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TAX CONTROL FRAMEWORK OPZIONALE: STRUMENTO DI COMPLIANCE E GOVERNANCE

Tax control framework opzionale: strumento di compliance e governance

TFC opzionale: passaggio decisivo nell’evoluzione della fiscalità d’impresa

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L’introduzione del tax control framework opzionale, disciplinato dall’art. 7-bis del d.lgs. 128/2015 e dal DM 9 luglio 2025, rappresenta un passaggio decisivo nell’evoluzione della fiscalità d’impresa.

Lo strumento consente anche alle PMI di dotarsi di un sistema certificato di gestione del rischio fiscale, con effetti premiali in ambito sanzionatorio e penale. Centrale è la mappatura standardizzata dei rischi, inclusi quelli derivanti dai principi contabili, oggetto di recenti provvedimenti e dalle linee guida dell’Agenzia delle Entrate. Pur comportando oneri organizzativi rilevanti e un controllo ex post, il regime offre vantaggi indiretti in termini di governance, compliance e reputazione. Si tratta dunque di un istituto che, se ben calibrato, può rafforzare la certezza del diritto e la competitività delle imprese.

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1) Il tax control framework opzionale: uno strumento di compliance e governance alla prova dei controlli

La riforma fiscale avviata dalla legge delega n. 111 del 2023 e attuata, tra l’altro, mediante i d.lgs. n. 221 del 2023 e n. 108 del 2024, ha profondamente rinnovato l’impianto dei rapporti tra contribuente e Amministrazione finanziaria.

L’idea di fondo è che la fiducia si costruisca attraverso trasparenza e condivisione preventiva dei rischi fiscali, superando la logica del controllo solo repressivo e premiando le condotte virtuose. 

In questa prospettiva si inserisce non soltanto l’evoluzione del regime di adempimento collaborativo disciplinato dagli artt. 3–7 del d.lgs. 128/2015, già sperimentato dalle grandi imprese, ma anche l’introduzione del regime opzionale di adozione del tax control framework, previsto dall’art. 7-bis del medesimo d.lgs. 128/2015 e disciplinato dal decreto ministeriale 9 luglio 2025.

Il nuovo istituto è rivolto principalmente a quella vasta platea di imprese che non raggiunge le soglie dimensionali per accedere alla cooperative compliance, oggi progressivamente ridotte ma pur sempre elevate (a regime, 100 milioni di euro di volume d’affari o ricavi dal 2028).

Per tali soggetti si apre la possibilità di adottare un sistema certificato di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale – il TCF – che, pur senza consentire l’ingresso nel regime collaborativo pieno, offre benefici concreti sul piano sanzionatorio e reputazionale, come previsti dagli artt. 4 e 5 del DM 9 luglio 2025.

La logica è quella di proporre un modello proporzionato alle medie imprese, chiamate a strutturare un presidio organizzativo serio ma non eccessivamente oneroso, capace di ridurre i margini di incertezza e garantire all’Amministrazione finanziaria un interlocutore affidabile.

L’opzione, esercitabile mediante comunicazione telematica all’Agenzia delle Entrate, decorre dall’inizio del periodo d’imposta e produce effetti immediati, a condizione che l’impresa disponga dell’insieme di documenti previsti dall’articolo 2, comma 3, del decreto ministeriale 9 luglio 2025 – descrizione dell’attività, strategia fiscale approvata dall’organo amministrativo in data anteriore all’opzione, documento di sistema (Tax Compliance Model), mappa dei processi aziendali, mappa dei rischi fiscali e certificazione del TCF – da allegare al modello di opzione ai sensi dell’articolo 4, comma 2, del medesimo decreto. 

Quest’ultima, ai sensi dell’articolo 3, comma 5, deve essere munita di “data certa” anteriore all’esercizio dell’opzione, così da attestare in via preventiva l’effettiva implementazione e l’operatività del sistema di controllo del rischio fiscale.

Elemento cardine è dunque la certificazione, che rappresenta il tratto distintivo rispetto al passato “modello aperto”.

Come chiarito dalle Linee guida approvate con i provvedimenti del 29 ottobre 2025 per il comparto industriale e del 7 agosto 2025 per il settore assicurativo, l’obiettivo è la standardizzazione: il TCF deve rispettare requisiti minimi comuni, in particolare la mappatura dei rischi fiscali, inclusi quelli derivanti dai principi contabili applicati dal contribuente.

La certificazione, disciplinata dal DM 9 luglio 2025, è rilasciata da professionisti indipendenti (avvocati o dottori commercialisti) e attesta non solo l’effettiva implementazione del sistema, ma anche la coerenza con i presidi contabili previsti dalle Linee guida settoriali e, ove applicabile, dalla normativa nazionale in materia di controlli interni.

La mappa dei rischi e dei controlli fiscali assume così un valore centrale. Le Linee guida settoriali precisano che la stessa non si limita a descrivere i rischi di adempimento operativo, ma deve includere anche i presidi relativi alle aree contabili rilevanti, così da garantire coerenza con il sistema di controllo interno ex legge 262/2005 o con modelli internazionali come il Sarbanes-Oxley Act. 

