la propria risposta (interpello n. 195/2025), l’Agenzia delle Entrate ha innanzitutto richiamato il principio di onnicomprensività sancito dall’articolo 51, comma 1, del TUIR, secondo cui costituiscono reddito da lavoro dipendente «tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti», inclusi i beni e servizi concessi dal datore di lavoro.

 Come noto  lo stesso articolo prevede alcune deroghe, indicate ai commi 2 e 3, che escludono dalla base imponibile specifici benefit, ma solo a condizione che non si tratti di erogazioni sostitutive di retribuzioni monetarie e che tali prestazioni siano riconosciute alla generalità o a categorie omogenee di dipendenti.

L’Agenzia  richiama in questo senso la risoluzione 55/E del 25 settembre 2020, nella quale si afferma che un piano welfare che consente la conversione facoltativa di premi o indennità in benefit non può beneficiare del regime di esenzione se tali somme hanno natura retributiva.

2) il diniego dell'Agenzia: motivazioni

L'Agenzia  sottolinea  che nel caso di specie, i lavoratori possono scegliere tra un’erogazione in denaro (ad personam) o in natura (welfare aziendale), ma in entrambi i casi si tratta della conversione di somme che erano parte della retribuzione pregressa. 

Questo elemento è determinante:  la scelta individuale operata dal dipendente tra due modalità equivalenti rende il beneficio non coerente con le finalità delle norme derogatorie, che prevede il riconoscimento di benefit a categorie omogenee o alla totalità dei dipendenti.

Inoltre non risulta applicabile il regime previsto dalla legge 208/2015 (Legge di Stabilità 2016), che consente la sostituzione di premi di risultato con prestazioni welfare in quanto nel caso in esame non si tratta di premi legati a incrementi di produttività o parametri analoghi, ma di indennità fisse eliminate per obsolescenza.

Alla luce di queste considerazioni , l’Amministrazione finanziaria conclude che le somme derivanti dalla soppressione delle indennità, anche se convertite in prestazioni di welfare aziendale, devono essere trattate come reddito di lavoro dipendente e tassate secondo le regole ordinarie dell'at 51 comma 1 del TUIR, in quanto  la mera trasformazione di un elemento della retribuzione in benefit non fa venir meno la natura reddituale del compenso.

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