Speciale Pubblicato il 28/09/2015

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L'antieconomicità basta per l'accertamento analitico-induttivo

di Brandi Dott. Francesco

Le più recenti sentenze della Cassazione (n. 18178 e 13734/2015) in materia di accertamento induttivo e antieconomicità delle scelte aziendali.



In materia di accertamento delle imposte sui redditi, l'accertamento induttivo, in presenza di scritture contabili formalmente corrette, è consentito qualora la contabilità appaia inattendibile e configgente con le fondamentali regole di ragionevolezza.
Gli elementi idonei a consentire al giudice di trarre la prova di un fatto in via presuntiva ai sensi dell’art. 2729 c.c. non devono necessariamente essere più di uno nonostante la previsione del requisito della concordanza contenuto in tale norma, valendo questa solo nell’ipotesi in cui concorrano più elementi e potendo quindi anche uno solo di essi essere assunto a base purché grave e preciso.
Ne deriva che se un singolo elemento indiziario è idoneo a fornire una presunzione grave e precisa, non vi sono dubbi sulla legittimità dell’accertamento analitico-induttivo che si fondi esclusivamente su di esso.

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Accertamento analitico- induttivo, antieconomicità e valori OMI

SENTENZA 18178/2015
IL CASO
La Ctr dell’Emilia Romagna, ribaltando l’esito di primo grado, accoglieva l’appello di una società immobiliare annullando un avviso di accertamento emesso per l’annualità 2004: con esso l’Agenzia delle Entrate aveva recuperato materia imponibile, sotto forma di maggiori ricavi, contestando l’antieconomicità della vendita di alcuni immobili edificati dalla stessa contribuente e venduti senza alcun ricarico, ovvero a prezzi pressoché uguali al costo dei materiali utilizzati per la loro realizzazione. L’Ufficio aveva applicato il criterio del valore normale, desunto dalle quotazioni Omi, ritenuto illegittimo sia perché entrato trasfuso in una norma entrata in vigore dopo l’annualità accertata, sia perché abrogato dalla legge n. 244 del 2007 che l’ha degradato da presunzione legale a presunzione semplice.
Con il successivo ricorso per Cassazione, l’Agenzia delle Entrate deduce violazione di legge (in relazione al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, in combinato disposto con il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) in quanto l'applicazione del criterio del valore normale aveva costituito regola di valutazione e giudizio per l'Amministrazione e non certo requisito di legittimità dell'avviso, nel senso che anche prima della sua traduzione in norma, lo scostamento tra valore normale e prezzo dichiarato poteva essere elemento sufficiente a costituire presunzione grave precisa e concordante.
Valori OMI
le nuove disposizioni introdotte dal decreto “Visco-Bersani” hanno  inciso sui poteri dell’Amministrazione finanziaria in merito alla rettifica dei corrispettivi contrattuali, rendendo più agevole per il Fisco la prova della fittizietà dei corrispettivi dichiarati dai contribuenti.
La divergenza tra il corrispettivo pattuito e il valore normale dell’immobile trasferito integra la prova del “fatto noto” e, trattandosi di una presunzione legale, dalla prova di tale divergenza deriva automaticamente la dimostrazione della fittizietà del corrispettivo.
L’articolo 1, comma 307, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (finanziaria 2007) ha successivamente previsto che – “… con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate sono individuati periodicamente i criteri utili per la determinazione del valore normale dei fabbricati ai sensi dell’articolo 14 del citato decreto n. 633 del 1972, dell’articolo 9, comma 3, del testo unico delle imposte sui redditi ….”: il tutto per evitare comportamenti difformi, rigidi automatismi ed individuare meglio il concetto di valore normale, assicurando uniformità e correttezza nei comportamenti degli Uffici.
Tale provvedimento è stato emanato il 27 luglio 2007 (c.d. provvedimento “valori OMI”).
Tali norme appartengono alla  categoria (norme procedurali) e quindi potenzialmente dotate d’effetti retroattivi – dunque applicabili ad atti di compravendita realizzati prima del 4 luglio 2006 (data d’entrata in vigore del D.L.n.223/2006).
 (...)
 Applicando i suindicati principi la Cassazione ha accolto parzialmente il ricorso dell’Agenzia delle Entrate rinviando la controversia, per un nuovo esame, alla Ctr dell’Emilia Romagna.
Secondo i giudici, infatti, la Ctr avrebbe invocato il principio corretto sulla possibilità di ricorrere all’accertamento analitico-induttivo in presenza di contabilità formalmente corretta ma complessivamente inattendibile, salvo poi contraddirlo, considerando illegittimo il criterio presuntivo adottato dall’Ufficio (il valore normale degli immobili desunto dai dati dell’Omi) per il solo fatto che questo non fosse assistito dalla natura di presunzione legale“vuoi per il fatto che il D.L. n. 223 del 2006 non era stato ancora emanato all'epoca cui si riferisce l'accertamento, vuoi per il fatto che comunque detta norma era stata successivamente abrogata per la sua ritenuta incompatibilità con l'ordinamento comunitario”. ) Una cosa, infatti, è la questione della sufficienza dei valori Omi, altra quella del criterio di valutazione adoperato dall’Ufficio che abbia contestato l’antieconomicità dell’attività ed accertato induttivamente il reddito del contribuente. 

