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ASSENZE E DIMISSIONI DI FATTO - TUTTE LE REGOLE: 15GG SOGLIA MINIMA

Assenze e dimissioni di fatto - tutte le regole: 15gg soglia minima

Decorrenza, durata reintegra in caso di assenze ingiustificate come dimissioni di fatto: le regole del ministero, giurisprudenza contraria nuova FAQ: 15 gg soglia minima

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Il Ministero del Lavoro, con la circolare 6/2025, ha fornito chiarimenti sulle dimissioni "per fatti concludenti" ovvero a seguito di assenze ingiustificate del dipendente, come previsto dall'articolo 19 del Collegato Lavoro.

In particolare la norma prevede che  se  il lavoratore  resta assente ingiustificato per un periodo superiore a 15 giorni, salvo diversa previsione del  contratto collettivo, il rapporto di lavoro si intende risolto per volontà del lavoratore, cioè come se avesse dato le dimissioni tacite. 

Sulle criticita della disciplina i consulenti del lavoro avevano inviato una richiesta di chiarimenti al Ministero, che ha risposto in data 10 aprile 2025 . 

Recentemente è stata pubblicata una prima sentenza sul tema  che contrasta con la circolare ministeriale 

Sul sito del ministero  è stata pubblicata una FAQ che ribadisce che il termine di 15 giorni è inviolabile 

In particolare,  viene ribadito che la previsione  di un contratto collettivo in tema di  assenze ingiustificate non è applicabile  alla risoluzione del rapporto di lavoro per "dimissioni per fatti concludenti"  se il termine è inferiore a quello individuato dalla legge (almeno 15 giorni).

Vediamo  di seguito tutti i dettagli.

Qui il riepilogo dei contenuti della Circolare INL sul tema 

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1) Accertamento dell'Ispettorato, obblighi del datore

Ai fini della certificazione delle dimissioni di fatto , l'ispettorato  del lavoro verifica  la veridicità della comunicazione del datore di lavoro, cioè se il dipendente  è stato: 

  • effettivamente assente 
  • per un periodo maggiore rispetto a quanto previsto dal CCNL o comunque piu di 15 gg di calendario (specificazione quest'ultima  fornita dalla circolare ministeriale)
  • senza comunicare le motivazioni.

Non può valutare se il lavoratore fosse impossibilitato a comunicare l'assenza per cause di forza maggiore.

Obblighi del datore di lavoro

  1. Il datore deve fornire agli ispettori  tutti i recapiti del lavoratore.
  2. Deve comunicare la cessazione sia all'Ispettorato sia al lavoratore, per permettere a quest'ultimo di difendersi.
  3. Se il datore ritiene insufficienti le giustificazioni  fornite dal lavoratore o non accetta la verifica dell'Ispettorato, la questione deve essere risolta dal giudice.
  4. L'Ispettorato non ha il potere di imporre la ricostituzione del rapporto di lavoro.

La circolare conferma anche che per il periodo di assenza ingiustificata, il datore:

  • non deve versare stipendio o contributi.
  • non è dovuta la NASPI.

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2) Decorrenza e annullamento delle dimissioni di fatto

La cessazione del rapporto lavorativo decorre dalla data indicata nel modulo Unilav, che non può essere anteriore alla comunicazione dell'assenza all'Ispettorato.

Nello specifico Il rapporto di lavoro  va considerato terminato al  superamento del quindicesimo giorno, con la comunicazione

La cessazione del rapporto di lavoro può essere annullata se: 

  • Il lavoratore dimostra di non aver potuto comunicare l'assenza per cause di forza maggiore o per responsabilità del datore di lavoro. 
  • L'Ispettorato accerta che la comunicazione del datore di lavoro è falsa.

ATTENZIONE Se l'Ispettorato rileva dichiarazioni false, il datore può essere penalmente responsabile. Tuttavia, semplici errori di compilazione nella comunicazione non sono considerati falsità intenzionale: deve esserci un intento fraudolento.

3) CCNL e casi di esclusione: i dubbi dagli esperti

 Su due punti chiariti dalla circolare, molti  esperti come  ad  esempio il prof Maresca ordinario di Diritto del lavoro alla Università La Sapienza di Roma hanno espresso qualche dubbio, in particolare: 

  1. sul ruolo dei contratti collettivi (Ccnl) la circolare sostiene che il termine di 15 giorni per considerare il rapporto cessato è inderogabile e può solo essere esteso in aumento.  Tuttavia, la legge lascia ai contratti collettivi la libertà di stabilire questo termine senza alcun  limite specifico; quindi anche a previsioni contrattuali inferiori a 15 giorni. 
  2. Inoltre sulle esclusioni dalla disciplina per i casi di lavoratrici in gravidanza e genitori nei primi tre anni di vita del figlio o di adozione, per i quali  effettivamente  in qualsiasi evento di recesso del lavoratore serve una convalida ufficiale davanti all'Ispettorato.  La circolare interpreta rigidamente questa esclusione, ma c'è dibattito appunto sulla sua correttezza giuridica in quanto si fa notare che  le due casitiche non sono collegate; difficilmente infatti  una assenza può essere imposta dal datore di lavoro.
  3. Perplessità sono state espresse anche sul fatto che i giorni di assenza debbano essere conteggiati "da calendario " . Si osserva infatti che sarebbe piu logico calcolare le assenze del lavoratore nei giorni in cui la sua prestazione lavorativa è effettivamente dovuta  ovvero nei giorni lavorativi e non anche in quelli festivi

4) La richiesta dei consulenti e la risposta del Ministero

A seguito dei dubbi sopracitati  con nota del 2 aprile 2025, il Consiglio nazionale dell’Ordine dei consulenti del lavoro ha formalmente richiesto chiarimenti in merito all’interpretazione della nuova disciplina delle dimissioni per fatti concludenti, introdotta dalla legge n. 203/2024 (c.d. Collegato lavoro), come illustrata dalla circolare ministeriale n. 6/2025.

