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RIMBORSI SPESE ANALITICI FORFETTARI: SONO DAVVERO IMPONIBILI?

Rimborsi spese analitici forfettari: sono davvero imponibili?

Esame critico delle argomentazioni avanzate a favore della imponibilità dei rimborsi di spese analiticamente documentate richiesti dai lavoratori autonomi forfetari

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La disciplina dei rimborsi delle spese sostenute dai lavoratori autonomi per lo svolgimento dei propri incarichi e riaddebitate al committente del servizio[1] è contenuta negli articoli 54 e 54 ter del T.u.i.r.

Come noto, tale normativa ha visto un significativo riordino alla fine del 2024, ed è stata ulteriormente integrata con Decreto legge del 17/06/2025 n. 84.

Nell’attuale formulazione dette norme prevedono che:

  • non concorrono a formare il reddito le somme percepite a titolo di rimborso delle spese sostenute dall'esercente arte o professione per l'esecuzione di un incarico e addebitate analiticamente in capo al committente (art. 54, c.2 lett. b)[2];
  • conseguentemente, salvo eccezioni, le spese medesime non sono deducibili dal reddito di lavoro autonomo del soggetto che le sostiene.

La lettura della citata normativa, di per sé, non darebbe adito ad incertezze applicative: in precedenza il lavoratore autonomo che sosteneva una spesa per lo svolgimento del proprio incarico e quindi la riaddebitava in fattura deduceva il costo e indicava il rimborso come compenso; adesso nella medesima situazione egli non deduce il costo e non considera il rimborso quale compenso.

La criticità, semmai, risiedeva nel trattamento dell’identica situazione per gli autonomi in regime forfetario; i quali, non avendo la possibilità di dedurre il costo sostenuto, erano costretti a pagare imposte sul rimborso di un onere di pertinenza del proprio committente, rimborso che certamente non può essere considerato un compenso[3], atteso il fatto che difetta di natura corrispettiva.

La descritta criticità, finalmente, sarebbe stata risolta dalla esclusione dei rimborsi dal reddito di lavoro autonomo prevista dall’innovato articolo 54. Senonché, sono stati avanzati dubbi sulla applicabilità della novità normativa ai contribuenti autonomi forfetari, tanto che attualmente - pur invocandosi da più parti un intervento chiarificatore dell’Agenzia delle Entrate  -  l’impostazione prudenziale che sembra prevalere è che la non tassabilità dei rimborsi analitici non vada applicata agli autonomi che operano in tale regime.

Le argomentazioni che sostengono la tesi della imponibilità dei rimborsi per i soli contribuenti forfetari, tuttavia, a parere di chi scrive non sono del tutto convincenti.

Le esamineremo singolarmente dopo aver premesso qualche osservazione sulla natura del reddito dei contribuenti che applicano il regime forfetario, utile alla disamina della questione.

1) Il reddito dei lavoratori autonomi che operano in regime forfetario

Va preliminarmente osservato che con l’introduzione della determinazione del reddito con modalità forfetaria[4] non si è inteso introdurre una ulteriore categoria reddituale rispetto a quelle conosciute dal nostro Testo Unico. La lettura della norma, secondo cui “i contribuenti persone fisiche esercenti attività d'impresa, arti o professioni applicano il regime forfetario di cui al presente comma e ai commi da 55 a 89 del presente articolo, se nell'anno precedente …” rende infatti chiaro che detti contribuenti determinano il proprio imponibile reddituale secondo un meccanismo peculiare, ma sono e rimangono, appunto, imprenditori e lavoratori autonomi, ragion per cui i loro redditi ricadono nelle rispettive categorie identificate dal T.u.i.r.

E, si noti, la misura dei compensi attribuibili al contribuente costituisce un dato che esula dal fatto che egli operi o meno in regime forfetario, essendo i compensi una grandezza da determinare a priori per poi calcolare l’imponibile sottraendovi i costi effettivamente sostenuti o applicandovi le percentuali stabilite dalla normativa sui forfetari[5].

Considerato che la determinazione del compenso[6] del lavoratore autonomo ad evidenza deve seguire il disposto dell’art. 54 e seguenti del T.u.i.r., se l’interprete si limitasse alla lettura dell’art. 54 medesimo non potrebbe che concludere che tra i compensi del lavoratore autonomo, forfetario o meno, non vadano inclusi i rimborsi delle spese sostenute ed addebitate analiticamente al committente, giacché la norma li esclude esplicitamente dal reddito del lavoratore autonomo.

