L’ordinanza n. 23939 del 27 agosto 2025 della Corte di Cassazione affronta una complessa questione: quali sono gli effetti, per i soci di una società di persone, dell’annullamento di un avviso di accertamento notificato alla società dopo la sua estinzione per cancellazione dal registro delle imprese?
Con una decisione di notevole rigore logico-giuridico, la Suprema Corte stabilisce che la nullità dell'atto presupposto, emesso nei confronti di un soggetto giuridicamente inesistente, si estende inevitabilmente agli atti consequenziali notificati ai soci.
Si darà inoltre conto del mutato quadro normativo introdotto dall'art. 28 del D.Lgs. n. 175/2014, non applicabile ratione temporis al caso di specie, che ha introdotto una “sopravvivenza fiscale” quinquennale della società cancellata.
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1) Il caso
La vicenda processuale trae origine da avvisi di accertamento in materia di IRPEF, IRAP e IVA emessi dall'Agenzia delle Entrate per le annualità 2007 e 2008. Destinatari degli atti impositivi erano una società in accomandita semplice e, separatamente, i suoi due soci. Il contenzioso si è immediatamente incentrato su un dato di fatto dirimente: la società era stata cancellata dal registro delle imprese nell'anno 2008, e quindi in data anteriore all'emissione e notifica degli stessi avvisi di accertamento.
La Commissione Tributaria Provinciale, adita sia dalla società che dai soci, accoglieva il ricorso della prima, annullando l'atto ad essa notificato in quanto emesso nei confronti di un soggetto estinto, ma respingeva i ricorsi dei soci, ritenendoli obbligati a titolo personale.
I contribuenti proponevano appello, dolendosi principalmente della mancata estensione ai loro avvisi di accertamento della nullità dichiarata per l'atto presupposto notificato alla società.
La Commissione Tributaria Regionale rigettava il gravame, confermando la responsabilità dei soci in virtù di un presunto “fenomeno para-successorio” e dichiarando inammissibile l'appello della società, ormai priva di capacità processuale.
Avverso tale pronuncia, gli ex soci ricorrevano per cassazione, denunciando, con il primo e decisivo motivo, la violazione e falsa applicazione degli artt. 336 c.p.c., 5 D.P.R. n. 917/1986 (TUIR), 65 D.P.R. n. 600 del 1973 e 2495 c.c.
La tesi dei ricorrenti era che la declaratoria di nullità dell'accertamento societario dovesse necessariamente travolgere anche gli accertamenti emessi a loro carico, stante il nesso di stretta dipendenza tra i due atti, essendo l'imputazione del reddito ai soci una diretta conseguenza del reddito accertato (invalidamente) in capo alla società.
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2) La decisione assunta dalla Corte
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in commento, ha accolto il primo motivo di ricorso, ritenendolo fondato e assorbente rispetto alle altre censure.
Il Collegio ha ribadito il principio, già consolidato nella propria giurisprudenza, secondo cui «l’annullamento dell’avviso di accertamento notificato alla società, sancito con sentenza passata in giudicato, spiega i suoi effetti a favore di tutti i soci, i quali possono opporlo all’Amministrazione finanziaria, che è stata parte in causa nel relativo processo (esercitando quindi, senza limitazioni di sorta il diritto di difesa). A meno che l’annullamento non sia stato pronunciato per tardiva notifica dell'atto impositivo (decadenza), o per altra causa non rapportabile ai soci (ad es. nullità della notifica, vizi di motivazione dell'atto notificato alla società che non ricorra anche nell’avviso notificato ai soci)» [Cass. civ., sez. V, ord., 20 novembre 2023, n. 32120].
Applicando tale principio al caso concreto, la Corte ha osservato come la CTR avesse errato nel non estendere l’annullamento ai soci. La ragione della nullità dell’atto societario – l’intervenuta estinzione della società prima dell'emissione dell'accertamento – non rientra, secondo la Corte, nel novero delle “cause non rapportabili ai soci”. Al contrario, si tratta di un vizio radicale che inficia l’atto presupposto nella sua stessa esistenza giuridica, rendendolo inidoneo a produrre qualsivoglia effetto, inclusa la legittimazione della pretesa verso i soci.
La Corte ha inoltre precisato che, sebbene la CTP avesse errato nel merito annullando l’atto anziché dichiarare l’improponibilità del ricorso della società estinta, su tale punto si era formato un giudicato interno non più sindacabile.
Di conseguenza, la Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, ha accolto gli originari ricorsi dei contribuenti, annullando gli avvisi di accertamento ad essi notificati.
3) Il commento
L’ordinanza n. 23939/2025 si segnala per la sua chiarezza e coerenza nell’applicazione dei principi che governano il rapporto tra l’accertamento tributario nei confronti delle società di persone e quello nei confronti dei singoli soci. La decisione si fonda su un pilastro del nostro ordinamento processuale: il principio dell’effetto espansivo del giudicato, in base al quale la caducazione di una parte della sentenza (o, come nel caso di specie, di un atto presupposto) si estende alle parti e agli atti che da essa dipendono.
