Il MEF ha pubblicato un atto di indirizzo volto a chiarire la differenza tra crediti non spettanti e crediti inesistenti.
Questa distinzione ha conseguenze rilevanti sia in ambito penale che amministrativo-tributario e assume particolare importanza in vista dell’attuazione della legge delega di riforma fiscale, che impone una classificazione più precisa e sanzioni differenziate per i due casi.
1) Crediti non spettanti o inesistenti: regole MEF per distinguerli
La distinzione tra crediti inesistenti e non spettanti è un tema importante su cui anche in giurisprudenza, si sono delineati diversi indirizzi interpretativi.
La legge delega per la riforma fiscale ha individuato, tra i propri obiettivi, quello di delineare “una più rigorosa distinzione normativa, anche sanzionatoria, tra le tipologie di compensazione indebita di crediti di imposta non spettanti e inesistenti”.
In attuazione di tale finalità, il Dlgs n. 87/2024, intervenendo sulle disposizioni comuni alle sanzioni amministrative e penali, ha:
- definito i crediti inesistenti,
- definito in modo esplicito anche i crediti non spettanti.
Tai definizini valgono tanto sotto il profilo penale quanto tributario.
Sotto il profilo penale, l’articolo 10-quater del Dlgs n. 74/2000 prevede:
- per l’utilizzo di crediti inesistenti per un importo annuo superiore a 50.000 euro, la pena della reclusione da un anno e sei mesi a sei anni
- per l’utilizzo in compensazione di crediti non spettanti per un importo superiore a 50.000 euro, la pena della reclusione da sei mesi a due anni.
Limitatamente a tale fattispecie, il comma 2-bis dell'articolo 10-quater esclude la punibilità dell’agente laddove “anche per la natura tecnica delle valutazioni, sussistono condizioni di obiettiva incertezza in ordine agli specifici elementi o alle particolari qualità che fondano la spettanza del credito”.
Sotto il profilo delle sanzioni amministrative tributarie si devono operare, anche alla luce delle modifiche apportate dal Dlgs n. 87/2024 le seguenti distinzioni:
- nei casi di indebita compensazione attraverso l’utilizzo crediti inesistenti:
- la sanzione è pari al 70% dell’importo del credito utilizzato in compensazione qualora quest’ultimo sia privo, in tutto o in parte, dei requisiti oggettivi o soggettivi specificamente indicati nella disciplina normativa di riferimento (cfr articolo 13, comma 5, Dlgs n. 471/1997),
- la citata sanzione del 70% è aumentata dalla metà al doppio se i requisiti oggettivi e soggettivi del credito sono oggetto di rappresentazioni fraudolente, attuate con documenti materialmente o ideologicamente falsi, simulazioni e artifici (cfr articolo 13, comma 5-bis, Dlgs n. 471/1997).
- nei casi di indebita compensazione mediante l’utilizzo di crediti non spettanti, l’articolo 13, comma 4-bis, del Dlgs n. 471/1997, prevede una sanzione pari al 25% dell’importo del credito utilizzato in compensazione; tale sanzione si applica anche “quando il credito è utilizzato in difetto dei prescritti adempimenti amministrativi non previsti a pena di decadenza e le relative violazioni non sono state rimosse, entro i termini stabiliti dal comma 4-ter”.
Inoltre, si applica la sanzione fissa di 250 euro quando il credito è utilizzato in compensazione in difetto dei prescritti adempimenti amministrativi di carattere strumentale, nel rispetto delle seguenti condizioni:
- gli adempimenti non siano previsti a pena di decadenza
- la violazione sia rimossa entro il citato termine di presentazione della dichiarazione annuale ai fini delle imposte sui redditi relativa all’anno di commissione della violazione, ovvero, in assenza di una dichiarazione, entro un anno dalla commissione della violazione medesima.
L’attività di recupero dei crediti indebitamente utilizzati in compensazione è, invece, disciplinata dall’articolo 38-bis del Dpr n. 600/1973, il quale prevede la notifica di un apposito atto, da effettuarsi, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno e dell’ottavo anno successivo a quello dell’utilizzo del credito stesso a seconda che l’indebita compensazione sia avvenuta rispettivamente mediante crediti non spettanti e inesistenti.