E poiché nell’art. 54 non si ravvisa alcuna esclusione esplicita dei contribuenti forfetari, se ne dovrebbe concludere che il suo contenuto si applichi integralmente a chiunque produca redditi di lavoro autonomo. A conforto di ciò, si noti che la medesima norma prevede anche la non imponibilità dei contributi previdenziali addebitati al committente e del riaddebito ad altri soggetti delle spese sostenute per l'uso comune degli immobili utilizzati per l'esercizio dell'attività; esclusioni delle quali nessuno ha mai ipotizzato la applicabilità ai soli contribuenti che determinano l’imponibile secondo criteri ordinari.

In più chiare parole, l’interpretazione letterale dell’art. 54 T.u.i.r. non fornisce argomenti contro l’applicazione della norma nella sua interezza anche ai contribuenti forfetari.

Come anticipato, alcuni interpreti hanno però avanzato dubbi sulla applicabilità dell’art. 54 ai lavoratori autonomi che aderiscono al regime forfetario, segnatamente nella parte (comma 2, lettera b) in cui esso dispone l’esclusione dal reddito dei rimborsi spese analitici. Tale impostazione fa perno principalmente su tre argomentazioni:

  1. il “precedente” dell’imposta di bollo addebitata in fattura;
  1. la possibile disparità di trattamento dei contribuenti forfetari che producono redditi di impresa;
  2. la invarianza finanziaria citata nella Relazione tecnica al D. Lgs. 192/2024.

Esaminiamole singolarmente.

2) La risposta ad interpello 428 del 2022 relativa all’imposta di bollo addebitata in fattura.

Con tale risposta, riferita al quesito avanzato da un contribuente forfetario, l’Amministrazione ha affermato: “si ritiene che l'importo del bollo addebitato in fattura al cliente assuma la natura di ricavo o compenso e concorra alla determinazione forfettaria del reddito soggetto ad imposta sostitutiva”.

Porre tale risposta dell’Agenzia a base dell’imponibilità reddituale dei rimborsi spese per i forfetari appare tuttavia inconferente.

Anzitutto perché le conclusioni dell’interpello non riguardano solo i soggetti forfetari, ma sono estensibili a tutti i contribuenti che  debbono apporre il bollo in fattura (l'articolo 13, comma 1 della Tariffa, parte prima, assoggetta all’imposta le fatture quando la somma indicata è superiore a 77,47 euro e non è soggetta ad IVA), quali ad esempio coloro che emettono fatture esenti o escluse da IVA ai sensi dell’art. 10  e dell’art. 15 del D.P.R. 633/1972.

Ma, soprattutto, perché l’apposizione del bollo in fattura non determina un elemento di spesa di competenza del cliente (l’argomento che qui ci occupa), ma deriva da un onere proprio del fornitore. Ed infatti si legge nella risposta 428 “l'obbligo di apporre il contrassegno sulle fatture o sulle ricevute è a carico del soggetto che consegna o spedisce il documento, in quanto per tali tipo di atti l'imposta di bollo è dovuta fin dall'origine, ossia dal momento della formazione[7]. Trattandosi cioè di un rimborso di costi propri, è ovvio che esso diventi un ricavo per chi lo percepisce.

L’argomento che assimila il rimborso del bollo ai rimborsi di spese sostenute per conto del cliente non appare perciò convincente, in quanto le due fattispecie hanno natura differente.

3) La disparità di trattamento tra lavoratori autonomi ed imprenditori forfetari.

Con questo ulteriore argomento portato per sostenere la inapplicabilità della norma ai lavoratori autonomi forfetari si sostiene che, essendo la disciplina della non tassabilità dei rimborsi contenuta nella sola sezione del T.u.i.r. relativa  ai redditi di lavoro autonomo, la sua applicazione agli autonomi forfetari creerebbe una disparità di trattamento a sfavore degli imprenditori forfetari, che non fruiscono di una analoga esenzione.

Non è tuttavia difficile rilevare come il nostro sistema preveda una serie assai ampia di differenti trattamenti tra autonomi ed imprenditori, tanto nella misura quanto nella possibilità di deduzione dei costi. Basterà qui ricordare, quali esempi particolarmente significativi:

  • la deduzione delle spese di rappresentanza, diversa per misura (1% dei compensi per gli autonomi; 1,5% dei ricavi - fino a 10 milioni - per gli imprenditori) e meccanismo (fissa per gli autonomi, suddivisa in scaglioni per gli imprenditori);
  • il diverso trattamento degli immobili, ammortizzabili per l’imprenditore ma non per il lavoratore autonomo (salvo eccezioni).