1. Il nesso di dipendenza e l’effetto caducatorio
Nel sistema di tassazione per trasparenza delle società di persone (art. 5 TUIR), l’avviso di accertamento notificato alla società e quello notificato al socio costituiscono atti distinti ma legati da un nesso di pregiudizialità-dipendenza. L’accertamento del maggior reddito societario è il presupposto logico e giuridico per l’imputazione della corrispondente quota di reddito al socio. La caducazione del primo, pertanto, non può che determinare la caducazione del secondo, privandolo del suo fondamento.
La Corte, nel richiamare il proprio precedente costituito dall’ordinanza n. 32120 del 2023, ha circoscritto le eccezioni a tale regola. L’effetto espansivo viene meno solo quando l’annullamento dell’atto societario derivi da vizi che attengono esclusivamente al rapporto tra Fisco e società, senza alcuna attinenza con la posizione del socio. Esempi tipici sono un vizio di notifica dell’atto alla sola società o una decadenza maturata unicamente nei confronti di quest’ultima.
2. L’inesistenza del soggetto passivo: un vizio radicale e non un mero errore procedurale
Il punto focale e più pregevole della decisione risiede nella qualificazione del vizio in esame. L’emissione di un avviso di accertamento nei confronti di una società già cancellata dal registro delle imprese non costituisce un mero vizio procedurale, ma una patologia ben più grave che attiene alla stessa esistenza del soggetto passivo dell'obbligazione tributaria. Come correttamente evidenziato da altra giurisprudenza, un atto emesso nei confronti di un soggetto estinto è «giuridicamente inesistente e privo di ogni giuridico effetto» [Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Roma, sez. IV, sent. 12 luglio 2024, n. 11745].
Questa qualificazione è fondamentale per superare l'orientamento, talvolta emerso in passato, che tendeva a confinare tale vizio nell'ambito dei vizi formali, con la conseguenza di negarne l'effetto espansivo a favore dei soci [Cass. civ., sez. VI, ord., 9 dicembre 2022, n. 36058]. L'ordinanza in commento, invece, compie un passo avanti, chiarendo che la mancanza del destinatario dell'atto impositivo non è un vizio “non rapportabile ai soci”, ma è la negazione stessa del presupposto su cui si fonda l'intera costruzione della pretesa fiscale, anche nei loro confronti. Non si tratta di un errore nel procedimento di accertamento, ma dell’assenza dell’oggetto stesso dell’accertamento: un reddito rettificato in capo a un soggetto esistente.
3. Il quadro normativo ratione temporis e la “sopravvivenza fiscale”
È opportuno, per completezza, contestualizzare la decisione nell’evoluzione normativa. La vicenda in esame, riguardando una cancellazione avvenuta nel 2008, è disciplinata dal regime anteriore al D.Lgs. n. 175/2014. L’art. 28, comma 4, di tale decreto ha introdotto una significativa novità, stabilendo che, ai soli fini fiscali, «l’estinzione della società di cui all'articolo 2495 del codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione dal Registro delle imprese» [cfr., ex pluribus: Cass. civ., sez. V, ord. 28.5.2020, n. 10141; Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Roma, sez. I, sent. 28 febbraio 2023, n. 2695].
Questa norma ha creato una fictio iuris, una sorta di “sopravvivenza fiscale” della società, al fine di garantire all'Amministrazione Finanziaria un lasso di tempo per completare le attività di accertamento e riscossione. La giurisprudenza ha pacificamente chiarito che tale disposizione non ha efficacia retroattiva e si applica solo alle cancellazioni richieste a partire dal 13 dicembre 2014 [cfr., ex pluribus: Cass. civ., sez. V., ord. 22 aprile 2025, n. 10429; Cass. civ., sez. V, ord., 4 gennaio 2024, n. 203; Cass. SS.UU. civ., sent. 27 novembre 2023, n. 32790; Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Liguria, sez. I, sent. 14 febbraio 2022, n. 105; Cass. civ., sez. V, ord. 23 marzo 2021, n. 8067; Cass. civ., sez. VI, ord. 14 febbraio 2020, n. 3750; Cass. civ., sez. V, sent. 2 aprile 2015, n. 6743]. La Corte, pertanto, ha correttamente deciso la controversia sulla base del diritto vigente all'epoca dei fatti, secondo cui la cancellazione produceva un effetto estintivo immediato anche nei confronti del Fisco. La menzione di questo aspetto, sebbene non esplicitata nell'ordinanza, è cruciale per comprendere la portata della decisione e per non applicarne i principi in modo automatico a fattispecie successive al 2014.
In conclusione, l’ordinanza n. 23939 del 2025 offre un’importante affermazione di principio, garantendo coerenza al sistema e tutelando il diritto di difesa del contribuente.
Stabilendo che un atto impositivo fondato su un presupposto giuridicamente inesistente è nullo e non può produrre effetti a cascata su altri soggetti, la Corte riafferma la centralità del principio di legalità e del nesso di consequenzialità logico-giuridica che deve legare gli atti dell'amministrazione.
La decisione si pone come un solido punto di riferimento per tutte le controversie sorte nel regime previgente alla riforma del 2014, distinguendo con rigore tra vizi meramente formali e patologie radicali che, minando alla base la pretesa fiscale, non possono che determinarne il completo travolgimento.