L'agenzia entrate sta notificato in queste settimane schemi di atto e inviti al contraddittorio che mirano a rettificare la posizione fiscale delle imprese che hanno beneficiato dei contributi straordinari erogati durante l'emergenza sanitaria.
La contestazione sollevata non verte sull’ammissibilità originaria agli aiuti, ma riguarda la modalità di riporto delle perdite fiscali maturate nel periodo in cui i sostegni economici sono stati percepiti.
La tesi sostenuta dagli uffici contesta il riporto totale del deficit fiscale per un ammontare pari al beneficio ricevuto.
Secondo questa interpretazione, i contributi in questione dovrebbero essere qualificati come "proventi esenti" e, pertanto, si applicherebbe l'articolo 84, comma 1, terzo periodo, del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR), che impone di diminuire la perdita riportabile dell’ammontare dei proventi esenti.
Questa impostazione si scontra con il dato normativo e, soprattutto, con le indicazioni di prassi precedentemente fornite dalla stessa autorità fiscale, generando una manifesta quanto incomprensibile incongruenza.
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1) La distinzione tecnica tra esclusione ed esenzione
La controversia si fonda sulla corretta qualificazione giuridica dei sostegni statali.
Vi è una differenza fondamentale, ai fini dell’utilizzo del deficit fiscale, tra la non concorrenza alla formazione del reddito ("esclusione") e i "proventi esenti".
Esclusione: Se un provento è escluso dalla base imponibile (come stabilito, ad esempio, dall'articolo 10-bis del D.L. 137/2020 secondo cui : “«I contributi e le indennità di qualsiasi natura erogati in via eccezionale a seguito dell'emergenza epidemiologica da COVID-19 e diversi da quelli esistenti prima della medesima emergenza, da chiunque erogati e indipendentemente dalle modalità di fruizione e contabilizzazione, spettanti ai soggetti esercenti impresa, arte o professione, nonché ai lavoratori autonomi, non concorrono alla formazione del reddito imponibile ai fini delle imposte sui redditi e del valore della produzione ai fini dell'imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) e non rilevano ai fini del rapporto di cui agli articoli 61 e 109, comma 5, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917), significa che tale somma non entra mai nel calcolo del reddito. Di conseguenza, l’esclusione non incide sulla perdita riportabile, che rimane quindi "intera".
Esenzione: Se un provento è esente (come richiesto per l'applicazione dell'articolo 84, comma 1, terzo periodo, TUIR) significa che esso è fiscalmente rilevante ma successivamente esentato dall’imposta. Solo in questo caso la norma richiede che tale provento venga defalcato dalla perdita riportabile.
Le disposizioni che hanno istituito i vari sostegni (e l'articolo 10-bis del D.L. 137/2020) hanno stabilito che i contributi "non concorrono alla formazione del reddito imponibile" né della base imponibile IRAP.
La norma primaria, dunque, non ha mai utilizzato la terminologia di "esenzione".
Se il legislatore avesse voluto applicare la limitazione sul riporto delle perdite, avrebbe dovuto esplicitare che tali contributi erano "proventi esenti".
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2) L'auto-contraddizione dimostrata dalla prassi operativa sulle ritenute
L'argomento più forte contro la posizione attuale dell'autorità fiscale risiede nella sua stessa condotta operativa relativa all’applicazione delle ritenute d’acconto.
In passato, l’autorità ha fornito indicazioni chiare sul trattamento fiscale di questi fondi, in particolare sui contributi a fondo perduto (Circolare 15/E/2020), sulle erogazioni agevolative da parte delle Regioni (Risposta n. 521/2021) e sui sostegni per il settore della cultura (Risposta 46/2021):
- in riferimento ai contributi, è stato stabilito che essi non sono assoggettati alla ritenuta a titolo d’acconto.
- similmente, per i contributi al settore della cultura, l’autorità ha chiarito che, in virtù dell'articolo 10-bis del D.L. Ristori, tali somme "non siano da assoggettare a ritenuta alla fonte a titolo di acconto Irpef e, conseguentemente, non siano imponibili nei confronti dei percettori".
Il regime di non assoggettamento alla ritenuta d'acconto è compatibile solamente con il regime dell’esclusione. Se un contributo fosse stato un provento esente, esso sarebbe stato comunque fiscalmente rilevante e avrebbe dovuto essere soggetto a ritenuta alla fonte.
La ritenuta d'acconto è, per sua natura, un anticipo su un reddito che si presume imponibile. L'assenza esplicita di ritenuta, dunque, indica in modo inequivocabile che il contributo non è mai entrato nel perimetro del reddito imponibile, configurando un regime di esclusione.