Il diverso trattamento impositivo tra le categorie del lavoro autonomo e dell’impresa è dunque ampiamente presente nel nostro ordinamento tributario, e non pare perciò argomento atto ad invalidare quanto ritraibile dalla interpretazione letterale dell’art. 54 T.u.i.r. in merito alla non imponibilità dei rimborsi delle spese degli autonomi.


4) La relazione tecnica al D. Lgs. 192/2024

Quale ultimo argomento per la imponibilità dei rimborsi spese analitici per i soli autonomi che applicano il regime forfetario viene citata la Relazione tecnica al D. Lgs. 192/2024, che ha introdotto nell’art. 54 la modifica in argomento.

Ora, tale Relazione recita (a commento dell’art. 54 ter): “sotto il profilo strettamente finanziario, la disposizione non determina effetti rispetto a quanto già disposto a legislazione vigente. In particolare, trattandosi di rimborsi di spese sostenute per il committente, già a legislazione vigente le stesse rappresentano una posta che agisce sia nei ricavi sia nei costi”.

Se la Relazione prevedeva che la norma non avrebbe prodotto effetti finanziari, si argomenta, essa non può riguardare i forfetari, in quanto l’applicazione a tali contribuenti un effetto l’avrebbe: con la vecchia norma essi non deducevano il costo dell’onere rimborsabile ma subivano l’imposizione sul conseguente rimborso, mentre con l’applicazione ai forfetari dell’art. 54 c.2 lett. b) tale imposizione verrebbe meno.

L’argomento merita indubbiamente di essere preso in considerazione[8].

Osserviamo perciò che, tralasciando gli effetti verosimilmente modesti che avrebbe la mancata tassazione dei rimborsi in capo agli autonomi forfetari[9], andrebbe anzitutto chiarito perché – se non nella normativa – almeno nella Relazione non sia stato esplicitato che la norma escluderebbe i forfetari, e si sarebbe invece lasciato che questa esclusione “implicita” debba ricavarsi in via totalmente indiretta dalla lettura degli atti di accompagnamento allo Schema di decreto legislativo che si è infine tradotto nella normativa qui in esame. E non sarà forse inutile rammentare che ubi lex voluit, dixit.

Ma è soprattutto opportuno ricordare che la nuova normativa è stata emanata in attuazione della legge delega per la riforma fiscale (L. 9 agosto 2023, n. 111)[10]. In proposito la Relazione illustrativa precisa che con la riforma si intendeva superare “«la criticità emergente, per i lavoratori autonomi, di dover considerare compensi anche l’ammontare delle spese che contrattualmente sono a carico del committente e che sono da quest’ultimo rimborsate», dovendosi ritenere che «il contrasto di interessi tra il detto committente e l’artista o il professionista è sufficiente a disincentivare possibili comportamenti evasivi»”.

Due elementi si ricavano dunque dalla Relazione illustrativa.

Il primo è che la Relazione alla originaria legge delega – nella quale ad evidenza si ritrova la motivazione della norma poi emanata in applicazione della delega medesima - chiarisce che il compito perseguito dal legislatore è quello di superare la criticità, per i lavoratori autonomi, di dover considerare compensi anche l’ammontare delle spese che contrattualmente sono a carico del committente. Tali spese, cioè, sono esplicitamente qualificate come spese proprie del committente, ed il fatto che la precedente formulazione normativa costringesse a trattare i relativi rimborsi alla stregua di compensi rappresenta una “criticità”, poiché evidentemente essi compensi non sono.

Il secondo è che la preoccupazione del legislatore si focalizza non tanto sul “saldo zero” della norma da introdurre, quanto sulla possibilità che si creino fenomeni evasivi. Possibilità che, a seguito del venir meno dell’imponibilità dei rimborsi, viene esclusa in virtù del contrasto di interessi[11] esistente tra lavoratore autonomo e committente. Quest’ultimo, infatti, non ha interesse a rimborsare fittiziamente al primo oneri non effettivamente sostenuti per svolgere l’incarico conferito. E non pare che tale contrasto di interessi venga meno ove il lavoratore autonomo che fornisce la prestazione sia un forfetario, realizzandosi così la volontà del legislatore della delega in entrambi i casi.

