La recente sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, depositata il 27 marzo 2025, ha confermato un principio fondamentale riguardante il calcolo dell'APE sociale, la prestazione previdenziale rivolta a specifiche categorie di lavoratori in situazioni svantaggiate, prossimi alla pensione.
Il contenzioso è nato dal ricorso dell'INPS contro una decisione della Corte d'Appello che aveva riconosciuto al lavoratore il diritto a un calcolo più favorevole della prestazione.
Il caso pone questioni rilevanti sulla modalità di determinazione dell'APE sociale in presenza di contributi versati in più gestioni previdenziali.
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1) Calcolo APE : il caso
Il ricorrente, un lavoratore con una carriera contributiva sviluppata in più gestioni previdenziali, aveva richiesto l’accesso all’APE sociale, un’indennità erogata fino al raggiungimento della pensione di vecchiaia. Il punto centrale della controversia riguardava il metodo di calcolo dell'importo spettante.
In particolare, il lavoratore aveva versato contributi sia nella gestione lavoratori dipendenti sia in altre gestioni, accumulando oltre 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995, requisito necessario per accedere al calcolo retributivo della pensione.
Secondo il lavoratore, l'importo dell’APE sociale avrebbe dovuto essere determinato con lo stesso metodo utilizzato per il calcolo della pensione ordinaria, ossia il metodo retributivo, che garantisce un assegno previdenziale più elevato rispetto al metodo contributivo.
Tuttavia, l'INPS aveva applicato il sistema del "pro rata", che prevede una suddivisione dell’importo in base ai periodi contributivi maturati in ciascuna gestione, con il rischio di una riduzione dell’importo finale.
La Corte d'Appello aveva accolto la tesi del lavoratore, stabilendo che l’APE sociale dovesse essere calcolata in base al criterio retributivo, riconoscendo quindi un trattamento economico più favorevole. La decisione si basava sull’interpretazione della normativa vigente, la quale prevede che, in caso di cumulo contributivo, il calcolo dell’APE sociale debba avvenire secondo le stesse regole previste per la pensione di vecchiaia.
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2) Il ricorso dell'INPS e la decisione della Corte
L'INPS ha impugnato la sentenza sostenendo che l’APE sociale non è una vera e propria pensione, ma una prestazione assistenziale che deve essere calcolata con un criterio differente.
In particolare, l’Istituto ha argomentato che la ripartizione "pro quota" fosse il metodo corretto per determinare l’importo, poiché il lavoratore aveva versato contributi in più gestioni e, di conseguenza, ogni gestione avrebbe dovuto calcolare l’APE sociale sulla base dei periodi maturati.
Secondo l'INPS, la decisione della Corte d’Appello avrebbe introdotto una disparità di trattamento rispetto ad altri lavoratori con carriere simili, creando un vantaggio ingiustificato per coloro che hanno più di 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995.
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3) Calcolo APE sociale: decisione e motivazioni della Cassazione
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’INPS, confermando la decisione della Corte d’Appello. I giudici hanno stabilito che il metodo di calcolo dell’APE sociale deve essere coerente con quello utilizzato per determinare la pensione di vecchiaia. Dunque, in presenza del requisito dei 18 anni di contributi entro il 1995, il calcolo deve avvenire con il metodo retributivo, senza applicare la suddivisione "pro quota" proposta dall’INPS. La Cassazione ha ribadito quindi nella sentenza 8076 alcuni principi chiave:
- Anticipo pensionistico APE sociale: sebbene sia una prestazione anticipata, il calcolo dell’importo deve seguire le stesse regole della pensione ordinaria.
- Cumulo contributivo: l’interpretazione corretta della normativa impone che il calcolo non possa penalizzare i lavoratori che hanno contribuito in diverse gestioni previdenziali.
- Principio di uniformità: non possono essere applicati criteri diversi rispetto a quelli utilizzati per il calcolo della pensione di vecchiaia.
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