Laddove tali modelli non siano adottati, il contribuente deve integrare il TCF con specifici controlli chiave contabili, formalizzati nella risk and control matrix. La mappatura si concentra prioritariamente sui rischi operativi e contabili, inclusi quelli derivanti dai principi contabili applicati, mentre i profili interpretativi trovano usualmente sede in documentazione distinta, come gli interpelli o le posizioni ufficiali dell’Amministrazione finanziaria.

Il disallineamento temporale tra durata dell’opzione e frequenza della certificazione rappresenta uno degli aspetti più delicati. Il DM 9 luglio 2025 stabilisce infatti che il regime abbia durata biennale, rinnovabile tacitamente per altri due periodi d’imposta, salvo revoca espressa che impedisce il rinnovo automatico (articolo 6). La certificazione del sistema deve essere aggiornata in conformità al Regolamento adottato ai sensi dell’articolo 4, comma 1-ter, del d.lgs. 128/2015, richiamato dall’articolo 3, comma 4, del medesimo decreto ministeriale; la RCMs, secondo le Linee guida settoriali approvate con i provvedimenti del 7 agosto 2025 e del 29 ottobre 2025, deve invece essere aggiornata almeno annualmente. Le stesse Linee guida chiariscono, tuttavia, che gli aggiornamenti annuali della mappa o della RCMs non comportano un autonomo obbligo di nuova certificazione, che resta triennale.

Ne deriva che l’impresa può trovarsi a gestire un aggiornamento della certificazione o della RCMs all’interno dello stesso ciclo di opzione, con un conseguente aggravio organizzativo e finanziario che rischia di incidere sull’attrattività complessiva dello strumento, soprattutto per le realtà di dimensioni minori.

Quanto agli effetti premiali, essi si concentrano sul versante sanzionatorio e penale: ai sensi dell’art. 5, commi 1–3, DM 9 luglio 2025, l’interpello ex art. 11 L. 212/2000 - presentato agli uffici competenti di cui ai provvedimenti AE 4.1.2016 n. 27 e 1.3.2018 n. 47688 - costituisce condizione per il riconoscimento dei benefici. 

La preventiva e circostanziata rappresentazione del rischio comporta la non applicazione delle sanzioni amministrative e integra causa di non punibilità per il reato di dichiarazione infedele ex art. 4 d.lgs. 74/2000, ma solo entro i limiti degli elementi attivi oggetto dell’istanza e fermo restando il rispetto dei requisiti di ammissibilità e coerenza dell’interpello.

Accanto ai benefici diretti sul piano sanzionatorio e penale, il TCF opzionale è in grado di produrre importanti vantaggi indiretti in termini di governance. 

La predisposizione di procedure formalizzate e di una mappa dei rischi standardizzata consente infatti una gestione più ordinata e trasparente delle attività fiscali, incrementando l’affidabilità dell’impresa nei confronti di partner commerciali, investitori e istituti di credito.

Tutto questo incide positivamente anche sul profilo ESG, poiché la gestione responsabile del rischio fiscale è ormai considerata una componente qualificante della sostenibilità aziendale. Inoltre, se integrato con i modelli organizzativi previsti dal d.lgs. 231/2001, il TCF può contribuire a prevenire la responsabilità amministrativa da reato, rafforzando il sistema di controllo interno e consolidando la reputazione complessiva dell’impresa. 

È essenziale, tuttavia, che la mappa dei rischi fiscali sia mantenuta costantemente aggiornata e coerente con l’evoluzione dei processi aziendali, come indicato dalle Linee guida dell’Agenzia delle Entrate. 

A fini di chiarezza, va ricordato che la mappatura non comprende i rischi interpretativi, che devono essere oggetto di un documento distinto, ma esclusivamente i rischi operativi e contabili rilevanti, inclusi quelli derivanti dai principi contabili applicati e dalle relative regole di rappresentazione.

In conclusione, il TCF opzionale rappresenta una novità significativa nel panorama della fiscalità d’impresa: uno strumento che, se da un lato impone oneri organizzativi non trascurabili, dall’altro promette importanti ritorni in termini di certezza giuridica, riduzione del rischio sanzionatorio e rafforzamento della governance. 

Molto dipenderà dalla capacità del legislatore e dell’Amministrazione di calibrare il modello sulle effettive dimensioni e risorse delle imprese destinatarie. 

È opportuno ricordare che, ai sensi dell’articolo 5, comma 5 del DM 9 luglio 2025, la perdita dei requisiti comporta la decadenza dai benefici sanzionatori con effetto dall’inizio del periodo d’imposta in cui la condizione si è verificata: un profilo che accentua la necessità di un presidio costante, dell’aggiornamento periodico della certificazione e della mappa dei rischi e della puntuale allegazione della documentazione al modello di opzione. Solo così il regime potrà trasformarsi da adempimento formale a reale leva di competitività e sostenibilità.

Fonte immagine: Foto di FlyFin Inc da Pixabay
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