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MESSA A DISPOSIZIONE PERSONALE: IVA E DIFFERENZE TRA DISTACCO E SOMMINISTRAZIONE

Messa a disposizione personale: IVA e differenze tra distacco e somministrazione

Approfondimento sulle novità in tema di IVA sulla messa a disposizione di personale. Differenze anti-unionali tra distacco e somministrazione di personale

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L’evoluzione normativa e giurisprudenziale attestatasi con riguardo all’applicazione dell’Iva sulla messa a disposizione di personale, se da un lato ha chiarito i termini applicativi dell’imposta in materia di distacco/prestito di personale, dall’altro non ha correttamente valutato gli effetti derivanti dalle attività svolte dalle Agenzie per il lavoro che, in base all’art. 26-bis della legge n. 196/1997, continuano ad escludere dalla base imponibile Iva tutta la parte di corrispettivo equivalente al costo retributivo, previdenziale e assistenziale dei lavoratori. 

Tale circostanza, sulla base di quanto recentemente ripetuto dalla Corte di giustizia UE nella nota sentenza 11 marzo 2020, causa C-94/19, nonché tenuto conto della (ridotta) novella normativa di cui all’art. 16-ter del D.L. n. 131/2024, continua a creare forti attriti tra l’impalcatura normativa nazionale e la disciplina unionale di cui alla Direttiva Iva del 28 novembre 2006, n. 2006/112/Ce e alla sesta Direttiva n. 77/388/Cee del Consiglio, del 17 maggio 1977.

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1) La definizione: distacco e somministrazione di personale

L’art. 30 del D.lgs. n. 81/2015 definisce il contratto di somministrazione di lavoro come “il contratto, a tempo indeterminato o determinato, con il quale un'agenzia di somministrazione autorizzata, ai sensi del decreto legislativo n. 276 del 2003, mette a disposizione di un utilizzatore uno o più lavoratori suoi dipendenti, i quali, per tutta la durata della missione, svolgono la propria attività nell'interesse e sotto la direzione e il controllo dell'utilizzatore”. 

In particolare, le norme contenute nell’art. 30 e ss. del citato D.lgs. n. 81/2015, hanno disciplinato la “somministrazione di lavoro” abrogando e sostituendo le previsioni prima contenute negli artt. da 20 a 28 del D.lgs. n. 276/2003.

Le attività di somministrazione, intermediazione, ricerca e selezione del personale, supporto alla ricollocazione professionale, infatti, possono essere svolte esclusivamente dalle Agenzie per il lavoro, ossia da società iscritte in apposito Albo istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ai sensi dell’art. 4, comma 1, D.lgs. n. 276/2003, in possesso di specifici requisiti giuridici e finanziari ed autorizzate ai sensi dell’art. 4, comma 2, del menzionato D.lgs. n. 276/2003.

L’art. 30 del D.lgs. n. 276/2003 disciplina, invece, il distacco e il prestito di personale che si concretizza quando: 

  • i) un datore di lavoro (cd. "distaccante") mette a disposizione temporaneamente, a favore di un altro soggetto (cd. "distaccatario"), uno o più lavoratori per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa; 
  • ii) tale datore di lavoro rimane comunque responsabile del trattamento economico e normativo a favore del lavoratore; 
  • iii) l’operazione è posta in essere dal distaccante con la finalità di soddisfare un proprio interesse di natura produttiva diverso da quello meramente economico di ritrarre un profitto dalla messa a disposizione di personale[1].

2) Il quadro attuale in termini di applicazione dell'IVA

Con riferimento all’applicazione dell’Imposta su valore aggiunto, deve sottolinearsi quanto segue:

