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CRISI DI IMPRESA: PREVENZIONE CON L’ANALISI STRATEGICA

Crisi di impresa: prevenzione con l’analisi strategica

Aspetti rilevanti che gli imprenditori devono considerare nel contesto attuale per evitare la crisi

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Quando si pensa alla prevenzione della crisi di impresa si fa riferimento spesso alla costruzione di modelli che portano alla tempestiva individuazione di eventuali anomalie nella redditività e nei deficit patrimoniali e finanziari. In realtà, molto spesso, quando una società inizia ad avvertire i primi segni di crisi – tensioni finanziarie, ritardi nei pagamenti, calo del fatturato etc – la crisi è già in atto e ha avuto le prime vere manifestazioni molto tempo prima. Quindi, affrontare la crisi cercando di intercettarla nell’ anomalia degli indici di bilancio o nel misurare l’entità del deficit economico o patrimoniale è certamente sbagliato, perché potrebbe essere troppo tardi.

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1) Imprenditori e crisi economica

Solo una approfondita conoscenza del contesto esterno in cui si opera e una continua analisi della propria impresa e delle sue performance, non solo economiche e non solo quantitative, possono consentire all’imprenditore, grande e piccolo, di conservare la continuità gestionale e la giusta e remunerativa profittabilità del business, o, al contrario, decidere di uscire dal mercato o entrare in nuovi settori.

Le crisi degli ultimi anni e la recente situazione di stallo generata dalla diffusione del coronavirus confermano palesemente che la gestione dell’impresa è ontologicamente soggetta a rischio e che per mitigare quest’ultimo e garantire la continuità serve una costante e profonda, più o meno articolata, analisi strategica della propria impresa.

Non ci sono altri modi per prevenire la crisi se non quello di sforzarsi di guardare avanti e oltre la propria finestra, distogliendo lo sguardo dalla quotidianità e immaginando cosa potrebbe accadere nel prossimo futuro.

2) Imprese: come sopravvivere nella realtà attuale

In un’epoca caratterizzata dalla globalizzazione dei mercati e dall’ingresso di numerose imprese emergenti provenienti da paesi in via di sviluppo, con un costo del lavoro particolarmente basso, l’impresa deve tendere ad un’economicità della gestione cercando di generare ricavi ed evitare sprechi di risorse; allo stesso tempo non si possono ridurre gli investimenti per evitare di comprimere lo sviluppo futuro.

Il perseguimento dell’equilibrio economico diviene quindi ancor più rilevante in un mercato sempre più complesso ed incerto. 

Considerato che oggi i margini di manovra sui prezzi di vendita sono particolarmente esigui, occorre contenere al massimo i costi, senza però ridurre il rapporto qualità/prezzo e deprimere eccessivamente gli investimenti in capitale umano e tecnologico.

3) Analisi strategica di supporto alla gestione aziendale

Dal momento che la contabilità generale rileva, a posteriori, solo i fatti di gestione con lo scopo di mettere in luce il risultato economico ed il patrimonio di funzionamento, le imprese nel tempo sono state sempre più portate ad affiancare ad essa una contabilità analitica che mette in luce, in particolare, il processo di formazione dei costi. Ora questo approccio non è più sufficiente e le imprese dovranno provare ad integrare sistemi, seppur adeguati alle proprie dimensioni, di previsione degli scenari e degli andamenti economici futuri.

Il controllo di gestione deve essere affiancato da opportune, per quanto semplificate, attività di analisi strategica al fine di garantire livelli minimi di previsione degli andamenti prospettici; ogni attività futura non può più prescindere da un’attenta verifica delle perfomance aziendali storiche e dall’analisi delle cause che hanno innescato l’eventuale declino.

Come anticipato la crisi economica è sempre riconducibile ad una molteplicità di fattori, tra cui:

  1. Il prodotto o servizio offerto è in fase di declino;
  2. L’innovazione tecnologica ha portato all’introduzione di prodotti non replicabili che creano vantaggi competitivi a favore delle aziende concorrenti;
  3. Modifiche legislative introducono rigidità nella fase di produzione o distribuzione dei prodotti e servizi, oppure creano situazioni oligopolistiche che spazzano dal mercato le piccole imprese;
  4. I mercati di sbocco sono maturi o la concorrenza è elevata e determina la contrazione dei margini e dei volumi;
  5. La tecnologia richiede investimenti consistenti per innovare e migliorare il prodotto o rendere meno inquinanti i processi produttivi;
  6. Aumento del costo delle materie prime che non può essere spostato sul prezzo dei prodotti e che genera contrazione della profittabilità.

Altre situazioni imprevedibili ed endogene possono determinare la crisi di impresa, quali:

  • il fallimento del principale cliente (situazione che comunque è significativa di mancanza di copertura dei rischi); 
  • errati investimenti in capitale fisso; operazioni di concentrazione che non hanno generato le opportune economie di scala o di scopo; 
  • l’aumento degli oneri finanziari per un uso errato della leva finanziaria; 
  • il peggioramento della leva operativa per effetto della crescita dei costi fissi.


4) La realtà economica attuale e i possibili interventi

In periodi congiunturali di contrazione della domanda e di deleveraging, come quello che stiamo vivendo, è naturale assistere ad una riduzione dei volumi di vendita, che sovente è accompagnata dal rallentamento degli incassi e dall’aumento delle perdite su crediti. Tali fenomeni conducono l’impresa, se non attentamente monitorati e contrastati con opportune politiche gestionali (quali dilazioni di pagamento richieste a fornitori e banche, controllo dei margini di vendita, azioni di recupero dei crediti) all’illiquidità e nel breve tempo all’insolvenza.

