Speciale Pubblicato il 26/10/2015

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Reati tributari: la responsabilità del prestanome

di Brandi Dott. Francesco

Nell'ipotesi di una ditta "apparentemente" individuale "di fatto" gestita da terzi, il prestanome è imputabile per reati tributari: Cassazione 38788/2015



IL CASO

La titolare di una ditta individuale era stata ritenuta colpevole dalla Corte di appello di Brescia dei reati puniti dagli articoli 8 e 10 del D.Lgs. 74/2000 per avere occultato, ovvero distrutto in tutto o in parte, le scritture contabili di cui è obbligatoria la tenuta e conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi del volume d'affari, nonché per avere emesso, in concorso con il marito quale gestore di fatto, fatture per operazioni in tutto o in parte inesistenti.

Nella fattispecie concreta erano stati acquisiti numerosi elementi a carico della ricorrente:

l'assoluta mancanza di una struttura aziendale e di dipendenti(con la sola eccezione del marito dell’amministratrice), tuttavia il volume di affari era lievitato da 30.974,00 euro, per l'anno 2005, a 1.668.738,00 euro, per l'anno 2007;

la mancata esibizione della documentazione contabile;

l'afflusso di diversi milioni di euro sui conti correnti ad essa intestati; inoltre era stato accertato che, contestualmente al versamento degli assegni bancari e/o alla ricezione di un bonifico bancario, l'imputata emetteva assegni circolari e/o bonifici di importo pressoché corrispondente alla somma incassata;

non risultavano inoltre i nomi dei fornitori della merce che la società dichiarava apparentemente di aver venduto ai propri clienti: tutto ciò aveva fatto deporre per l'esistenza di una “cartiera”. 

Col successivo ricorso per Cassazione la ricorrente, lamentando l'illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza del dolo, sostiene di essere totalmente estranea alle attività gestorie dell'impresa, che invece facevano capo esclusivamente all'amministratore di fatto, ossia al marito Z.C., con la conseguenza che doveva escludersi in capo alla ricorrente stessa ogni forma di consapevolezza in ordine al meccanismo fraudolento in cui l'amministratore di fatto operava.

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Se sei interessato all'argomento scarica il Commento completo con il testo integrale della sentenza: "Il prestanome nei reati tributari Cass. pen. 38788/2015" (PDF - 14 pagine)

Indice:

IL CASO

IL COMMENTO

  1. LA RESPONSABILITA' PENALE DEL PRESTANOME: LA POSIZIONE DELLA GIURISPRUDENZA.

  2. LA SENTENZA ANNOTATA

IL TESTO INTEGRALE DELLA SENTENZA

La responsabilità del prestanome: la posizione della giurisprudenza

IL COMMENTO

Non sempre la natura di mero prestanome pone al riparo da responsabilità amministrative o penali. Se da una parte, infatti, la giurisprudenza, aderendo ad una concezione funzionalistica e sostanzialistica, ritiene estensibile la responsabilità penale in capo all'amministratore di fatto, dall’altra non esclude la responsabilità concorsuale del prestanome quando ne venga provato un qualche coinvolgimento nell’azione criminosa.

In particolare la Cassazione, con la pronuncia n. 20286 del 2012, ha precisato che il rappresentante legale di una società, che si dichiara essere mero prestanome, risponde del delitto di omessa dichiarazione di cui all’articolo 5 del decreto legislativo 74/2000 nel caso venga dimostrata la sua partecipazione attiva alla gestione della società, pur se la stessa è diretta di fatto da un altro imprenditore. Nel caso di specie l’imputato sosteneva di essere il mero prestanome della società e, in quanto tale, non avrebbe dovuto rispondere del reato ascrittogli, mancando il presupposto soggettivo. Dall’esame del complessivo quadro probatorio era emerso invece che l’amministratore di fatto e quello di diritto, si erano spartiti i compiti di gestione dell’azienda, cosicché “mentre il primo si occupava degli aspetti meramente formali, quali i rapporti con le banche, la consegna delle fatture, la riscossione dei pagamenti e la gestione dei rapporti con lo studio di commercialisti che curava la tenuta delle scritture contabili, il secondo provvedeva a procacciare i clienti, realizzare i lavori commissionati e dirigere le maestranze”.

Con la successiva sentenza n. 36182 del 27 agosto 2014 la Cassazione ha stabilito che è legittima la confisca per equivalente nei confronti del formale amministratore nonché prestanome di diverse società che, attraverso il compimento di plurimi atti di gestione societaria, si sia mostrato consapevole dei reati-fine commessi dall’associazione a delinquere, tra cui quello di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte di cui all’art. 11 del D. Lgs. n. 74 del 2000.  Nel caso di specie, la Corte d’Appello di Roma confermava la condanna inflitta in primo grado nei confronti di un imputato, colpevole del reato di associazione a delinquere. Con la pronuncia veniva altresì disposta la misura della confisca per equivalente di un immobile. In particolare l’accusa era quella di far parte di un’associazione a delinquere promossa ed ideata da due commercialisti e specializzata nella realizzazione di operazioni immobiliari tra società del medesimo gruppo allo scopo di individuare quella cui accollare il carico tributario (di cui veniva omesso il versamento) che procedeva poi ad un tempestivo ma fittizio trasferimento all’estero allo scopo di sottrarsi alle procedure fallimentari. In tale contesto l’imputato, quale autista ed uomo di fiducia di uno degli ideatori, agiva quale formale amministratore. (...)



TAG: Giurisprudenza Accertamento e controlli