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SOCIETÀ DI COMODO: L'HOTEL FATISCENTE PUÒ ESSERE OPERATIVO

Società di comodo: l'hotel fatiscente può essere operativo

La Cassazione specifica che la mancanza di un permesso amministrativo per ristrutturare l'attività di hotel può essere causa di disapplicazione della società di comodo

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La disciplina delle società di comodo, prevista dall’art. 30 della legge n. 724/1994, è volta a contrastare i fenomeni di elusione fiscale legati alla detenzione di beni e partecipazioni attraverso società non realmente operative

Una recente pronuncia della Corte di Cassazione (ordinanza n. 24732 del 7 settembre 2024) ha chiarito che il mancato ottenimento delle autorizzazioni amministrative non è sufficiente, da solo, a giustificare la disapplicazione della disciplina antielusiva.

In particolare, il principio enunciato è il seguente: “il mancato ottenimento delle autorizzazioni rimesse alla discrezionale valutazione dell'Autorità amministrativa di per sé non è dirimente. Occorre pertanto anche vagliare se l'impedimento al conseguimento dell'oggetto sociale, nel caso di specie, non dipenda dalle pur legittime scelte imprenditoriali effettuate dall'imprenditore, che conservi in vita la società per anni, anche se lo svolgimento dell'attività imprenditoriale risulti precluso.” 

1) Società di comodo: l'hotel fatiscente non è detto che sia non operativo

La vicenda trae origine da una società che, nel periodo 2006–2009, aveva presentato diverse istanze di disapplicazione delle norme sulle società non operative.

L’Agenzia delle Entrate rigettava le istanze e accertava il mancato superamento del test di operatività, notificando gli avvisi di accertamento con determinazione del reddito minimo presunto.

La Ctp respingeva i ricorsi della società, mentre la Ctr accoglieva gli appelli, ritenendo provato – tramite perizia tecnica – lo stato di degrado e inagibilità dell’immobile, oltre ai tentativi di vendita o riconversione.

La Cassazione è stata investita della controversia, a seguito del ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate.

Secondo i giudici di legittimità, il fatto che un’impresa non abbia potuto ottenere autorizzazioni, licenze o permessi non basta a dimostrare l’impossibilità oggettiva di esercitare l’attività

L’assenza di autorizzazioni può dipendere da scelte dell’imprenditore, come mantenere in vita la società pur in mancanza di condizioni per operare.

La Suprema Corte ha ribadito un principio consolidato: il protrarsi per anni dell’inattività può configurarsi come scelta soggettiva dell’imprenditore, non come circostanza oggettiva esterna alla sua volontà.

In questo senso, l’ordinanza richiama precedenti come Cass. 13336/2023 e Cass. 18657/2024, che hanno chiarito i limiti della disapplicazione.

Prima di presentare istanza di disapplicazione della norma sulle società di comodo, l’impresa deve dimostrare:

  • che l’inattività dipende da circostanze oggettive e indipendenti dalla volontà dell’imprenditore;
  • che l’impossibilità di operare non sia riconducibile a inerzia gestionale o scelte discrezionali;
  • l’esistenza di documentazione probatoria solida (perizie, atti amministrativi, provvedimenti ufficiali).

La mancata dimostrazione di cause oggettive comporta:

  • applicazione del reddito minimo presunto;
  • indetraibilità di alcune spese e perdite;
  • possibili sanzioni amministrative in caso di dichiarazioni infedeli.

Per i consulenti fiscali è essenziale guidare le imprese nella corretta valutazione dei presupposti e nella raccolta della documentazione utile.

La Cassazione con l’ordinanza 24732/2024 conferma la linea rigorosa nel trattamento delle società non operative. Il mancato rilascio di autorizzazioni, pur rilevante, non è condizione sufficiente per escludere la disciplina antielusiva.

Fonte immagine: Foto di Thomas Ulrich da Pixabay
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