In caso di risoluzione o scioglimento del leasing, il parametro decisivo è il valore residuo netto del bene recuperato dal concedente.
Guida pratica per professionisti, alla luce della disciplina vigente e della sentenza 25701/2025.
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1) Il caso e il principio affermato: il valore residuo come fulcro della disciplina
La sentenza n. 25701 del 19 settembre 2025 della Corte di Cassazione offre una ricostruzione chiara – e molto utile per gli operatori – del rapporto tra contratto di leasing e fallimento/liquidazione giudiziale dell’utilizzatore.
Il caso nasce da un comportamento quantomeno sorprendente: la società di leasing aveva recuperato il bene, rivenduto a un prezzo superiore al debito residuo dell’utilizzatore, e nonostante ciò aveva insinuato nello stato passivo l’intero importo dovuto dall’utilizzatore alla data dello scioglimento del contratto, ignorando del tutto il valore ricavato dalla vendita.
Il Giudice Delegato e il Tribunale rigettano la domanda; la società di leasing ricorre in Cassazione sostenendo che il giudice avrebbe male qualificato il contratto e ignorato il patto marciano.
La Cassazione, tuttavia, considera il ricorso inammissibile, rilevando che la pretesa era incoerente con:
- le stesse clausole contrattuali invocate;
- le norme L. 124/2017 (commi 136–140 art. 1);
- la disciplina speciale dell’art. 72-quater l. fall. (oggi art. 177 CCII).
Il principio chiave è inequivocabile: il credito del concedente, in caso di risoluzione o scioglimento del leasing, deve essere determinato considerando il valore ricavato dalla vendita o ricollocazione del bene.
Il concedente non può insinuare importi “pieni” se ha già recuperato valore oltre il residuo.
Per i professionisti è un richiamo importante: il bene è la garanzia naturale del contratto di leasing e il sistema normativo impedisce che il concedente si avvantaggi due volte (restituzione + credito integrale).
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2) La disciplina della L. 124/2017 e del CCII: due scenari operativi
La giurisprudenza e il legislatore hanno finalmente stabilito un quadro organico sul rapporto leasing–fallimento.
Oggi, salvo contratti risolti prima dell’entrata in vigore della L. 124/2017 (per cui resta applicabile la vecchia distinzione leasing di godimento/traslativo), gli scenari sono solo due.
Risoluzione del contratto prima della procedura (art. 1, comma 138, L. 124/2017).
Se il contratto è già risolto per inadempimento dell’utilizzatore prima dell’apertura della liquidazione giudiziale, il concedente ha diritto a:
- restituzione del bene;
- trattenere(in sede di ricavato) l’importo corrispondente a:
- canoni scaduti e non pagati;
- canoni futuri, ma solo in linea capitale;
- prezzo di opzione;
- spese di recupero, stima, conservazione.
Se la vendita avviene a valore di mercato, come richiesto dal comma 139, il concedente deve restituire l’eventuale eccedenza all’utilizzatore. Se invece, al contrario, il ricavato è inferiore al debito complessivo dedotto quanto sopra, il concedente potrà insinuare al passivo il residuo.
Scioglimento dopo l’apertura della procedura (art. 1, comma 140, L. 124/2017 e art. 177 CCII)
Quando il contratto è ancora in essere alla data della sentenza, il curatore può:
- subentrare, continuando a pagare i canoni;
- oppure sciogliersi, restituendo il bene.
In questo secondo caso, il meccanismo è simmetrico:
- se la vendita genera un valore superiore al credito residuo (linea capitale + opzione + spese + canoni scaduti ante procedura), la differenza va alla curatela;
- se la vendita genera un valore inferiore, il concedente potrà insinuare al passivo il deficit, con domanda tardiva ex art. 101 l. fall. / art. 201 CCII.
La Cassazione (sentt. 21213/2017 e 3200/2019) ha chiarito un punto cruciale: i canoni scaduti prima della sentenza non possono essere soddisfatti tramite trattenuta sul ricavato perché manca la reciprocità necessaria alla compensazione ex art. 56 l. fall. (oggi art. 155 CCII).
Il bene, dunque, è garanzia solo dei canoni futuri e del prezzo di opzione, non delle obbligazioni anteriori.
