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LA RILEVANZA FISCALE (CATASTALE O ANALITICA) DEI FLUSSI REDDITUALI DELLE IMPRESE AGRICOLE

La rilevanza fiscale (catastale o analitica) dei flussi reddituali delle imprese agricole

Questioni connesse alla tassazione catastale nel reddito dell'impresa agricola: redditi assoggettabili e casi diversi

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Abbiamo già rilevato che il “reddito agrario” esprime il risultato reddituale dell’impresa agricola secondo un criterio forfettario catastale, distinguendosi ovviamente dall’ordinaria tassazione analitica dell’impresa, basata sui costi e i ricavi effettivi. Ai fini della formazione del catasto vengono effettuate infatti operazioni geometrico-topografiche, accompagnate da operazioni di stima per attribuire al terreno un reddito ordinario, basato sulla produzione agricola ritraibile a seconda del genere di coltivazione praticata o del tipo di allevamento. 

La rendita catastale ottenuta rappresenta la produttività standard del fondo che rende irrile­vanti da un lato gli effettivi ricavi della coltivazione – come pure le altre componenti positive del reddito connesse all’attività agricola – dall’altro lato, simmetricamente, i costi effettivi per acquisti di scorte, sementi, salari ai lavoranti, ecc. Le forfetizzazioni dei redditi agricoli impongono infatti un calcolo differenziale, sia pure stimato, anche dei costi. 

All’interno dei costi e ricavi di esercizio presenti nei bilanci, potremmo trovare anche costi e ricavi di carattere straordinario, come minusvalenze o plusvalenze su beni patrimoniali (ad esempio, immobili e in particolare terreni agricoli), e componenti derivanti più in generale da operazioni su valori patrimoniali, come fino a tempi recenti la cessione di “quote latte”, diritti di reimpianto vigneti e oggi diritti ad “aiuti”.

Il tema di fondo è dunque comprendere se tutte le componenti di reddito possano essere assorbite dalla determinazione forfetaria dell’imponibile fiscale oppure se alcune debbano essere considerate, e tassate, autonomamente. In realtà non è tanto la straordinarietà o meno della componente reddituale a permettere di circoscrivere il perimetro delle componenti as­sorbite dalle determinazioni catastali. Le questioni specifiche che si pongono vanno invece risolte con concetti strutturali quali la differenza tra “redditi del fondo”, forfetizzati secondo i criteri catastali, e redditi che sono invece estranei alla funzione delle determinazioni for­fettarie.

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Questo articolo è estratto dal libro "Fiscalità del Food & Beverage" a cura di Francesco Crovato e pubblicato da Maggioli editore nel mese di maggio 2021

1) Il criterio per circoscrivere gli elementi reddituali assorbiti dalla catastizzazione

Occorre infatti considerare la logica sottostante alla rendita che ha la funzione di “norma­lizzare” le componenti riconducibili a una produzione agricola “ordinaria”. Le cosiddette tariffe estimo, ovvero gli imponibili relativi ad un ettaro, sono determinate analizzando i bilanci di un adeguato numero di aziende agricole (chiamate “aziende di studio”) situate in comuni “tipo” che rappresentano, per caratteristiche economiche e agronomiche, un determi­nato numero di altri comuni (“zona di studio”). Peraltro, la nozione di “produzione agricola” deve intendersi non solo in termini di colture, cicli agrari, e via enumerando, ma anche in riferimento a macchinari, tecniche utilizzate, attrezzature, infrastrutture, il cui impiego possa considerarsi agricolo. 

Questo non vuol dire che si debba verificare con precisione millimetrica di quali elementi si tenga conto nella formazione delle rendite. Sarebbe cioè irragionevole scomporne i criteri di formazione per individuare quanto non sia indicato esplicitamente. La rendita si sostituisce comunque al reddito effettivo rendendo irrilevante tutta una serie di elementi reddituali an­che laddove non espressamente indicati nella sua composizione, purché – questo è il punto – siano connessi e funzionali all’attività agricola.

La rendita non copre eventuali elementi estranei alla sua funzione 

La rendita perderebbe invece di significato per ciò che risultasse sostanzialmente estraneo alla sua funzione (“normalizzare” le componenti riconducibili all’attività agricola); in que­sto caso, alcuni fenomeni potrebbero non essere assorbiti nella determinazione catastale e si porrebbe il tema della tassazione di componenti autonome di reddito. Il che accade, come ve­dremo al prossimo paragrafo, solo in ipotesi molto particolari (approfondiremo, ad esempio, il caso delle plusvalenze da cessione dei terreni divenuti edificabili), anche se in passato il contenzioso è stato molto frequente: si possono qui ricordare le controversie relative a quote latte, contributi e altre forme di aiuto all’agricoltura.