 In particolare, è stato domandato se il termine di quindici giorni di assenza ingiustificata, trascorso il quale è possibile attivare la procedura di cessazione del rapporto per volontà implicita del lavoratore, possa essere modificato dalla contrattazione collettiva nazionale anche in senso peggiorativo, ossia riducendolo.

Con nota del 10 aprile 2025, il Ministero del Lavoro ha ribadito un orientamento definito “prudenziale”, secondo cui il termine di 15 giorni rappresenta una soglia minima inderogabile in pejus. 

Pertanto, i contratti collettivi possono prevedere un termine più ampio, ma NON uno inferiore, al fine di garantire un adeguato margine temporale al lavoratore per giustificare l’assenza e non pregiudicare la sua posizione in caso di motivi legittimi. 

Il Ministero ha  lasciato aperta la possibilità di futuri ripensamenti in presenza di orientamenti giurisprudenziali difformi. 

La nota precisa inoltre che 

  • Nel caso in cui, a seguito della segnalazione fatta all’Ispettorato del Lavoro sia verificata l’insussistenza dei presupposti  di legge e quindi la nullità della cessazione del rapporto ,  questo dovrà essere ricostituito per iniziativa del datore di lavoro. Qualora quest’ultimo non ritenga valide le ragioni del lavoratore non è prevista automaticità.
  • Le eventuali dimissioni presentate dal lavoratore saranno ritenute valide e, se presentate per giusta causa, la verifica di sussistenza della stessa sarà oggetto di valutazione in contenzioso giudiziario o in sede conciliativa.

QUI IL TESTO DELLA NOTA MINISTERIALE

Con faq del 26 giugno il  ministero ha  ribadito nuovamente  che  il termine di 15 gg è inderogabile in quanto le disposizioni del CCNL in tema di assenze ingiustificate non espressamente riferite alla fattispecie delle c.d. dimissioni per fatti concludenti non possono dar luogo alla risoluzione del rapporto di lavoro.

5) Dimissioni per fatti concludenti prima sentenza in contrasto con il ministero

Con la sentenza n. 87 del 5 giugno 2025, il Tribunale di Trento ha fornito una delle prime interpretazioni applicative della nuova disciplina sulle dimissioni per fatti concludenti, introdotta dalla legge 203/2024 .

Il caso riguardava una lavoratrice assente dal lavoro a partire dal 7 gennaio, prima dell’entrata in vigore della nuova norma. Il datore di lavoro, una volta operativa la riforma, ha comunicato all’Ispettorato territoriale le dimissioni per assenza ingiustificata, facendo riferimento al nuovo art. 26, comma 7-bis, del D.lgs. 151/2015.

Secondo l’interpretazione dell’azienda, era sufficiente il superamento  del termine previsto dal contratto collettivo per ritenere valide le dimissioni per fatti concludenti. 

Il Tribunale, però, ha sconfessato questo approccio, chiarendo che la procedura era illegittima e disponendo la reintegrazione della lavoratrice, con una motivazione articolata su tre profili giuridici distinti.

  1. Il primo chiarimento riguarda l’ambito di applicazione temporale della nuova norma. Richiamando il principio generale del “tempus regit actum” e l’articolo 11 delle preleggi, il giudice ha stabilito che le assenze iniziate prima del 12 gennaio 2025 non possono essere conteggiate ai fini della presunzione di dimissioni. Le assenze anteriori, infatti, avevano rilevanza solo disciplinare e non potevano produrre, retroattivamente, l’estinzione del rapporto di lavoro.
  2. Il secondo principio è relativo all’interpretazione del termine previsto dal contratto collettivo. Il Tribunale ha precisato che il riferimento al CCNL non consente ai datori di lavoro di decidere arbitrariamente le soglie temporali per le dimissioni. Va invece identificato il numero di giorni di assenza ingiustificata che, secondo il contratto applicato, rappresentano giusta causa di licenziamento. Nel caso in esame, il CCNL del terziario prevede che l’assenza oltre tre giorni nell’anno solare sia motivo di recesso, per cui la soglia da considerare è quella del quarto giorno, e non il termine legale di 15 giorni previsto in via residuale.
  3. Il terzo e ultimo chiarimento riguarda gli effetti giuridici di una comunicazione datoriale priva di fondamento. Il Tribunale ha ritenuto che, in mancanza di una manifestazione espressa o implicita di volontà da parte della lavoratrice (né telematica, né tramite comportamenti inequivoci), il datore di lavoro non poteva considerare il rapporto cessato. L’atto di escludere la lavoratrice è stato così equiparato a un licenziamento orale, da ritenersi nullo.

Questa pronuncia si pone in contrasto con l’interpretazione fornita dalla circolare 6/2025 del Ministero del Lavoro, secondo cui il termine di 15 giorni sarebbe minimo e inderogabile. Il giudice trentino, invece, ha riconosciuto la validità di una soglia più breve se prevista dal contratto collettivo, considerandola prioritaria rispetto alla legge.

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