IL CASO DELLA SENTENZA CASSAZIONE n. 13743/2015

L’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per Cassazione avverso una sentenza della Ctr della Campania che, confermando la pronuncia di primo grado, aveva annullato un avviso di accertamento di tipo induttivo per mancanza dei relativi presupposti di legge.
In particolare, secondo la Ctr l’Ufficio aveva basato il proprio accertamento su un solo elemento (ovvero la resa oraria), di per sé insufficiente a giustificare l’accertamento induttivo.
Con il ricorso l’Agenzia deduce violazione di legge (in relazione all’art. 39 del D.P.R. n. 600 del 1973) nonché difetto di motivazione lamentando come la Ctr non avesse preso in considerazione i molteplici elementi offerti che costituivano circostanze gravi, precise e concordanti legittimanti l’accertamento induttivo.
IL COMMENTO
1. ANTIECONOMICITA’ DELL’ATTIVITA’ COME SPIA DI EVASIONE: ORIENTAMENTO DELLA GIURISPRUDENZA
Secondo il consolidato orientamento dei giudici di legittimità «Il sindacato dell’Amministrazione finanziaria circa il comportamento antieconomico del contribuente non trova limiti nella disposizione relativa alla libertà di iniziativa privata ex art. 41 Cost.» (Cassazione, 15 settembre 2008, n. 23635). La regola alla quale si ispira chiunque svolga una attività economica, secondo la Corte, è quella di ridurre i costi a parità di tutte le altre condizioni. In presenza di un comportamento che sfugga a questo parametro di buon senso e in assenza di una sua diversa giustificazione razionale, è fondato il sospetto che la incongruenza sia soltanto apparente e che dietro di essa si celi una diversa realtà; chi ha posto in essere un comportamento antieconomico ha, invero, l’onere di fornire una giustificazione razionale della propria scelta.
Nella sentenza prima citata i giudici precisano altresì che «La norma costituzionale citata non reca disposizioni relative alle modalità di comportamento all’«interno» delle iniziative economiche. Si limita soltanto a garantire la libertà della «iniziativa» economica (comma 1), che non deve mai svolgersi in contrasto con l’utilità sociale (comma 2), ma anzi deve essere indirizzata e coordinata a fini sociali (comma 3). Limitazioni sono sempre consentite quando l’iniziativa stessa contrasti con l’utilità ed i fini sociali, specialmente se le finalità sociali sono anche oggetto di apposita tutela costituzionale, come nella ipotesi che qui interessa della realizzazione della integrità del gettito tributario e del rispetto della regola dell’obbligo della contribuzione fiscale in ragione della capacità contributiva (art. 53 Cost., comma 1)».
La Suprema Corte (Cassazione, 30 dicembre 2009, n. 28075), in caso di condotta antieconomica del contribuente, afferma che «…è consentito all’ufficio dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici - purché gravi, precise e concordanti - maggiori ricavi o minori costi, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente».


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