L’atto di indirizzo MEF si inserisce in tale contesto fornendo importanti chiarimenti relativamente alle nozioni di crediti non spettanti e inesistenti.
2) Crediti inesistenti: commento del MEF
Tenuto conto di quanto disposto dal Dlgs n. 87/2024, attuativo della riforma fiscale, rientrano nella nozione di crediti inesistenti quelli per i quali:
- “mancano, in tutto o in parte, i requisiti oggettivi o soggettivi specificamente indicati nella disciplina normativa di riferimento”
- oppure i cui citati requisiti “sono oggetto di rappresentazioni fraudolente, attuate con documenti materialmente o ideologicamente falsi, simulazioni artifici”.
E' superata la precedente definizione contenuta nell’articolo 13, comma 5, del Dlgs n. 471/1997, secondo cui si consideravano inesistenti i crediti privi, in tutto o in parte, del presupposto costitutivo e non riscontrabili mediante i controlli automatizzati e formali (ossia “i controlli di cui agli articoli 36-bis e 36-ter del Dpr n. 600/1973, e all’articolo 54-bis del decreto Iva, Dpr n. 633/1972”).
Come evidenziato dall’atto di indirizzo, l’attuale definizione di credito inesistente “risulta così da un lato circoscritta, in modo più oggettivo, ai crediti carenti, in tutto o in parte, dei requisiti oggettivi o soggettivi indicati dalla normativa di riferimento e, dall’altro, ampliata a ricomprendere eventuali crediti inesistenti rilevati anche in occasione dei controlli automatici o formali della dichiarazione”.
L'atto di indirizzo ha chiarito che:
- i presupposti costitutivi del credito, indicati nelle norme di riferimento, la cui assenza determina l’inesistenza del credito “possono attenere tanto al soggetto che fruisce dell’agevolazione quanto all’oggetto dell’agevolazione stessa. Il credito potrebbe, in altri termini, rivelarsi inesistente perché fruito da un soggetto diverso da quello individuato dalla norma istitutiva del credito o per la mancata effettuazione dell’operazione a cui la norma ricollega la spettanza del credito o ancora per il mancato adempimento di specifici obblighi di fare o non fare previsti dalla disciplina quali elementi essenziali per la nascita del credito”
- la norma cui fareriferimento è: “non solo la norma primaria istitutiva delle singole fattispecie di crediti d’imposta ma anche tutte le disposizioni recate da fonti secondarie (decreti ministeriali o regolamenti) espressamente richiamate dalla norma istitutiva del credito e che vanno a completare o specificare i presupposti costitutivi del credito d’imposta. In tali casi, i presupposti costitutivi, ancorché enunciati nella norma primaria istitutiva del credito, si completano solo con l’integrazione di elementi contenuti in altra fonte (ad esempio, l’individuazione specifica della tipologia di spesa, demandata dalla norma primaria all’emanazione di un decreto ministeriale). Non rilevano, invece, ai fini della contestazione dell’inesistenza del credito, eventuali ulteriori fonti di dettaglio, come ad esempio manuali tecnici, che non siano oggetto di esplicito richiamo nella norma istitutiva o nelle fonti secondarie che ne completano la disciplina ovvero per i quali il rinvio sia operato solo genericamente” e non specificamente
- rientrano nei crediti “oggetto di rappresentazioni fraudolente, attuate con documenti materialmente o ideologicamente falsi, simulazioni artifici” anche quelli generati artificiosamente e direttamente nel modello di pagamento F24.
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3) Crediti non spettanti: il commento del MEF
Con il Dlgs n. 87/2024, sono stati, per la prima volta, definiti in via normativa, i crediti non spettanti e vi rinetrano:
- la fattispecie costituita dai “crediti utilizzati in difetto dei prescritti adempimenti amministrativi espressamente previsti a pena di decadenza”.