Tassazione autonoma di attività, connesse con l’agricoltura, ma non ricomprese nei redditi agrari 

Infine, potrebbe accadere di trovarsi di fronte, non tanto a singoli elementi reddituali ma ad attività che, pur essendo “connesse” con l’agricoltura, non rientrano nei redditi agrari in base alla definizione legislativa dell’art. 32 Tuir. Il tema della rendita qui proprio non si pone; sono le attività ad essere considerate oggettivamente commerciali, e da determinarsi dunque secondo le regole ordinarie del reddito d’impresa: tra queste attività possiamo, ad esempio, menzionare l’affitto abituale di macchine agricole, lo sfruttamento di un bosco come riserva di caccia, la raccolta e la vendita di concime naturale animale.

Questo articolo è estratto dal libro "Fiscalità del Food & Beverage" a cura di Francesco Crovato e pubblicato da Maggioli editore nel mese di maggio 2021

2) Alcuni esempi (costruzioni esistenti sul terreno, contributi, cessione di diritti agli aiuti, affitti di beni, plusvalenze e minusvalenze da cessione di terreni agricoli, ecc.)

Abbiamo visto che la tassazione catastale dovrebbe essere riferita agli elementi redditua­li logicamente connessi all’attività agricola, e non solo in termini di coltura praticata, ma anche di tecniche, attrezzatture, e assorbire più in generale tutto ciò che sia funzionale alla produzione agricola. Seguendo questo ragionamento sono quindi assorbite, e non tassabili o deducibili autonomamente – per fare qualche esempio più significativo – le plusvalenze o minusvalenze per cessione di beni strumentali, gli interessi attivi o passivi, i proventi de­rivanti dall’utilizzazione occasionale delle attrezzature, gli ammortamenti dei macchinari, i già ricordati costi per acquisti di sementi, salari ai braccianti, ecc. Ma vediamo di approfon­dire con qualche altro esempio più particolare.

Costruzioni esistenti sul terreno e relative componenti reddituali 

Il reddito catastale del terreno ricomprende anche quello di eventuali costruzioni rurali esi­stenti su di esso, destinate ad esempio ad abitazione dei coltivatori, alla custodia del bestiame o degli attrezzi, ecc. Per essere assorbiti dalla determinazione catastale, i terreni devono prima di tutto essere “atti alla produzione agricola”: sono perciò esclusi dall’assorbimento i terreni adibiti a pertinenza di fabbricati urbani (ad esempio, giardini: art. 24, comma 2, Tuir) e quelli “urbani”. In genere la qualificazione di terreno “atto alla produzione agricola”, con­trapposta ad esempio alla qualificazione di “pertinenza di fabbricati urbani” (quali, giardini o parcheggi), dipende dalle risultanze catastali relative allo specifico terreno, anche se il contribuente ha l’obbligo di comunicare eventuali variazioni d’uso (alle quali dovrà attener­si – dopo averle effettuate – anche prima che l’ufficio catastale provveda materialmente ad annotare la variazione nei registri). 

In secondo luogo, tali fabbricati c.d. “rurali” non danno luogo ad un reddito autonomo a condizione che siano effettivamente adibiti agli usi agricoli come la protezione delle piante, la conservazione dei prodotti agricoli, la custodia delle macchine agricole, degli attrezzi e delle scorte occorrenti per la coltivazione e l’allevamento, il ricovero degli animali, ecc. Si pensi anche ai terreni dedicati all’agriturismo, in conformità a quanto previsto dalla legisla­zione di settore (L. 20 febbraio 2006, n. 96, su cui capitolo 9), o all’abitazione dei dipendenti esercenti attività agricole nell’azienda. La legislazione ha ad un certo punto disposto l’in­serimento nel catasto dei fabbricati anche degli immobili rurali, proprio allo scopo di tener sotto controllo un patrimonio immobiliare frequentemente riutilizzato per usi non agricoli.

L’affitto dei terreni per usi non agricoli 

Non si possono considerare invece produttivi di reddito catastale i terreni che, pur accatastati come “agricoli”, siano utilizzati o dati in affitto per usi non agricoli. Si pensi ad esempio ai terreni adibiti a rimessaggi, campeggi, riserve di caccia, e via enumerando, che sono da considerare oggettivamente commerciali: i relativi flussi di ricchezza sono dunque qui deter­minati in base alle regole ordinarie del reddito d’impresa o dei redditi diversi.