  • per quanto concerne il distacco e i prestiti di personale, come noto, era in vigore, fino al 15.11.2024, l’art. 8, comma 35, della Legge 11 marzo 1988, n. 67, secondo cui: “Non sono da intendere rilevanti ai fini dell'imposta sul valore aggiunto i prestiti o i distacchi di personale a fronte dei quali è versato solo il rimborso del relativo costo”. La norma – che, come interpretato[2] dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, escludeva dall’assoggettamento ad imposta solo le ipotesi in cui il corrispettivo versato dal distaccatario fosse uguale al costo dei lavoratori distaccati – è stata abrogata dall’art. 16-ter, comma 1, del D.L. n. 131/2024 che, recependo le statuizioni formulate dalla Corte di Giustizia UE con la sentenza 11 marzo 2020, causa C-94/19, ha disposto che, dal 1° gennaio 2025, tali prestazioni devono, in ogni caso, essere assoggettate ad Iva, anche quando sono rese a fronte del mero rimborso del costo;
  • con riguardo, invece, alla somministrazione di manodopera, l’art. 26-bis della Legge n. 196/1997nel disporre l’applicazione dell’Iva solamente sulla parte di corrispettivo che eccede le somme riferite al rimborso del costo dei lavoratori somministrati – stabilisce che: “I rimborsi degli oneri retributivi e previdenziali che il soggetto utilizzatore di prestatori di lavoro temporaneo è tenuto a corrispondere ai sensi dell'articolo 1, comma 5, lettera f), all'impresa fornitrice degli stessi, da quest'ultima effettivamente sostenuti in favore del prestatore di lavoro temporaneo, devono intendersi non compresi nella base imponibile dell'IVA di cui all'articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633. Resta fermo il trattamento fiscale già applicato e non si fa luogo al rimborso di imposte già pagate, ne è consentita la variazione di cui all'articolo 26 del citato decreto n. 633 del 1972[3].

3) L'evoluzione normativa e giurisprudenziale registrata sul punto

Come noto, in relazione alla specifica tematica, si è registrata una importante evoluzione normativa e giurisprudenziale e, in particolare:

  • la Corte di Cassazione, nell’ordinanza di rimessione alla Corte di Giustizia UE, n. 2385, dep. il 29 gennaio 2019, riferendosi al generale concetto di “messa a disposizione di personale” (cfr. par.fi 11.1 e 16.1 dell’ordinanza), tra cui rientrano sia il distacco, sia la somministrazione di personale (ora regolata, come detto, dal D.lgs. n. 81/2015), ha segnalato alla Corte di Giustizia UE che dall’applicazione delle norme nazionali di riferimento emerge un’ingiustificata disparità di trattamento ai fini Iva tra i diversi strumenti mediante i quali si attuano tali prestazioni di personale (con puntuale riguardo proprio alle ipotesi di distacco rispetto alla somministrazione di manodopera).

In particolare, la Suprema Corte, aveva messo in evidenza la circostanza che:

  • i) nel distacco, solo ove il corrispettivo fosse inferiore o superiore al mero costo del personale, in base all’interpretazione formatasi sul contenuto dell’art. 8, comma 35, della Legge n. 67/1988[4], il corrispettivo avrebbe dovuto essere totalmente assoggettato a Iva, mentre nella somministrazione di manodopera, secondo quanto sancito dal citato art. 26-bis della Legge n. 167/1996, la base imponibile Iva sarebbe (sempre) costituita solamente dalla parte di corrispettivo che eccede il costo dei lavoratori somministrati.

Tale criticità, secondo la Suprema Corte, incide sul principio di neutralità fiscale che è espressione, si afferma, del più generale principio della parità di trattamento (sul punto, si richiama anche Corte giust. 19 dicembre 2018, causa C-51/18, punto 55), in virtù del quale merci o prestazioni del medesimo tipo, in potenziale concorrenza tra esse, vanno trattate, quanto all’Iva, in maniera uniforme;