- la fattispecie data dai “crediti fruiti in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti ovvero, per la relativa eccedenza, da quelli fruiti in misura superiore a quella stabilita dalle norme di riferimento”. Come chiarito dall’atto di indirizzo, la violazione delle “modalità di utilizzo” che determina la non spettanza può riguardare:
- le tempistiche dell’utilizzo del credito (ad esempio, credito d’imposta fruito in un unico anno anziché con la prevista ripartizione in quote annuali)
- la possibilità o meno di compensazione in funzione del tipo di debito da estinguere (si pensi ad esempio, al credito d’imposta relativo ai bonus edilizi derivante dall’esercizio delle opzioni di cui all’articolo 121, comma 1, del Dl n. 34/2020 utilizzato da banche o intermediari finanziari in compensazione di debiti previdenziali e assistenziali, in violazione del divieto introdotto dall’articolo 4-bis, comma 1, del Dl n. 39/2024)
- i casi in cui il credito insorto non è stato utilizzato in compensazione ma è stato fatto oggetto di cessione
- i casi in cui il credito sia fruito oltre i limiti di compensazione di cui agli articoli 1, comma 53, della legge n. 244/2007 e 34 della legge n. 388/2000 (ora confluito nell’articolo 3 del Dlgs n. 33/2025).
- la fattispecie di costituita dai “crediti che, pur in presenza dei requisiti soggettivi e oggettivi specificamente indicati nella disciplina normativa di riferimento, sono fondati su fatti non rientranti nella disciplina attributiva del credito per difetto di ulteriori elementi o particolari qualità richiesti ai fini del riconoscimento del credito”. Si tratta, spesso, dei crediti d’imposta sovvenzionali, quali, ad esempio, i crediti per le attività di ricerca e sviluppo, innovazione tecnologica, design e innovazione estetica.
La non spettanza, chiarisce l’atto di indirizzo, si verifica “quando, ferma restando la sussistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi specificamente individuati nella normativa di riferimento, il credito d’imposta difetta di ulteriori elementi o qualità individuate da fonti tecniche di dettaglio non specificamente richiamate dalla normativa, primaria e secondaria, dell’agevolazione”.
Al fine di favorire la fruizione dei crediti d’imposta in condizioni di certezza operativa ed evitare controversie sulla qualificazione delle spese effettuate, il Dl n. 73/2022, all’articolo 23, ha consentito alle imprese di richiedere a soggetti qualificati il rilascio di una certificazione, che attesti la qualificazione di determinati investimenti effettuati o da effettuare al fine di verificare la loro compatibilità con la misura agevolativa.
Nello specifico, la certificazione può essere chiesta, sempre che eventuali violazioni relative all’utilizzo dei crediti non siano già state constatate con processo verbale di constatazione, a riscontro:
- della qualificazione degli investimenti, effettuati o da effettuare, ai fini della loro classificazione nell'ambito delle attività di ricerca e sviluppo, di innovazione tecnologica e di design e innovazione estetica
- della qualificazione delle attività di ricerca e sviluppo ai sensi dell’articolo 3 del Dl n. 145/2013
- della qualificazione delle attività di innovazione tecnologica finalizzate al raggiungimento di obiettivi di innovazione digitale 4.0 e di transizione ecologica ai fini dell’applicazione della maggiorazione dell’aliquota del credito d'imposta prevista dal quarto periodo del comma 203, nonché dai commi 203-quinquies e 203-sexies dell’articolo 1 della legge n. 160/2019.
Infine l’atto di indirizzo ricorda che, alla luce di quanto disposto dal citato articolo 23, comma 4, impregiudicate le ordinarie attività di controllo dell’Agenzia delle entrate, qualora il contribuente si doti della “certificazione che attenga alle richiamate tipologie di crediti d’imposta, rilasciata dai soggetti qualificati ammessi a sottoscriverla, che attesti la qualificazione tecnica degli investimenti, effettuati o da effettuare, e che riguardi l’attività concretamente realizzata, un eventuale atto, impositivo o sanzionatorio, che contesti la fruizione del credito sotto l’unico profilo della qualificazione dell’investimento, potrà essere censurato sotto il profilo della sua nullità, con tutte le relative possibili conseguenze sul piano giuridico, secondo i principi generali”.
Tale certificazione può essere chiesta anche dopo l’avvenuta effettuazione degli investimenti, purché eventuali violazioni relative all’utilizzo dei crediti d’imposta non abbiano già formato oggetto di un processo verbale di constatazione.
Il MEF conclude che sarebbe auspicabile che il contribuente che si sia munito della certificazione ne dia collaborativamente comunicazione all’Amministrazione finanziaria, anche per evitare eventuali contestazioni unicamente incentrate sul profilo della qualificazione tecnica dell’investimento.
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