5) Conclusioni

Conclusivamente, pare a chi scrive che le critiche all’applicabilità ai lavoratori autonomi forfetari della lettera b) del secondo comma dell’art. 54 abbiano scarsa ragion d’essere, dovendosi attribuire maggior pregio forse all’ultima argomentazione, che coinvolgendo profili di finanza pubblica (per quanto verosimilmente limitati) si presenta più delicata.

Ma in effetti, l’interprete che volesse dare una lettura equilibrata dell’art. 54 del T.u.i.r. per il suo tenore letterale faticherebbe non poco a trovarvi motivazioni per non applicarlo anche ai contribuenti forfetari.

Pur ritenendo inconferenti almeno le prime due argomentazioni da altri avanzate, e poco incisiva la terza, dobbiamo quindi, purtroppo, anche noi affermare che sarebbe oltremodo opportuno un sollecito intervento chiarificatore da parte dell’Amministrazione.

In attesa del quale il lavoratore autonomo forfetario avrebbe più di un motivo per escludere i rimborsi spese dal proprio reddito, lasciando alle C.G.T. il compito di dirimere la questione in caso di eventuale accertamento.

 

NOTE 

[1] Si tratta delle spese sostenute per lo svolgimento dell’attività ma la cui documentazione è intestata al lavoratore autonomo, e non al committente. Il rimborso delle spese anticipate dal lavoratore ma intestate al committente è invece pacificamente escluso (e già era così in precedenza) che abbia natura reddituale.   

[2] Ove si tratti di spese di vitto, alloggio, viaggio e trasporto mediante autoservizi pubblici non di linea la non imponibilità si ha a condizione che i relativi pagamenti non avvengano in contanti (art. 54, c. 2 bis).

[3] Questa, come si vedrà oltre, è esattamente l’impostazione rinvenibile nella Legge delega per la riforma fiscale.

[4] L. 23/12/2014, n. 190, art. 1, commi 54 e seguenti.

[5] Secondo la L. 190/2014, art. 1, c. 64 “i soggetti di cui al comma 54 determinano il reddito imponibile applicando all'ammontare dei ricavi o dei compensi percepiti il coefficiente di redditività nella misura indicata nell'allegato n. 4 annesso alla presente legge”.

[6] Usiamo per semplicità di scrittura la consueta formula “compenso” per intendere ciò che, nella attuale dicitura “omnicomprensiva”, è indicato dall’art. 54 come “tutte le somme e i valori in genere a qualunque titolo percepiti nel periodo di imposta in relazione all'attività artistica o professionale”. Di recente l’Agenzia delle Entrate si è focalizzata su tale elemento di omnicomprensività con la Risposta 171/2025.

[7] Peraltro, il fatto che il bollo sia onere proprio del soggetto che emette la fattura era già stato chiarito dall’Amministrazione con risposta ad interpello nr. 67 del 20.2.2020.

[8] Per quanto le relazioni di accompagnamento siano da considerare “un buon mezzo di interpretazione della legge, allo scopo soprattutto di ricostruire la c.d. intenzione del legislatore, ma senza avere un valore giuridico preciso e comunque vincolante”. Cfr. A. Lupo: Alla ricerca della motivazione delle leggi: le relazioni ai progetti di legge in parlamento, pag. 79 (https://iris.luiss.it/retrieve/e163de42-ab97-19c7-e053-6605fe0a8397/Osservatorio2000-03-LUPO%2067-112.pdf).

[9] Si consideri, per avere una idea della dimensione del fenomeno, che tali rimborsi nel 2022 sono quantificati dalla Relazione tecnica in circa 9,6 milioni di euro per gli autonomi “ordinari”, e che i forfetari sono nel nostro Paese circa il 50% delle partite Iva. 

[10]Per quanto concerne i rimborsi spese di cui alla lettera b), la loro esclusione dal concorso alla formazione del reddito dà attuazione al criterio direttivo di cui al n. 2.1), primo periodo, dell’articolo 5, comma 1, lettera f), della legge delega”.

[11] La presenza del contrasto di interessi rappresenta, per il nostro legislatore, un elemento di particolare rilievo. Ad esempio, con Risoluzione del 17/02/1982 n. 512, era stata perfino riconosciuta - proprio in virtù dell’esistenza di un chiaro contrasto d’interessi - la deducibilità dal reddito aziendale di alcune spese sostenute da dipendenti di un’impresa ma non documentate.

 

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