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MADE IN ITALY E RESPONSABILITÀ DELL’IMPORTATORE: L’IMPORTANZA DELLA COMPLIANCE DOGANALE

Made in Italy e responsabilità dell’importatore: l’importanza della compliance doganale

La tutela del made in Italy: cosa cambia dopo la Cassazione 28041/2025

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La Cassazione riconosce che l’importatore diligente non può essere sanzionato quando il fornitore estero appone un “made in” errato nonostante specifiche istruzioni contrattuali. Si tratta di una decisione che incide direttamente su policy interne, procedure di supply chain e negoziazione dei contratti di acquisto. Infatti, in un contesto dove l’origine non preferenziale torna centrale anche ai fini AEO, l’ordinanza, chiarisce come si costruisce – e come si prova – il corretto affidamento dell’importatore. Un’occasione per rimettere mano alle procedure aziendali ed evitare rischi che, troppo spesso, nascono fuori dall’azienda ma ricadono su chi importa.

1) La Cassazione 28041/2025: quando l’importatore è esente da responsabilità

Va esente da sanzioni l’importatore che abbia richiesto di indicare l’esatto “made in” al proprio fornitore ubicato all’estero il quale diviene il soggetto cui ascrivere la responsabilità per tali violazioni. È questa la conclusione cui è giunta la Corte di Cassazione Sez II con ordinanza n.28041 del 22 ottobre 2025.

Per chi in azienda deve creare policy e procedure o negoziare le clausole di contratti di fornitura internazionale, i passaggi chiave dell’ordinanza sono:

  1. “ [non si può considerare responsabile l’importatore] in quanto nella specie la società importatrice aveva fatto un’ordinazione specificando che la merce doveva recare l’etichetta made in china e, di conseguenza, non aveva motivo di attivarsi al momento dello sdoganamento della merce per formulare l’attestazione di cui sopra, anche tenuto conto della ulteriore possibilità prevista dalla legge di poter accompagnare comunque la merce con un’attestazione circa le informazioni che in fase di commercializzazione avrebbero potuto rendere identificabile l’effettiva origine estera del prodotto”;
  2. “[da quanto sopra indicato discende il] giustificato l’affidamento della società importatrice circa la possibilità di identificare la provenienza del prodotto.

Si tratta, in altre parola, di una pronuncia di particolare rilevanza, poiché valorizza la buona fede e la diligenza dell’operatore economico che a fronte dell’errore del fornitore, giustificano la mancata applicazione dell’articolo 4, comma 49 bis, della legge del  24 dicembre 2003, n. 350  recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2004),  in virtù del quale: “Costituisce fallace indicazione l'uso del marchio, da parte del titolare o del licenziatario, con modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana ai sensi della normativa europea sull'origine, senza che gli stessi siano accompagnati da indicazioni precise ed evidenti sull'origine o provenienza estera o comunque sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull'effettiva origine del prodotto, ovvero senza essere accompagnati da attestazione, resa da parte del titolare o del licenziatario del marchio, circa le informazioni che, a sua cura, verranno rese in fase di commercializzazione sulla effettiva origine estera del prodotto. Per i prodotti alimentari, per effettiva origine si intende il luogo di coltivazione o di allevamento della materia prima agricola utilizzata nella produzione e nella preparazione dei prodotti e il luogo in cui è avvenuta la trasformazione sostanziale. Il contravventore è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 ad euro 250.000”. L’Agenzia delle Dogane con la circolare 20/D del 13 maggio 2005 ha specificato che: “quella relativa alla falsa indicazione, consistente nella stampigliatura “made in Italy” su prodotti e merci che non abbiano una origine italiana, dove per origine Italia deve farsi riferimento alle disposizioni doganali comunitarie in tema di origine non preferenziale”.

Invece, il comma 49-ter dell’articolo 4 della legge finanziaria per il 2005 recita che: “È sempre disposta la confisca amministrativa del prodotto o della merce di cui al comma 49-bis, salvo che le indicazioni ivi previste siano apposte, a cura e spese del titolare o del licenziatario responsabile dell'illecito, sul prodotto o sulla confezione o sui documenti di corredo per il consumatore”. La circolare del 9 novembre 2009, n. 124898 del MISE ha disciplinato, in modo puntuale, il processo per gestire la commercializzazione di merci importate ma con il made in non veritiero. 

Si riporta di seguito il link all’Allegato I.