  • la Corte di Giustizia UE, in risposta alle richieste sollevate dalla Suprema Corte, con la sentenza pronunciata nella Causa C-94/19 dell’11 marzo 2020, ha chiarito quanto segue:
  • una prestazione di servizi è eseguita a titolo oneroso, ai sensi e della Sesta direttiva e della Direttiva IVA, soltanto se esiste, tra il prestatore e il beneficiario, un rapporto giuridico nel corso del quale sono scambiate prestazioni che “si condizionano reciprocamente” (vale a dire che l’una è compiuta solo a condizione che lo sia anche l’altra, e viceversa);
  • la retribuzione percepita dal prestatore, deve costituire l’effettivo controvalore del servizio fornito al beneficiario (cfr. Corte giust. 18 gennaio 2017, causa C-37/16, punti 25 e 26) e ciò si verifica quando sussiste un nesso diretto tra il servizio reso e il controvalore ricevuto, quando cioè le somme versate costituiscano l’effettivo corrispettivo di un servizio individualizzabile fornito nell’ambito di un siffatto rapporto giuridico;
  • al fine di recepire l'orientamento dei giudici unionali, l'art. 16-ter del D.L. n. 131/2024, come detto, ha abrogato l’art. 8, comma 35, della Legge n. 67/1988, sancendo che: “Il comma 35 dell'articolo 8 della legge 11 marzo 1988, n. 67, è abrogato. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano ai prestiti e ai distacchi di personale stipulati o rinnovati a decorrere dal 1° gennaio 2025; sono fatti salvi i comportamenti adottati dai contribuenti anteriormente a tale data in conformità alla sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea dell'11 marzo 2020, nella causa C94/19, o in conformità all'articolo 8, comma 35, della legge n. 67 del 1988, per i quali non siano intervenuti accertamenti definitivi”.


4) Le unteriori criticità di sistema e le conseguenze

Dall’analisi del quadro giurisprudenziale e normativo sopra delineato, continuano ad emergere delle rilevanti criticità di sistema.

In particolare:

  • la Direttiva Iva del 28 novembre 2006, n. 2006/112/Ce (cfr. art. 2), analogamente alla sesta Direttiva n. 77/388/Cee del Consiglio, del 17 maggio 1977, annovera tra le operazioni imponibili le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso all’interno del Paese da un soggetto passivo che agisca in quanto tale (sul punto, Corte giust. 3 settembre 2015, causa C-463/14, punto 33);
  • tra le prestazioni di servizi, ai sensi dell’art. 9 della Sesta Direttiva e dell’art. 56 della Direttiva Iva, bisogna includere anche la “messa a disposizione di personale”, categoria che ingloba sia il distacco/prestito, sia la somministrazione di personale;
  • le prestazioni di servizi sono da considerare a titolo oneroso, ai sensi dell’art. 2, punto 1, della Sesta Direttiva, quando, come già evidenziato, la retribuzione percepita dal prestatore costituisce l’effettivo corrispettivo di un servizio individualizzabile fornito nell’ambito di un negozio giuridico insistente tra le parti implicante la stipulazione di un prezzo/controvalore (cfr. Corte giust. 18 gennaio 2017, causa C-37/16, punti 25 e 26 e 11 marzo 2020, causa C-94/19, punto 20). Ciò si verifica quando sussiste un nesso diretto tra il servizio reso e il corrispettivo ricevuto (Corte giust. 22 giugno 2016, causa C‑11/15, punti 21 e 22, C‑295/17, punto 39, C‑242/18, punto 69, C-16/93, punti da 13 a 20, C-258/95, punti da 15 a 17, C-33/93, punto 16). Peraltro, sempre secondo i giudici unionali (Corte giust. 22 giugno 2016, causa C-267/15, punto 40), non è necessario, ai fini dell’Iva, che lo scambio sia lucrativo, poiché è indifferente il risultato dell’operazione economica.

In altri termini, sulla scorta di quanto ricostruito, se il pagamento degli importi fatturati costituisce la condizione affinché sia messo a disposizione il personale e se tale pagamento è eseguito a titolo di corrispettivo, emerge un nesso diretto tra le due prestazioni con la conseguenza che l’operazione deve essere assoggettata a Iva non avendo alcun rilievo, come visto, l’entità del corrispettivo, inferiore o superiore al costo del lavoro (Corte giust. 20 gennaio 2005, Causa C-412/03, punto 22, C-263/15, punti 45 e 46).

Ma se tali circostanze possono essere presenti, come rilevato dalla Corte di giustizia UE, sia nel distacco sia nel prestito di personale, le operazioni di somministrazione di personale sono sempre connotate da tali requisiti.

