Nell’ambito dell’attività di accertamento, l’utilizzo delle informazioni ricavabili dai documenti afferenti ai conti correnti bancari acquisiti dagli istituti di credito, non può ritenersi limitato ai rapporti formalmente intestati alla società, ma si estende anche a quelli rubricati a soci, amministratori e procuratori, qualora risulti provata la fittizietà dell’intestazione o la sostanziale riferibilità all’ente dei conti medesimi.
A tale conclusione è giunta la Corte di Cassazione attraverso l’ordinanza n. 15875/2018.
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1) Presunzione sulla intestazione fittizia: onere sull'Ufficio
L'Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza della C.T.R. della Sicilia la quale, in una controversia avente a oggetto l'impugnazione di un avviso di accertamento emesso nei confronti di una società, confermava l'annullamento dell'atto impositivo.
Il Collegio di appello, dopo aver premesso che l'accertamento è stato effettuato ai sensi dell’art. 32 del D.P.R. n. 600/1973, ha ritenuto infondata la pretesa dell'Ufficio in quanto :
- l'attività di controllo è risultata generica, e
- la documentazione riguardante i conti correnti bancari consentiva di evincere l'estraneità alla società delle operazioni sul conto corrente intestato a una persona fisica e
- l'Ufficio si è avvalso della presunzione legale derivante dall'utilizzazione delle informazioni bancarie, omettendo di dimostrare in giudizio che, i contestati movimenti di conto corrente risultassero attribuibili alla società verificata.
L'Ufficio, mediante il ricorso per Cassazione, ha lamentato che la sentenza impugnata non ha correttamente applicato il co. 1 n. 2 secondo periodo dell’art. 32 del D.P.R. n. 600/1973, laddove ha escluso la legittimità dell'estensione dell'indagine bancaria alla persona fisica sebbene, nel corso della verifica fiscale, fossero emersi i suoi forti legami con la società.
A parere del Collegio di legittimità il ricorso è fondato in quanto il consolidato orientamento della Corte sostiene che in sede di rettifica e di accertamento d'ufficio delle imposte sui redditi, ai sensi del co. 3 dell’art. 37 del D.P.R. n. 600/1973, l'utilizzazione dei dati risultanti dai conti correnti bancari acquisiti dagli istituti di credito non può ritenersi limitata, in caso di società di capitali, alle relazioni formalmente intestate all'ente, ma riguarda anche quelle ufficialmente intestate a soci, amministratori o procuratori, allorchè risulti provata dall'Ufficio, anche tramite presunzioni, la natura fittizia dell'intestazione o, comunque, la sostanziale riferibilità all'ente dei conti medesimi.
Ne consegue, in ordine alla distribuzione dell'onere probatorio, che una volta dimostrata la pertinenza alla società dei rapporti intestati alle persone fisiche alla stessa collegate, l'Ufficio non è tenuto a provare che tutte le movimentazioni che risultano da quei rapporti rispecchino operazioni aziendali, ma al contrario la corretta interpretazione dell’art. 32 del D.P.R. n. 600/1973 impone alla società contribuente di dimostrare l'estraneità di ciascuna di quelle operazioni alla propria attività di impresa (Cass. sent. n. 8112/2016).
Risulta pertanto onere dell'Ufficio provare che i conti intestati esclusivamente a terzi siano utilizzati nell'ambito dell'attività dell’ente oggetto di accertamento in quanto il medesimo onere probatorio, sulla base di presunzioni semplici, gravi, precise e concordanti, vige per l'interposizione fittizia ex art. 37 co. 3 del D.P.R. 600/1973, alla quale la fattispecie risulta essere riconducibile e, di conseguenza, anche per le operazioni relative alle movimentazioni dei conti intestati a soggetti terzi deve essere utilizzato il medesimo parametro.
Pertanto, il Giudice è chiamato a verificare, in sede contenziosa, il grado di fondatezza delle presunzioni operate dall’Ufficio circa la riferibilità all’ente delle movimentazioni dei conti intestati a terzi soggetti.
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