Speciale Pubblicato il 22/09/2015

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Controlli sul C/C cointestati e Cassazione

di Miglino Dott.ssa Carmen

Sul conto corrente cointestato necessarie le giustificazioni per ogni movimento dice la Cassazione (ord. n. 18125/2015) Un commento con gli ultimi orientamenti



Con ordinanza n. 18125 del 15 settembre scorso la Cassazione afferma che il contribuente che ha il conto cointestato con un familiare "benestante" deve dimostrare la riconducibilità a quest’ultimo di tutte le movimentazioni bancarie riprese a tassazione dall’ Ufficio finanziario. Diversamente è lecito ritenere che tutte le operazioni siano imponibili, con conseguente rideterminazione del reddito dichiarato.
IL CASO
Il contenzioso origina dall’impugnazione di un avviso di accertamento, con il quale l’Ufficio delle Entrate, a seguito d’indagine finanziaria effettuata su conti correnti bancari, contestava ad una contribuente, per l'anno di imposta 2004, un maggior reddito.
La Commissione Regionale, in accoglimento dell'appello proposto dall'Agenzia delle Entrate, riformava integralmente la decisione di primo grado favorevole alla ricorrente. Segnatamente, il Giudice di appello riteneva fondata la ripresa fiscale, in quanto la contribuente non era stata in grado di giustificare le movimentazioni bancarie  nel conto corrente riprese poi a tassazione, non essendo sufficiente allegare la cointestazione del c/c alla madre, per quanto questa fosse persona dotata di notevoli disponibilità finanziarie.
Ebbene, la Suprema Corte ha sposato le conclusioni delle CTR della Liguria, con conseguente rigetto del ricorso prodotto dalla contribuente alla quale sono state addebitate le spese del giudizio, oltre l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma dell’art. 13 comma 1 bis del TUSG.

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IL COMMENTO - ACCERTAMENTO BANCARIO: RIPARTIZIONE DELL’ONERE PROBATORIO

L’art. 32, primo comma, secondo periodo, DPR n. 600 del 1973 rubricato «Poteri degli uffici» prevede espressamente che «I dati ed elementi attinenti ai rapporti ed alle operazioni acquisiti e rilevati rispettivamente a norma del numero 7) e dell’articolo 33, secondo e terzo comma, o acquisiti ai sensi dell’articolo 18,comma 3, lettera b), del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504», ossia i dati relativi a rapporti ed operazioni finanziarie, «sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41 se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine; alle stesse condizioni sono altresì posti come ricavi o compensi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni»  (in modo speculare recita anche l’art. 51,secondo comma, del DPR n. 633 del 1972 ai fini IVA).
In virtù della presunzione stabilita dall’art. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973, - che, data la fonte legale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c., per le presunzioni semplici – sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti bancari del contribuente vanno imputati a ricavi conseguiti dal medesimo nella propria attività d’impresa, se questo non dimostra di averne tenuto conto nella determinazione della base imponibile oppure che sono estranei alla produzione del reddito (cfr. tra le altre Cassazione  n. 9103/2001 e n. 15447/2001).
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La prassi amministrativa (Circolare del 19 ottobre 2006, n. 32,) e la giurisprudenza ormai costante precisano che nonostante la mancanza di un’espressa previsione normativa, risulta ormai fuor di dubbio l’estendibilità delle indagini ai conti di “terzi”, ossia di soggetti non direttamente interessati dall’attività di controllo. In particolare, la Suprema Corte (Cass., 9 aprile 2010, n. 8507; 7 luglio 2010, n. 16062) ha precisato che l’utilizzazione dei dati risultanti dalle copie dei conti correnti bancari acquisiti dagli istituti di credito non può ritenersi limitata, in caso di società di capitali, ai conti formalmente intestati all’ente, ma riguarda anche quelli formalmente intestati ai soci, amministratori o procuratori generali, allorché risulti provata dall’Amministrazione finanziaria, anche tramite presunzioni, la natura fittizia dell’intestazione o, comunque, la sostanziale riferibilità all’ente dei conti medesimi o di alcuni loro singoli dati.
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