È noto, infatti, che le Agenzie per il lavoro di cui agli artt. 4 e 5 D.lgs. n. 276/2003, nel somministrare lavoratori alle aziende richiedenti con finalità esclusivamente lucrative, in ogni caso:

  • pongono in essere prestazioni di servizi a titolo oneroso;
  • stipulano appositi contratti con i soggetti utilizzatori al fine di stabilire il prezzo/corrispettivo per la messa a disposizione di personale;
  • fissano un corrispettivo contrattuale che necessariamente è in connessione diretta col servizio reso date le finalità di lucro perseguite;
  • il corrispettivo richiesto, peraltro, è sempre caratterizzato dalla presenza di un mark-up che costituisce il fine proprio dell’attività svolta da tali soggetti.

Da quanto appena ricostruito, emerge un ulteriore profilo di criticità connesso alla individuazione del trattamento Iva da riservare in relazione alle prestazioni di somministrazione di lavoro compiute dalle Agenzie per il lavoro ai sensi degli artt. 4 e 5 del D.lgs. n. 276/2003 nella considerazione che:

  • il rispetto delle previsioni di cui all’art. 26-bis della Legge n. 196/1997, si pone in evidente contrasto con le disposizioni dell’art. 2, punto 1, della Sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto;
  • l’esclusione dalla base imponibile Iva della parte di corrispettivo equivalente al costo del lavoro del personale somministrato appare, inoltre, non in linea con i principi stabiliti dalla Corte di Giustizia UE in numerose pronunce tra cui, da ultimo, la sentenza 11 marzo 2020, causa C-94/19;
  • anche una più attenta analisi del dato normativo, peraltro, sembra incoraggiare l’inapplicabilità dell’art. 26-bis citato ai casi di somministrazione di lavoro secondo le disposizioni oggi vigenti. Ciò, in quanto:
  • la norma di cui al menzionato art. 26-bis, è stata introdotta, nel corpo della Legge n. 196/1997, dall’art. 7, comma 1, della Legge n. 133/1999 ed è in vigore dal 17.05.1999;
  • l’art. 86, comma 4, del D.lgs. n. 276/2003 di riforma del lavoro, in vigore dal 9.10.2003, ha sancito che “Le disposizioni di cui all'articolo 26-bis della Legge 24 giugno 1997, n. 196, e di cui al n. 5-ter dell'articolo 2751-bis del codice civile si intendono riferiti alla disciplina della somministrazione prevista dal presente decreto” ossia, si fa notare, dagli artt. da 20 a 28 dello stesso D.lgs. n. 276/2003 che sono stati abrogati nel 2015;
  • l’art. 55, comma 1, del D.lgs. n. 81/2015, di ulteriore riforma del mercato del lavoro, infatti, ha abrogato, tra l’altro, tutte le norme in tema di somministrazione di lavoro contenute negli artt. da 20 a 28 del D.lgs. n. 276/2003, ridisegnando la disciplina della somministrazione di lavoro che, dal 25 giugno 2015, è contenuta negli artt. da 30 a 40 dello stesso D.lgs. n. 81/2015.

In altri termini, alla luce della lettura delle suddette norme, l’art. 26-bis in parola non si riferisce più alla somministrazione di lavoro post riforma:

  • i) sia in base all’interpretazione letterale delle norme, visto che la somministrazione di lavoro non è più compendiata nel D.lgs. n. 276/2003, ma nel D.lgs. n. 81/2015, risultando di fatto non applicabile il rimando contenuto nell’art. 86, comma 4, D.lgs. n. 276/2003; 
  • ii) sia sul piano meramente semantico dato che l’art. 26-bis fa ancora riferimento al “lavoro temporaneo” categoria, questa, che a seguito della più recente riforma è stata cancellata e assorbita nella “Somministrazione di lavoro”;
  • non da ultimo, l’esclusione dalla base imponibile Iva di tali importi potrebbe esporre gli operatori a possibili contestazioni e recuperi da parte dell’Amministrazione finanziaria.