In situazioni simili è cura del management intervenire prontamente e redigere un piano di risanamento che, partendo dall’analisi del contesto esterno e dei punti di forza e debolezza del modello di business e dei singoli prodotti o aree strategiche, valutato il posizionamento dell’impresa e dei prodotti e le linee di tendenza del mercato e la sua attrattività, individui le azioni necessarie a risollevarne le sorti o addivenga ad un processo liquidatorio o all’adozione di procedure concorsuali.

Alcuni studi internazionali (cfr. How to Survive a Recession and Thrive Afterward di Walter Frick del 2019) mostrano come le imprese fortemente indebitate sono più a rischio nei periodi di recessione in cui il calo della domanda interna e il razionamento del credito possono configurarsi come cause di crisi e fallimento.

Altri studi confermano che molte imprese, durante i periodi di crisi, registrano importanti fasi di sviluppo e crescita economica (cfr. 010 HBR article “Roaring Out of Recession,” Ranjay Gulati, Nitin Nohria, and Franz Wohlgezogen).

Il nuovo contesto e la mutabilità degli assetti economici globali richiedono un cambiamento di visione e di analisi dei contesti, non è possibile confidare nel normale intuito dell’imprenditore, ma occorre programmare il futuro e pianificare a livello strategico il possibile andamento della propria impresa, del settore e dei mercati in genere.

Philip Kotler l’ha chiamata la “nuova normalità”; è interessante lo schema che prevede nel suo libro del 2008 “Chaotics”:

“Chaotics”:

ELEMENTO

NORMALITA’ ECONOMICA

NUOVA NORMALITA’ ECONOMICA

Cicli economici

Prevedibili

Assenti

Tempi di ripresa/espansione 

Definibili in media 5/7 anni

Imprevedibili e incostanti

Tempi di contrazione/recessione

Definibili in media 10 mesi 

Imprevedibili e incostanti

Potenziale impatto dei problemi 

Basso 

Elevato

Profilo di investimento complessivo

Esteso, diffuso

Prudente, focalizzato

Tolleranza al rischio di mercato 

Da accettare 

Da rifiutare 

Atteggiamento del cliente

Fiducioso 

Insicuro 

Preferenze del cliente

Costanti, in evoluzione 

Influenzate dalla paura e dalla ricerca della sicurezza 


Il paradigma moderno della nuova “normalità” obbliga, quindi, le imprese a ripensare in modo totale l’atteggiamento strategico che si ha nell’analisi della crisi; la logica finale deve condurre ad un approccio difensivo e costruttivo che valuta le difficoltà come punto da cui partire per provare a rilanciare l’attività. 

Fondamentale è comprendere e rimuovere gli errori di strategia e soprattutto individuare le potenzialità inespresse dell’organizzazione, per poter riequilibrare il modello di business e generare nuove competenze e nuove opportunità. 

La crisi può arrivare, oltre che da cambiamenti e inefficienze interne alla gestione aziendale che creano delle basse performance rispetto alla crescita media dell’economia, anche da cause esterne tra cui: il declino del proprio settore; i cambiamenti radicali; le innovazioni dirompenti che, essendo difficili da prevedere, possono portar alla crisi anche imprese ben organizzate. Non è un caso che la teoria del caos è uno dei filoni più studiati per motivare i fallimenti improvvisi degli enti economici. 

La teoria del caos viene usata normalmente per spiegare le causazioni non lineari e cumulative degli eventi che possono facilmente aggredire un’impresa portandola al dissesto, creando un impatto forte e sproporzionato sulle organizzazioni che le subiscono.

La letteratura scientifica sull’argomento ci mostra, ad esempio, come una certa rigidità nell’analisi delle minacce esterne conduce alcuni manager e imprenditori a sottovalutare le cause della crisi o a rispondervi adottando strategia vecchie e non idonee ad interpretare il cambiamento necessario. La crisi non può infatti essere affrontata con lo stesso modello di gestione del business e tanto meno con le stesse tempistiche. 

La crisi di impresa richiede un modo di ragionare diverso e innovativo e delle risposte immediate e veloci. 

Di grande rilievo è l’analisi del rischio del settore e del tipo di prodotto o servizi, a cui è bene agganciare l’analisi del mercato in cui si opera, necessaria, quest’ultima, a comprendere se il comparto sovraperforma o sottoperforma rispetto al paese

5) Conclusioni

La teoria in tema di analisi economico aziendale, che la letteratura dominante suggerisce per prevenire la crisi di impresa è inadeguato e vecchio; pensare che il processo di declino della performance che porta l’impresa prima alla crisi e poi all’insolvenza debba essere intercettato dai modelli matematici è una pia illusione. 

Questi modelli, essenzialmente quantitativi, che si concentrano su alcuni indicatori e ratios in grado di individuare il deterioramento dell’andamento economico, patrimoniale e finanziario della gestione (ad esempio il ROI, ROE, ROS, indice di leva, indice di indebitamento, indice di struttura etc) non hanno il dono dell’attualità, non riescono cioè a verificare se l’impresa è realmente in crisi e se può uscirne o è destinata al fallimento.

Sono modelli certamente validi; tuttavia, spesso, consentono di vedere le tensioni e i cali di rendimento solo quando sono già in atto e non dicono nulla delle cause

Quando cala il fatturato o si riducono i margini operativi, oppure si creano delle problematiche finanziarie, è molto probabile che si siano già verificati dei fatti aziendali o che si siano manifestati dei cambiamenti nell’ambiente interno, o in quello esterno, tali da compromettere il vantaggio competitivo e la tenuta del modello di business e il management deve saperli intercettare per tempo, perché quando il ROI o il ROE   si riducono o peggiora l’indice di indebitamento è già troppo tardi.

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