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REDDITOMETRO: L'ESTRATTO CONTO È PROVA CONTRARIA

Redditometro: l'estratto conto è prova contraria

In materia di accertamento "da redditometro" la Cassazione si esprime pro contribuente sull' estratto del conto corrente bancario come controprova

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Nuovo pronunciamento della Corte di Cassazione (n. 14885/2015) che specifica come l'estratto conto possa anche essere valida prova contraria nell'accertamento sintetico basato sul redditometro.
In base all'art. 38, comma 6, del D.P.R. n. 600 del 1973, l'accertamento del reddito con metodo sintetico (come nel caso del Redditometro) non preclude al contribuente di dimostrare, mediante idonea documentazione, che il maggiore reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto od in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta. Tale prova documentale, relativa all'entità dei redditi ed alla durata del loro possesso, non è molto rigorosa, tanto che può essere fornita con l'esibizione degli estratti conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la durata del possesso dei redditi in esame e, non il loro semplice transito nella disponibilità del contribuente.
Questa la conclusione della Corte di Cassazione nell'ordinanza n. 14885 del 16 luglio 2015

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Il commento completo con il testo integrale dell'ordinanza : "Redditometro:  l'estratto conto  costituisce valida prova contraria"
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1) Redditometro: orientamenti giurisprudenziali

IL CASO
La vicenda riguarda l’impugnazione di due avvisi di accertamento con metodo sintetico emanati per gli anni 2006 e 2007.
I gradi di merito si concludevano con esito altalenante in ordine all’efficacia della prova esibita dal contribuente a giustificazione degli incrementi patrimoniali.
La Ctp, infatti, rigettava i ricorsi, ritenendo che i resoconti bancari attestanti le movimentazioni effettuate nel 2006 e nel 2007 non fossero sufficienti a dimostrare la natura esente della disponibilità utilizzata.
La pronuncia veniva ribaltata in Ctr secondo cui il contribuente già in primo grado aveva fornito prova documentale sufficiente a dimostrare che gli investimenti erano stati finanziati dal consistente introito derivante dalla vendita di un immobile di proprietà.
Col successivo ricorso per Cassazione l’Agenzia delle Entrate denunciava violazione di legge (del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, e art. 2967 c.c.) per avere la Ctr ritenuto provata la circostanza che l'acquisto dell'immobile, effettuato nel 2008, fosse stato finanziato con l'introito derivante dalla vendita, nel 2006, di un capannone di proprietà del contribuente.
IL COMMENTO
1. COLLEGAMENTO TRA LA SPESA EFFETTUATA ED IL REDDITO ESENTE: ORIENTAMENTI DELLA GIURISPRUDENZA ED ONERE PROBATORIO
La sentenza in commento ritorna sulla questione relativa alla tipologia di prova che il contribuente deve fornire per superare la presunzione di maggior reddito in caso di incrementi patrimoniali: secondo l’orientamento stabile della giurisprudenza di legittimità, nel caso di incrementi patrimoniali, la prova necessaria  non può limitarsi alla sola dimostrazione di una disponibilità finanziaria pregressa (o del possesso di redditi esenti o soggetti alla ritenuta a titolo di imposta o altre disponibilità), dovendo il contribuente provare altresì il collegamento tra tale disponibilità (o possesso) e la spesa per incrementi patrimoniali.
Secondo la Corte di Cassazione, “nel sesto comma dello stesso art. 38 […] il legislatore individua l’oggetto della prova liberatoria a carico del contribuente unicamente nella (dimostrazione della) identità della “spesa per incrementi patrimoniali” con “redditi esenti o ... soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta”: per la norma, quindi, non è sufficiente la prova della sola disponibilità di “redditi” - e men che mai di “redditi esenti” ovvero di “redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta” - ma è necessario anche la prova che la “spesa per incrementi patrimoniali” sia stata sostenuta, non già con qualsiasi altro reddito (ovviamente dichiarato), ma proprio con “redditi esenti o ... soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta” (Cass. sent. n. 6813 del 2009).
Tale orientamento è stato recentemente ripreso dalla sentenza n. 4138 del 20 febbraio 2013 ....

2) Ordinanza Cassazione n. 14885/2015

LA SENTENZA ANNOTATA
E’ sulla natura della prova che si sofferma la pronuncia in commento richiedendo non una prova diretta ma anche elementi sintomatici del collegamento: infatti, richiamando la sentenza della Cassazione n. 8995 del 2014 i giudici ritengono che:
La norma (n.b. art. 38, comma 6 del D.P.R. n. 600 del 1973) chiede qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), e, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere). In tal senso va letto lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) della entità di tali eventuali ulteriori redditi e della "durata" del relativo possesso, previsione che ha l'indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacita contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi”.
Tale prova non risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l'esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la "durata" del possesso dei redditi in esame; quindi non il loro semplice "transito" nella disponibilità del contribuente".
La pronuncia della Ctr si è attenuta a tali principi; di conseguenza è stato rigettato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate.

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