Non sussistono, ad oggi, infatti, sufficienti margini per escludere del tutto che la stessa Amministrazione possa procedere alla disapplicazione della norma di cui all’art. 26-bis in parola in quanto confliggente con il diritto UE. Ciò, in particolare, potrebbe trarre fondamento sul rispetto del principio di leale collaborazione di cui all’art. 4, par. 3, del Trattato sull’Unione europea (TFU) e sul principio del primato del diritto europeo (artt. 11 e 117 Cost.) che impongono anche all’Amministrazione pubblica di attribuire preminenza alle norme unionali ed evitare di applicare disposizioni interne inficiate da una violazione della normativa unionale (in questo senso, Corte di Giustizia UE, sentenza 20 aprile 2023, causa C-348/22, Consiglio di Stato, sez. VII, sentenze nn. 4479, 4480 e 4481).

In conclusione, oltre che confidare nei giudici aditi affinché provvedano a:

  • disapplicare l’art. 26-bis della Legge n. 196/1997 per evidente contrasto con la Sesta Direttiva (Direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977) e con la Direttiva IVA (Direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006) dal momento che nella somministrazione di manodopera emerge un’evidente finalità di lucro che sorregge la messa a disposizione di personale che non può giustificare, anche alla luce di quanto sancito nella sentenza CGUE n. 94/19, l’esclusione dalla base imponibile IVA della parte di corrispettivo equivalente alle somme ribaltate dal committente all’appaltatore corrispondenti al costo dei lavoratori utilizzati;
  • rimettere gli atti alla Corte di Giustizia UE affinché si pronunci nuovamente circa la compatibilità alla Direttiva IVA e alla Sesta Direttiva della norma di cui 26-bis della Legge n. 196/1997 stabilendo se, nelle ipotesi di somministrazione di personale di cui agli artt. 30 e ss. del D.L. n. 81/2015, debba o meno essere assoggettato a IVA, anche in ragione dei principi stabiliti nella sentenza CGUE n. 94/19, tutto l’importo corrisposto a fronte della somministrazione ricevuta e, quindi, anche la parte di corrispettivo equivalente al ribaltamento dal committente all’appaltatore delle somme corrispondenti al costo dei lavoratori utilizzati, dato che la somministrazione di manodopera, come noto, è chiaramente caratterizzata da un fine di lucro di connotazione economica certamente più marcato rispetto al distacco/prestito di personale nella misura in cui, peraltro: i) è sempre verificabile il condizionamento reciproco tra corrispettivo e messa a disposizione di personale (in tali casi, infatti, la messa a disposizione avviene solamente a fronte di un corrispettivo); ii) le somme corrisposte dall’utilizzatore non possono che corrispondere al corrispettivo per la prestazione ricevuta,

si auspica in un celere intervento del Legislatore che garantisca coerenza all’intero sistema procedendo a riallineare la disciplina nazione rispetto al diritto unionale.

5) NOTE

[1] Cfr. circolare Ministero del Lavoro 15 gennaio 2004, n. 3.

[2] Il riferimento è a Corte di Cassazione, SS.UU., 7 novembre 2011, sentenza n. 23021; 25 luglio 2012, n. 13118; 3 agosto 2012, n. 14053; 27 febbraio 2015, n. 4044, ove è che la disposizione speciale contenuta nella Legge n. 67 del 1988, art. 8, comma 35, non può essere interpretata nel senso di considerare, in caso di compenso superiore al costo, imponibile ai fini Iva la sola parte eccedente quest’ultimo, e, nel caso di compenso inferiore al costo, inapplicabile il tributo. Ciò perché, nel caso dei distacchi “…non è questione di base imponibile, ma di rilevanza o meno dell’operazione che, ove sussistente, comporta, secondo le regole, l’imponibilità dell'(intero) importo versato dal distaccatario”.

[3] Si rileva che, ai sensi dell’art. 86, comma 4, del D.lgs. n. 276/2003 “Le disposizioni di cui all'articolo 26-bis della Legge 24 giugno 1997, n. 196 e di cui al n. 5-ter dell'articolo 2751-bis del codice civile, s’intendono riferiti alla disciplina della somministrazione prevista …” dallo stesso D.lgs. n. 276/2003.

[4] Secondo cui: “Non sono da intendere rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto i prestiti o i distacchi di personale a fronte dei quali è versato solo il rimborso del relativo costo”.

Fonte immagine: Foto di Mohamed Hassan da Pixabay
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