"Ogni custode è anche, in qualche misura, il guardiano del proprio stesso potere." — Michel Foucault
Negli ultimi anni, la parola “safeguarding” è entrata con forza nel lessico delle organizzazioni pubbliche e private, specialmente in ambiti sensibili come l’istruzione, lo sport e l’assistenza.
È una parola che promette sicurezza, cura e tutela. Ma è anche un termine che porta con sé interrogativi profondi.
Che cosa significa, davvero, salvaguardare? Chi viene protetto, e da chi?
La sentenza n. 92 del 17 marzo 2025 delle Sezioni Unite della Corte Federale d’Appello della FIGC affronta un caso emblematico: un grave ritardo nell’attivazione di misure protettive nei confronti di minori, all’interno di un contesto organizzativo.
Più che un pronunciamento tecnico, si tratta di uno specchio delle tensioni etiche e istituzionali che attraversano la nostra epoca.
Il safeguarding, così come emerge da questa decisione, non è solo un insieme di regole: è il punto in cui si incontrano – e spesso si scontrano – responsabilità, potere e fragilità.
In apparenza, il safeguarding è semplice: si tratta di prevenire abusi, negligenze e violenze.
Ma a ben vedere, questo concetto si rivela complesso e carico di ambivalenze.
Proteggere significa anche decidere chi è vulnerabile, quali rischi sono inaccettabili e quali limiti devono essere posti al comportamento altrui.
Per approfondire leggi l'articolo di Giuseppe Mogliani su Blastonline.it
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