Quest’atto di prassi risponde all’esigenza di fornire chiarimenti in merito all’articolo 16 del decreto legge 25 settembre 2009 n.135. Tale norma sul Made in Italy e i prodotti interamente italiani ha contribuito alla depenalizzazione di tale fattispecie. Al riguardo, la Corte di Cassazione Sez III penale con la sentenza, 06 novembre 2014, n. 52029 ha sottolineato che “in tema di tutela penale dei prodotti dell’industria e del commercio, integra l’illecito amministrativo previsto dall’art. 4, comma 49-bis, della legge n.350 del 2003 – e non il reato di cui all’art. 517 cod. pen. -l’importazione dall’estero di prodotti recanti un’etichetta raffigurante un marchio (…) idoneo, in assenza di precise indicazioni sulla esatta provenienza o della dichiarazione di impegno a rendere tali informazioni in fase di commercializzazione, a trarre in inganno anche un consumatore esperto sull’effettiva origine del prodotto”.

2) Origine non preferenziale

A prescindere dal quadro sanzionatorio sopra delineato è interessante indicare cos’è il “made in Italy”il quale secondo la legge 27 dicembre 2023 , n. 206 costituisce

Il made in, come sopra indicato, si basa sul concetto dell’origine non preferenziale che costituisce la “nazionalità economica” e cioè il legame tra un luogo (un territorio doganale) e il bene realizzato attraverso l’ultima lavorazione che ha apportato modifiche sostanziali e irreversibili effettuata all’interno di un opificio idoneo.

La trasformazione sostanziale viene, poi, cristallizzata in una serie di regole d’origine di cui una piccola parte è contenuta nell’allegato 22-01 del regolamento 2446/2015 mentre il resto è contenuto nella posizione comune elaborata dalla UE in sede di negoziati OMC. Le regole di lista per prodotto ivi contenute, pur se di natura non vincolante, fungono pertanto da ausilio per la determinazione dell’origine non preferenziale. Parimenti, la DG TAXUD nell’articolo “Implementation Dialogue: Commission gathers business to discuss non-preferential EU Rules of Origin” pubblicato il 14 luglio 2025 ha dichiarato che sono partite le trattative per modificare ed aggiornare le regole di origine non preferenziale del Unione europea.

Più nello specifico,  come indicato da ADM (Agenzia Dogane e Monopoli) con la nota protocollo 70339/RU del 16 luglio 2018 “Origine non preferenziale. Art. 59-60 del Reg. (UE) n.952/2013, artt. 31/36 del Reg. Delegato (UE) n.2446/2015.Linee guida”.

.1) Regole primarie.

Le regole primarie sono generalmente associate alla modifica della classificazione tariffaria del prodotto ottenuto dalla lavorazione/trasformazione ma sono anche contemplate regole specifiche connesse con le caratteristiche del processo produttivo (es. per i tessili).

1.2) Regole secondarie.

Solo nel caso in cui non sia possibile attribuire l’origine non preferenziale sulla base della regola primaria si ricorre alla regola residuale di capitolo (riferita, quindi, alle prime due voci della nomenclatura)”. La regola secondaria di maggiore rilevanza è costituita dall’individuazione dell’origine non preferenziale sulla base del territorio doganale dove è il nuovo prodotto, realizzato attraverso la lavorazione sostanziale, ha ottenuto il maggiore valore o peso.

Per completezza si ricorda la Corte di Giustizia, Sez IX la quale con l’ordinanza  del 2 settembre 2025 n. C‑827/24 ha ribadito che l’origine non preferenziale si può acquisire anche senza il cambio di voce doganale a condizione che la lavorazione effettuata abbia generato una trasformazione irreversibile e sostanziale delle caratteristiche essenziali del bene. L’ordinanza si riferisce esclusivamente alla determinazione dell’origine non preferenziale ma è indiscutibile che ciò rappresenti un importante elemento per la qualificazione del made in.

3) Brevi cenni alla compliance doganale AEO

Infine, l’origine non preferenziale ha un ruolo importante anche nei processi di ottenimento e mantenimento dell’AEO poiché, come confermato dagli TAXUD/B2/047/2011 – Rev. 6, il quesito 1.3.2 del questionario di autovalutazione contiene le seguenti domande le cui risposte devono essere corredate da documentazione aziendale adeguata: “a) Fornire una panoramica sull’origine preferenziale o non preferenziale delle merci importate. b) Quali misure interne sono state attuate per verificare che il paese d’origine delle merci importate sia stato dichiarato correttamente? c) Descrivere il metodo utilizzato per il rilascio della prova delle preferenze e dei certificati d’origine per l’esportazione”.

Fonte immagine: chat gpt
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