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CADUTA DALL'ALTO IN AGRICOLTURA: IL DATORE È RESPONSABILE

Caduta dall'alto in agricoltura: il datore è responsabile

La Cassazione n. 12110/2017 ribadisce la responsabilità del datore di lavoro per la caduta di un lavoratore durante la raccolta della frutta

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Anche in mancanza di specifiche norme, come nel caso di raccolta delle mele da una semplice scala a mano ,  il datore è comunque tenuto a predisporre tutte le misure necessarie ad evitare il verificarsi di lesioni alla salute e l'integrità fisica dei lavoratori .Questo quanto affermato dalla Cassazione nella sentenza n. 12110  del 16 maggio 2017, che, ribaltando i due giudizi di merito, rinvia alla Corte di appello il ricorso di un lavoratore agricolo a termine contro il proprio datore di lavoro .

IL CASO
Il lavoratore N.B., dipendente a tempo determinato dell'azienda agricola di M.S., cadeva da circa 8 metri di altezza mentre era intento alla raccolta delle mele su una scala non dotata dei requisiti di cui al D.P.R. del ’55 e in assenza delle cinture di sicurezza.
Citava quindi in giudizio il datore di lavoro per sentirlo condannare al risarcimento dei danni subiti; quest’ultimo eccepiva che l’infortunio era occorso per esclusiva responsabilità del lavoratore che aveva compiuto un movimento brusco provocando così lo spostamento della scala e la successiva caduta.
I giudici di primo e secondo grado davano torto al lavoratore sull'assunto che l'infortunio fosse da imputarsi ad una sua imprudenza e che, trattandosi di attività manuali semplici, nessun'altra adozione di cautele fosse necessaria.
L’infortunato pertanto adiva la Suprema Corte formulando due motivi di ricorso in ordine al mancato riconoscimento della responsabilità del datore di lavoro per l'infortunio occorso.

I giudici di legittimità, sul solco di numerosi precedenti giurisprudenziali e alla luce delle concrete modalità di realizzazione dell’infortunio, cassano la sentenza di appello , indicando i principi di diritto ai quali il giudice del rinvio avrebbe dovuto attenersi.
In particolare, la Corte di Cassazione afferma che nei lavori in quota il lavoratore deve essere dotato di attrezzature e di dispositivi di sicurezza con i requisiti previsti dall’oramai abrogato D.P.R. 547/1955 (applicabile ratione temporis alla fattispecie s).

Vi è anche  l’occasione per ribadire che, anche in mancanza di specifiche norme, il datore è comunque tenuto ad applicare l’art. 2087 c.c., quale disposizione di natura autonoma che comporta l’obbligo per questo di predisporre tutti gli accorgimenti e le misure necessarie ad evitare il verificarsi di lesioni di beni primari come la salute e l'integrità fisica dei lavoratori che prestano la loro attività al suo servizio, sottolineando che la responsabilità del datore non è esclusa neanche quando l’infortunio sia dovuto a imprudenza o imperizia  del lavoratore, purché sussista l’occasione di lavoro.
 

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Leggi tutto il Commento "Sicurezza e caduta dall'alto in agricoltura" con il testo integrale della sentenza -  Per approfondimenti sui rischi sulla caduta dall’alto nel settore vitivinicolo  vedi anche  E. FAIAZZA, Rischi sicurezza nel settore vitivinicoloin  Circolare settimanale del Lavoro n. 11 del 24 marzo 2017

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1) Lavori in quota e responsabilità per la sicurezza

1. Lavori in quota e dispositivi di sicurezza 
Per “lavoro in quota” si intende l’attività lavorativa che espone il lavoratore al rischio di caduta da una quota posta ad altezza superiore ai 2 m rispetto ad un piano stabile, come stabilito dall’art. 107 del D.lgs. 81/2008 (vedi qui il testo aggiornato)  (...)

Il D.lgs. 81/2008  indica infatti in dettaglio tutti gli obblighi ascrivibili al datore di lavoro e dispone che, nei casi in cui i lavori temporanei in quota non possano essere eseguiti in condizioni di sicurezza e in condizioni ergonomiche adeguate a partire da un luogo adatto allo scopo, il datore di lavoro ha l’obbligo di scegliere le attrezzature di lavoro più idonee a garantire e mantenere condizioni di lavoro sicure, dando priorità alle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale .

(...)  Nel caso in cui non siano state attuate le misure di protezione collettiva, è necessario che i lavoratori utilizzino idonei sistemi di protezione specifici all’uso, conformi alle norme tecniche, quali gli assorbitori di energia, i connettori, i dispositivi di ancoraggio, i cordini, i dispositivi retrattili, le guide o le linee vita flessibili e rigide e/o le imbracature. Tali sistemi di protezione devono essere assicurati alle parti stabili delle opere fisse o provvisionali, direttamente o mediante connettore lungo una guida o linea vita .

Senza voler citare la sterminata giurisprudenza in argomento, è oggi pacifico che l’occasione di lavoro vada riconosciuta ogni qualvolta l’evento dannoso si sia verificato a causa dell’esposizione a un rischio ricollegabile allo svolgimento dell'attività lavorativa in modo diretto o indiretto.
Di talché, sono coperte dall’assicurazione INAIL anche le attività accessorie o strumentali allo svolgimento della prestazione o,comunque, ricollegabili al soddisfacimento di esigenzelavorative(si pensi al riconoscimento dell’infortunio in itinere ovvero di quello avvenuto durante gli spostamenti del lavoratore all’interno dell’azienda durante le pause lavorative) .

Si noti che è pacifico in giurisprudenza come in dottrina il riconoscimento dell’infortunio causato dalla colpa, anche grave, del lavoratore .

  Si legge infatti in  Cass.Pen., sez. IV, sent. del 30 settembre 2016,  n. 44327 che “la condotta imprudente dell'infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l'evento quando sia comunque riconducibile all'area di rischio inerente all'attività svolta dal lavoratore e all'omissione di doverose misure antinfortunistiche da parte del datore di lavoro”.

 Circa la ripartizione dell’onere probatorio incombente rispettivamente sul datore di lavoro e sul lavoratore, si rimanda alle recentissime sentenza di legittimità:  Cass.Civ., sez. lav., 9 giugno 2017,  n. 14468 e 26 aprile 2017,  n. 10319.

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