In base all'articolo 737 del Codice civile (e successivi), per effetti della collazione ereditaria, i figli e il coniuge superstite che accettano un'eredità devono conferire alla massa ereditaria tutti i beni ricevuti in vita dal defunto tramite donazioni (anche indirette), per garantire un'equa ripartizione del patrimonio tra gli eredi.
Lo scopo dell'istituto è di ripristinare un equilibrio tra i beni ricevuti dagli eredi, sommando il valore delle donazioni ricevute a quelle ancora presenti nell'eredità per calcolare le quote spettanti.
Pubblichiamo nel seguito uno speciale, estratto dall'eBook "Imposta di registro", sulle novità della riforma 2025 circa la collazione ereditaria.
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1) Collazione ereditaria novità 2025
Ai fini dello scioglimento della comunione ereditaria bisogna tenere conto anche della collazione, disciplinata dall’articolo 737 del Codice civile.
Attraverso tale istituto il coniuge ed i figli o i discendenti del defunto in sede di scioglimento della comunione devono conferire alla massa ereditaria tutto ciò che hanno ricevuto dal defunto per donazione direttamente o indirettamente, salvo che il defunto non li abbia da ciò dispensati (nei limiti della quota disponibile).
Esempio. Tizio, vedovo e con 2 figli , Caio e Sempronio, muore lasciando beni del valore complessivo di euro 300.000. Tizio ha donato in vita a Caio beni per euro 100.000 senza dispensa da collazione.
Caio e Sempronio, chiamati alla successione del padre in parti uguali, intendono procedere allo scioglimento della comunione ereditaria tra essi esistente.
Considerando solo il patrimonio relitto, Caio e Sempronio dovrebbero avere beni del valore di euro 150.000 ciascuno ma, poiché Caio ha ricevuto già per donazione beni del valore di euro 100.000, così facendo Caio riceverebbe complessivamente beni del valore di euro 250.000 mentre Sempronio riceverebbe beni del valore di euro 150.000.
Attraverso l’istituto della collazione si realizza un equilibrio negli apporzionamenti tra i coeredi per cui Caio deve conferire alla massa da dividere (in natura o per imputazione del suo controvalore) quanto da egli ricevuto per donazione per cui la massa complessiva da dividere ammonta ad euro 400.000. Pertanto, Caio e Sempronio dovranno prelevare dalla massa ciascuno un valore di euro 200.000. In caso di collazione per imputazione, invece, Caio (dovendo, appunto, imputare alla sua quota quanto già ricevuto) deve prelevare euro 100.000 mentre Sempronio preleverà dalla massa euro 200.000.
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Prima della Riforma fiscale del 2025 vi era una discrasia tra l’istituto della collazione dal punto di vista giuridico e la tassazione della divisione nella quale veniva effettuata la collazione.
L’Amministrazione Finanziaria, infatti, in ossequio all’allora vigente articolo 34 del TUR considerava ai fini della massa solo il relictum.
Conseguentemente, nel caso in cui i condividenti procedevano alla collazione nell’ambito della divisione facendo emergere dall’atto divisionale le donazioni fatte in vita, naturalmente si verificava un’apparente sproporzione (rispetto al relictum considerato dall’Ufficio) tra quote di fatto e quote di diritto, per cui emergevano i cosiddetti “conguagli fittizi” che venivano tassati dall’Ufficio con l’imposta proporzionale sui trasferimenti.
Esempio. Nell’esempio sopra riportato, considerando la donazione già fatta a Caio di euro 100.000, le quote attribuite in sede di divisione a Caio e Sempronio apparentemente generano dei conguagli.
Infatti, secondo il Fisco la base imponibile della divisione è la massa relitta di euro 300.000 dalla quale Caio e Sempronio dovrebbero avere euro 150.000 ciascuno. Poiché, invece, Caio (a causa della collazione) di fatto preleva dalla massa euro 100.000 mentre Sempronio preleva euro 200.000, si genera un conguaglio fittizio perché “sembra” che la quota di fatto attribuita a Sempronio sia superiore alla quota di diritto ad esso spettante.
Conseguentemente, secondo la prassi generalmente applicata dall’Ufficio una divisione di tale tipo era soggetta all’applicazione della disciplina fiscale (più onerosa) della divisione con conguaglio.
Tale situazione creava un ingiusto aggravio fiscale che è stato più volte contestato, anche dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione che ha affermato che, ai fini della determinazione della base imponibile dell’atto di divisione, le donazioni fatte in vita dal de cuius soggette a collazione sono ininfluenti e, quindi, non possono generare ulteriore tassazione[1].
Ponendo fine a tale contrasto, la riforma del 2025 ha modificato il comma 1 dell’articolo 34 del TUR inserendo espressamente la precisazione che nello scioglimento delle comunioni ereditarie si tiene conto delle donazioni fatte in vita dal de cuius soggette a collazione ma solo ai fini della determinazione della massa comune e delle quote di diritto mentre “tali beni non sono soggetti all'imposta di registro in sede di divisione”.
[1] Cass. n. 11040 del 27/04/2021: “In tema di imposta di registro dovuta sugli atti di divisione ereditaria, l'art. 34 del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, prevedendo che la massa comune è costituita dal valore dell'asse ereditario netto determinato a norma dell'imposta di successione, richiama le disposizioni relative a quest'ultima imposta (nella specie, l'art. 7 del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 637), le quali identificano la base imponibile con il valore netto dell'asse ereditario e delle singole quote, prevedendo che del valore delle donazioni soggette a collazione si tenga conto soltanto ai fini della determinazione delle aliquote, da applicarsi al solo valore dei beni caduti in successione: ne deriva che l'istituto della collazione non trova applicazione nella determinazione della base imponibile, la quale è costituita esclusivamente dall'incremento patrimoniale verificatosi in favore dei successori senza che assuma alcun rilievo il valore dei beni già appartenenti a questi ultimi, il cui assoggettamento a tassazione si tradurrebbe d'altronde in una duplicazione d'imposta, trattandosi di beni sui quali, nella normalità dei casi, è stata già pagata l'imposta sulle donazioni”.
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2) Per saperne di più
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