Nell’ambito del regime di trasparenza fiscale disciplinato dall’art. 5 del TUIR, il reddito delle società di persone è determinato dalla società stessa e imputato ai soci in proporzione alla loro rispettiva quota di partecipazione.
Questo reddito confluisce nel quadro RH del modello Redditi PF dei singoli soci, i quali non hanno alcuna possibilità di discostarsi, autonomamente, dal reddito quantificato dalla società a pena della notifica di un accertamento parziale da parte dell’Amministrazione finanziaria.
La questione però si complica quando il socio ritiene che la società abbia dichiarato un reddito inferiore rispetto a quello effettivamente generato.
In questa circostanza, è legittimo chiedersi se il socio possa procedere, in autonomia, con un ravvedimento operoso, anche in assenza di una iniziativa analoga da parte della società.
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1) Il ravvedimento del socio di società di persone: autonomia possibile, cautela necessaria
Sebbene la prassi amministrativa non si sia finora espressa con chiarezza sul punto, non si può escludere la possibilità di un ravvedimento individuale del socio, soprattutto considerando che la responsabilità per le imposte dirette è personale.
Coerentemente con quanto sostenuto dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. sent. n. 4712 del 22 febbraio 2024 e sent. n. 20099 del 30 luglio 2018), il socio – anche se solo accomandante – risponde personalmente delle sanzioni correlate a una dichiarazione infedele.
Ne consegue che, qualora il socio ritenga errata o incompleta la determinazione del reddito effettuata dalla società, lo stesso deve valutare con molta attenzione la possibilità di presentare di una dichiarazione integrativa personale, pur potendo contare su una base informativa limitata.
In tale circostanza, potrebbero essere la società e gli altri soci (se non si sono avvalsi del ravvedimento operoso) a ricevere un accertamento parziale se, in ambito societario, la violazione ravveduta ha ricadute in ambito IVA o IRAP.
Nel contesto del ravvedimento operoso, infatti, l’inquadramento della posizione del socio di una società di persone richiede un’attenta distinzione a seconda della struttura della sua dichiarazione dei redditi.
In particolare, qualora il quadro RH – relativo alla quota di reddito imputata per trasparenza – costituisca l’unico contenuto della dichiarazione del socio, l’omessa presentazione del modello Redditi PF integrerebbe una violazione qualificabile come dichiarazione omessa.
In questo scenario, l’art. 13, comma 1, lett. c) del D.Lgs. 472/1997 prevede un termine massimo di 90 giorni dalla scadenza originaria per poter accedere all’istituto del ravvedimento operoso (seppur non correlato al ravvedimento operoso, si ricorda che l’art. 1, comma 1 bis, del D.Lgs. 471/1997 in relazione alle violazioni di omessa dichiarazione compiute dal 1.9.2024 prevede che, se la dichiarazione dei redditi è presentata oltre i 90 giorni dalla scadenza ma non oltre i termini di decadenza dell’Agenzia delle entrate dal potere di accertamento e, comunque, prima che il contribuente abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell'inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo, sull'ammontare delle imposte dovute si applica la sanzione prevista per l’omesso versamento, pari al 25%, aumentata al triplo e non quella prevista per la violazione di omessa dichiarazione, pari al 120%).
Diversamente, se il socio è titolare anche di altri redditi, ad esempio di natura diversa o da lavoro dipendente, la mancata compilazione del quadro RH non rende la dichiarazione nel suo complesso omessa, bensì infedele e, pertanto, in tal caso, i termini per il ravvedimento non sono soggetti al rigido limite dei 90 giorni.
Il contribuente potrà quindi sanare l’irregolarità anche successivamente, entro i limiti ordinari di decadenza dell’azione accertativa da parte dell’Amministrazione finanziaria.
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2) Socio di società di persone e ravvedimento: differenze per i vari tributi
La possibilità per il socio di una società di persone di avvalersi del ravvedimento operoso non è uniformemente estesa a tutte le tipologie di tributi.
Se in ambito IRPEF la responsabilità è personale e diretta, il discorso si fa decisamente più articolato in relazione ai tributi c.d. “sociali”, quali IVA e IRAP.
Difatti, se è vero che l’art. 13, comma 1 del D.Lgs. 472/1997 contempla espressamente anche il coobbligato tra i soggetti legittimati a ravvedersi e che, in linea generale, per costante giurisprudenza di legittimità, nel caso di società di persone sussiste una solidarietà tra i soci e la società di carattere non paritario ma sussidiario (Cass. 6617/2021; Cass. 14570/2021; Cass. 23178/2021; Cass. 34539/2021 e Cass. 27713/2022 – mentre di natura paritaria è quella tra i soci ex art. 22291 c.c.), nel senso che i creditori sociali, compresa l’Amministrazione finanziaria, devono prima escutere il patrimonio sociale per potersi rivolgere ai soci per il soddisfacimento del credito tributario (c.d. beneficium excussionis), è altrettanto vero che i medesimi soci non hanno la possibilità materiale di regolarizzare direttamente violazioni relative a IVA e IRAP, non potendo presentare a proprio nome una dichiarazione integrativa riferita a tributi che sono in capo esclusivamente alla società.
L’obbligo dichiarativo, così come la titolarità del debito, permane infatti in capo all’ente collettivo.
Nel contesto delle società in accomandita semplice, il tema della responsabilità tributaria in relazione ai tributi c.d. “sociali” – in particolare IVA e IRAP – deve essere valutato tenendo conto delle specificità che caratterizzano la figura del socio accomandante.
A differenza del socio accomandatario, il quale risponde solidalmente e illimitatamente delle obbligazioni sociali, il socio accomandante gode di un regime di responsabilità limitata, circoscritta esclusivamente alla quota conferita.
Questo principio, di natura civilistica, si riflette anche in ambito tributario, escludendo la possibilità di estendere al socio accomandante eventuali obblighi o conseguenze derivanti da violazioni fiscali commesse dalla società.
Nel caso specifico dei tributi IVA e IRAP, la giurisprudenza di legittimità ha ribadito questo orientamento e, in particolare, la Corte di Cassazione, con le sentenze n. 13565 del 19 maggio 2021 e n. 9429 del 22 maggio 2020 e con l’ordinanza 14 aprile 2020, n. 7793, ha affermato che il socio accomandante non può essere chiamato a rispondere dei debiti tributari della società, in quanto la sua posizione è assimilabile a quella di un socio di società di capitali, il cui patrimonio personale è giuridicamente separato da quello dell’ente.
Tale distinzione assume rilevanza anche con riguardo all’impossibilità per il socio accomandante di procedere al ravvedimento operoso per conto della società, non avendo lo stesso alcuna legittimazione né obbligo in tal senso.
Il principio di trasparenza fiscale non può essere letto come un vincolo assoluto all’iniziativa individuale del socio in materia di ravvedimento operoso.
La responsabilità personale, sancita sia dalla normativa sia dalla giurisprudenza, impone anzi al socio una valutazione autonoma della correttezza delle informazioni dichiarative ricevute dalla società.
L’assenza di documenti di prassi ufficiale sul tema non esime dal rispetto degli obblighi fiscali personali in quanto, in un sistema sempre più orientato alla compliance e alla collaborazione tra contribuente e Amministrazione finanziaria, riconoscere la possibilità di ravvedimento autonomo per il socio non solo appare coerente con la normativa vigente, ma risponde anche a un’esigenza di equità sostanziale.
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