Speciale Pubblicato il 25/10/2016

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Redditometro: l’eredità come prova contraria

di Brandi Dott. Francesco

La Cassazione evidenzia che i redditi esenti devono restare nella disponibilità del soggetto accertato per costituire prova contraria al redditometro



Nell'ordinanza 19257 del 28 settembre 2016  la Cassazione evidenzia che al contribuente che si difende dall'accertamento sintetico  basato sul redditometro  non giova dedurre di aver ricevuto soldi in eredità, se poi emerge il loro impiego per donazioni a familiari e accrediti su conti correnti di altri,  impiego che esclude inequivocabilmente l’esistenza di un nesso  tra l’eredità stessa e le spese contestate dall’amministrazione finanziaria. Un altro tassello nel lungo contraddittorio giurisprudenziale in materia di accertamento sintetico basato sul redditometro,  in cui  si fronteggiano due orientamenti

IL CASO
La Ctr della Lombardia, ribaltando il giudizio di primo grado, confermava la ripresa fiscale effettuata tramite accertamento “sintetico”  nei riguardi di una contribuente , in quanto   ella aveva addotto come prova contraria al redditometro una eredità ricevuta ,  ma non ha fornito la prova di aver mantenuto la disponibilità di quanto ricevuto in eredità oppure di averla impiegata per  le proprie spese di gestione familiare. Di contro, come rivelato “dalle registrazioni bancarie”, il denaro ereditato era stato utilizzato “per altri scopi”, quali donazioni ai figli e accrediti su conti correnti altrui.
Col successivo ricorso per Cassazione il contribuente denunciava la violazione e falsa applicazione di legge del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, laddove la Commissione Regionale aveva ritenuta necessaria la prova dell'effettivo e puntuale utilizzo delle somme ricevute in eredità.

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REDDITOMETRO: PROVA CONTRARIA E RISPARMIO ACCUMULATO NEGLI ANNI

(...)
La necessità di dimostrare il nesso eziologico tra possesso di redditi e spesa "per incrementi patrimoniali" si ricaverebbe da un’interpretazione letterale della norma secondo cui “L’entità di tali redditi (ovvero i redditi esenti e quelli assoggettati a ritenuta alla fonte) e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione”: in altri termini diventa necessario provare sia la contiguità temporale delle operazioni di disinvestimento o del possesso di tali redditi sia la sostanziale corrispondenza di tali operazioni (attraverso la tracciabilità delle stesse) con gli impieghi successivi. Orbene, proprio l’onere gravante sul contribuente di estendere la dimostrazione anche alla “durata del possesso” introduce un ulteriore profilo probatorio volto ad evidenziare, in aggiunta all’entità dei redditi esenti posseduti, anche la durata del relativo periodo di possesso ossia la disponibilità nel tempo del medesimo reddito e, in particolare, anche nel momento di realizzazione dell’incremento.

La giurisprudenza di merito ma anche alcune pronunce della Cassazione non sempre si sono allineate a tale principio. Ad esempio con la sentenza n. 7339 del 10 aprile 2015 la Cassazione ha inoltre precisato che qualora l'ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la prova documentale contraria ammessa per il contribuente dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, riguarda la sola disponibilità di redditi , ovvero di redditi esenti o di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta,  e non anche la dimostrazione del loro impiego negli acquisti effettuati, essendo detta circostanza idonea, da sola, a superare la presunzione dell'insufficienza del reddito dichiarato.

In altri termini ciò che è richiesto al contribuente è la dimostrazione dell’astratta compatibilità tra tenore di vita e reddito disponibile e non del relativo nesso causale che altrimenti sfocerebbe in una vera e propria probatio diabolica non trattandosi di soggetti obbligati alla tenuta di scritture contabili . (...)



TAG: Accertamento e controlli Giurisprudenza