Contributi 

Passiamo a qualche esempio di componenti per così dire straordinarie, ove occorre applicare sempre il criterio della connessione o meno con l’attività agricola. Nel caso in cui l’azien­da agricola percepisca un contributo per l’acquisto delle attrezzature necessarie alla colti­vazione o all’allevamento, o per ammodernare i propri fabbricati rurali, queste voci sono strettamente collegate all’attività agricola e dunque saranno comprese nel reddito agrario. La determinazione catastale esclude così l’imponibilità autonoma dei contributi che a vario titolo spettano all’agricoltura, compresi quelli provenienti dall’Unione europea per sostegno alla produzione agricola, il che può dare luogo a “rendite fiscali” anche abbastanza signi­ficative.

 

Questo articolo è estratto dal libro "Fiscalità del Food & Beverage" a cura di Francesco Crovato e pubblicato da Maggioli editore nel mese di maggio 2021

 

Plusvalenze e minusvalenze da cessione dei terreni agricoli 

Si pensi anche alla cessione del terreno agricolo, principale bene strumentale delle aziende del settore. Qui la tassazione fondiaria prevale anche, se del caso, sulla disposizione dei redditi diversi che tassa le plusvalenze sulla vendita di terreni, condizionandola al mancato decorso del termine di 5 anni dall’acquisto. Infatti, l’incremento patrimoniale è determinato da un fattore connesso all’attività agricola. Così, per l’imprenditore agricolo individuale o la società semplice agricola, la plusvalenza derivante dalla cessione dalla cessione del fondo o dell’azienda agricola (comprensiva del terreno) rimane logicamente assorbita dalla rendita catastale.

Plusvalenze da cessione di terreni divenuti edificabili

I criteri catastali di determinazione del reddito fondiario non possono invece estendersi fino al punto di assorbire le plusvalenze derivanti dalla cessione di un fondo agricolo divenuto edificabile. L’assorbimento del reddito effettivo nel reddito fondiario è legato alla ricondu­cibilità dell’operazione all’attività agricola; queste plusvalenze, pur essendo formalmente collegate all’impresa agricola, risultano sostanzialmente estranee alla stessa, e dunque anche alla funzione della rendita. Tanto è vero che il valore economico dell’operazione – e quindi della plusvalenza – dipendono proprio dalla perdita del carattere agricolo del terreno e dalla sua nuova qualificazione edificatoria. Si tratta dunque di plusvalenze “atipiche” ed estranee al normale ciclo agricolo, che si generano in ambiti non connessi all’esercizio dell’impresa agraria, ma a strumenti urbanistici. Il sistema forfettario di determinazione catastale perde qui di significato in relazione a un aspetto che esula dal normale esercizio dell’agricoltura.  

La cessione di diritti “agli aiuti” 

Una fattispecie su cui c’è stato ampio dibattito e defatiganti controversie tra Fisco e contri­buenti riguarda la cessione di alcuni diritti patrimoniali come “quote latte”, “reimpianto vigneti” e più di recente in linea generale diritti “agli aiuti”. 

Anche in questo caso si possono comprendere le questioni settoriali con concetti strutturali quali la differenza tra “redditi del fondo”, forfetizzati secondo i criteri catastali, e redditi che non hanno nulla a che vedere col criterio catastale. 

Partiamo dagli eventuali costi sostenuti per l’acquisto delle quote latte o dei diritti di reim­pianto dei vigneti. A prescindere dalla circostanza che i relativi diritti di produzione fossero acquisiti a titolo oneroso o gratuito, si tratta di “beni” necessariamente connessi con la pro­duzione di latte o di vino, e dunque, in ogni caso, assorbiti nella determinazione forfetaria del reddito agrario. 

Anche i corrispettivi di un’eventuale cessione non costituiscono quindi elementi reddituali positivi da tassare autonomamente, ma sono anch’essi compresi nel reddito agrario, e in quanto tali inidonei a determinare plusvalenze autonomamente tassabili. 

Stessa conclusione si può estendere al trasferimento dei diritti agli aiuti nell’ambito della politica agricola comunitaria (PAC), su cui si veda il capitolo 7. Questi diritti hanno infatti natura di sostegno al reddito del produttore agricolo e sono dunque ricompresi nell’ambito del reddito agrario16, salvo naturalmente il produttore agricolo non debba determinare il pro­prio reddito secondo le disposizioni sul reddito d’impresa (paragrafo 7.5).

Questo articolo è estratto dal libro "Fiscalità del Food & Beverage" a cura di Francesco Crovato e pubblicato da Maggioli editore nel mese di maggio 2021

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