La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26340 del 29 settembre 2025, è intervenuta su una questione di rilevanza pratica: la deducibilità ai fini del reddito d’impresa dell’IVA indetraibile quando riferita a operazioni soggettivamente inesistenti.
Il principio affermato è il seguente:
“L’imposta divenuta indetraibile perché afferente a operazioni soggettivamente inesistenti del carattere fraudolento delle quali la contribuente era consapevole non è suscettibile di dar luogo a un componente reddituale fiscalmente rilevante”.
La posizione della pronuncia non è pienamente allineata con orientamenti espressi da varie Commissioni Tributarie di merito e solleva questioni operative rilevanti per chi redige bilanci e dichiarazioni fiscali.
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1) IVA indetraibile e operazioni inesistenti: il caso concreto
La vicenda trae origine da un accordo di adesione tra contribuente e Agenzia delle Entrate in merito al recupero di IVA detratta su operazioni soggettivamente inesistenti.
Tale tesi è stata respinta dalla Cassazione, secondo cui l’indetraibilità non trasforma l’imposta in un costo deducibile:“Se l’importo dell’IVA è stato ex latere debitoris riconosciuto come – definitivamente – dovuto e coerentemente saldato, il suo successivo recupero non rientra nel novero delle facoltà del contribuente ex art. 99 TUIR”.
Il cuore della pronuncia è il richiamo all’inerenza del costo: l’IVA indetraibile non rappresenta un fattore produttivo dell’attività d’impresa se l’operazione è soggettivamente inesistente e il contribuente è consapevole della frode.
Secondo la Corte, tale imposta non integra un onere deducibile perché non funzionalmente collegata all’attività economica, ma espressione di un comportamento fraudolento.
Il riferimento normativo è l’art. 99, comma 1, del TUIR, secondo cui:“Le imposte sui redditi e quelle per le quali è prevista la rivalsa, anche facoltativa, non sono ammesse in deduzione”.
2) Il contrasto con la giurisprudenza di merito
Diversamente da quanto affermato nella sentenza del 2025, alcune Corti di giustizia tributaria si sono espresse in favore della deducibilità dell’IVA indetraibile su operazioni soggettivamente inesistenti.
Secondo questi orientamenti, l’IVA non recuperabile si traduce in un costo effettivo, da valutare come componente negativo del reddito, quando legata a operazioni astrattamente inerenti all’attività d’impresa.
Questa posizione si rafforza considerando che la Corte di Cassazione, in tema di spese penalmente rilevanti, ha riconosciuto la deducibilità dei costi connessi ad operazioni soggettivamente inesistenti, purché non direttamente connessi al reato di dichiarazione fraudolenta (Cass. n. 19232/2024 e n. 5181/2024).
Secondo parte della dottrina, la tesi della Cassazione non tiene conto della funzione economica dell’IVA indetraibile.
In molti casi, infatti, l’imposta non più recuperabile rappresenta un effettivo esborso finanziario, soprattutto se sostenuta nell’ambito di operazioni che, pur viziate sul piano soggettivo, hanno avuto rilevanza produttiva per l’impresa.
Dunque, il mancato recupero dell’IVA può generare un effetto economico identico a quello di un costo, e prescindere dalla finalità evasiva, soprattutto in assenza di dolo.
Vedremo se vi sarà un intervento ulteriore sul tema o anche una norma apposita che possa porre fine all'incertezza.