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3) Come deve comportarsi il concedente: istruzioni operative passo per passo
La disciplina non è complessa, ma richiede grande precisione operativa.
Ecco una guida pratica per professionisti, avvocati, curatori e imprese
Se il contratto è già risolto prima della procedura, il concedente deve:
- recuperare il bene;
- predisporre una vendita a valori di mercato, tramite:
- listini di soggetti specializzati, oppure
- perizia indipendente;
- trattenere le voci ammesse dalla legge;
- rendere conto dell’operazione all’utilizzatore (obbligo di informazione e trasparenza);
- insinuare al passivo solo l’eventuale deficit residuo.
Se il contratto viene sciolto dal curatore, il concedente deve:
- presentare domanda di restituzione ex art. 210 CCII, allegando titolo e prova dell’esistenza del bene nel patrimonio dell’utilizzatore;
- chiedere la sospensione della liquidazione del bene da parte della curatela (art. 201, comma 7 CCII);
- vendere il bene secondo i criteri di celerità e trasparenza indicati dal comma 139;
- rendicontare il valore ottenuto;
- versare alla procedura eventuale eccedenza;
- solo se la vendita non copre il credito residuo, presentare domanda tardiva per i canoni futuri (linea capitale), prezzo di opzione e spese.
Cosa NON si può fare
- Non è possibile insinuare l’intero importo dovuto dall’utilizzatore ignorando il ricavato: è contrario alla legge e al patto marciano.
- Non è possibile compensare automaticamente il ricavato con i canoni scaduti: sono debiti anteriori privi di reciprocità.
- Non si può vendere il bene “come capita”: servono criteri di mercato, comparazione e trasparenza.
- Non è possibile insinuare interessi sui canoni futuri: la causa del godimento si spegne con lo scioglimento (Cass. 21213/2017).
Per il professionista, questo significa che ogni operazione va documentata: stima, offerte, comunicazioni, avvisi, modalità di vendita. Una scarsa documentazione espone il concedente a contestazioni su:
- mancanza di mercato;
- prezzo non congruo;
- violazione del patto marciano;
- abuso di posizione.
4) Il valore residuo netto come criterio unificante: implicazioni per studi e imprese
La sentenza in commento conferma ciò che dottrina e giurisprudenza sostengono da anni: il vero fulcro del leasing, in caso di crisi, è il “valore residuo netto” del bene.
Questo criterio risolve tre nodi sistemici:
- elimina il rischio di duplicazioni di credito. Il concedente non può:
- recuperare il bene,
- venderlo a prezzo pieno,
- e poi insinuare l’intero debito residuo. Il sistema del leasing è costruito per evitare arricchimenti ingiustificati;
- garantisce trasparenza verso la procedura: il bene, una volta restituito, è risorsa del concedente, ma il valore prodotto dalla vendita può appartenere – in tutto o in parte – anche alla curatela, se supera il credito residuo;
- introduce un meccanismo coerente con il “patto marciano”. La L. 124/2017 ha trasformato in legge ciò che per anni era stato una pratica contrattuale: il bene è a garanzia, ma il suo valore eccedente torna all’utilizzatore o alla procedura. È questo il senso del nuovo leasing “tipizzato”: un equilibrio tra tutela del concedente e tutela del debitore.
5) Conclusioni
La sentenza n. 25701/2025 non è rivoluzionaria, ma è importante perché conferma un principio essenziale: nel leasing, il bene è la misura del credito. Per professionisti, curatori, avvocati e imprese, il messaggio operativo è semplice:
- documentare la vendita;
- calcolare correttamente il valore residuo;
- evitare pretese integrali;
- applicare in modo rigoroso il modello del patto marciano previsto dalla legge.
La disciplina attuale – tra CCII, L. 124/2017 e giurisprudenza – è ormai coerente:
il leasing è un contratto di finanziamento garantito dal bene, non un credito “a prescindere”. Il concedente ha diritto a essere soddisfatto, ma solo entro i limiti posti dalla legge, che tutela la par condicio e impedisce ogni margine di arricchimento ingiustificato. Nel contesto della crisi d’impresa, ciò significa una cosa molto semplice: l’equilibrio tra recupero del bene e corretto calcolo del credito non è solo tecnica, ma buona governance. Ed è un equilibrio che i professionisti devono conoscere e applicare con rigore.