L’autorità fiscale, pur utilizzando a volte il termine generico di "regime esentativo", ha trattato operativamente gli aiuti come esclusi (non applicando ritenute).
Oggi, pretendere di qualificarli ex post come esenti al solo fine di limitare il riporto del deficit fiscale, introduce una contraddizione evidente tra la prassi operativa e la nuova tesi accertativa.
Nella successiva risposta 521, a rimarcare la natura fiscale di esclusione e non di esenzione dei contributi ricevuti, l’Agenzia rimarca che : “Per quanto sopra descritto, tenuto conte che la citata norma si riferisce ai contributi di "qualsiasi natura" e "da chiunque" erogati ai soggetti esercenti attività di impresa, arte o professione, nonché ai lavoratori autonomi, "indipendentemente dalle modalità di fruizione e contabilizzazione", il contributo concesso dalla citata Regione risulta riconducibile agli aiuti «erogati in via eccezionale a seguito dell'emergenza epidemiologica da COVID-19» con la conseguenza che lo stesso non concorre a determinare la base imponibile, né ai fini dell'IRES, né ai fini dell'IRAP”
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3) Contrasto con la finalità delle misure e l'irragionevolezza della pretesa
La pretesa di recuperare imponibile negli anni successivi, negando la riportabilità delle perdite, si fonda sull'argomento che altrimenti verrebbe riconosciuto un "doppio beneficio" all'impresa (il contributo e il vantaggio fiscale postumo).
Tuttavia, tale visione ignora la ratio degli aiuti.
Gli aiuti straordinari erano destinati a mitigare o compensare gli effetti negativi immediati (ossia, le perdite) generati dall’emergenza.
Qualificare la non concorrenza al reddito come "puramente temporanea" e pretendere l’imposta sul contributo tramite la negazione del riporto delle perdite, ne sterilizza l'efficacia e contraddice la finalità di neutralità fiscale voluta dal legislatore.
Quando un’impresa, infatti, registra una perdita fiscale e riceve un contributo a fondo perduto, se tale contributo viene qualificato come “provento esente”, la perdita riportabile negli esercizi successivi deve essere ridotta di un ammontare pari a quel contributo.
In questo modo, anche se il contributo non è stato tassato nel periodo in cui è stato incassato, produce un effetto fiscale differito, riducendo la capacità dell’impresa di compensare redditi futuri.
Se invece il contributo è correttamente trattato come escluso dal reddito imponibile, non incide sulla determinazione della perdita fiscale, la quale rimane pienamente riportabile.
Un ulteriore elemento critico rispetto alla tesi degli uffici è rappresentato dal fatto che, al momento dell’introduzione dei contributi straordinari, non si prevedeva alcun meccanismo di recupero fiscale collegato a una riduzione dell’utilizzabilità delle perdite d’esercizio.
E considerando l’impatto potenzialmente devastante che una simile conseguenza avrebbe avuto negli anni successivi, risulta difficilmente sostenibile che il legislatore abbia omesso intenzionalmente tale aspetto (avendone fra l’altro indicati altri di importanza di molto inferiore!)
Ciò conferma che non si è trattato di una lacuna normativa, ma piuttosto di una scelta consapevole e coerente volta a escludere i contributi dal reddito imponibile, in linea con la loro funzione emergenziale e con l’intento originario della norma.
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4) Conclusioni
L'interpretazione restrittiva che tenta di qualificare i contributi di sostegno come "proventi esenti" per limitare l'utilizzo del deficit fiscale ai sensi dell'articolo 84, comma 1, TUIR, rappresenta un'applicazione forzata e discutibile delle norme tributarie.
Tale orientamento è insostenibile poiché è in netto contrasto con:
- Il testo normativo primario (Art. 10-bis D.L. 137/2020), che configura i proventi come esclusi.
- La prassi operativa fornita dalla stessa agenzia entrate (ad esempio, sul trattamento delle ritenute), che ha trattato i contributi come elementi non imponibili, coerentemente con il regime di esclusione.
Il mantenimento di questa tesi interpretativa non solo penalizza i soggetti colpiti dalla crisi sanitaria, ma rischia di estendere l'incertezza e il contenzioso a una vasta gamma di altre misure agevolative e sovvenzioni (come i benefici su imposte ambientali o incentivi industriali).
L'auspicio è che l'autorità riveda rapidamente la propria posizione e che lo stesso legislatore se ne faccia eventualmente (e rapidamente) carico con una interpretazione ufficiale che sgomberi il campo da qualsiasi dubbio.
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