Con la sentenza n. 24172 del 29 agosto 2025 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione risolvono un annoso contrasto giurisprudenziale sul potere del giudice d’appello di rilevare d’ufficio una questione pregiudiziale di rito che il primo giudice non aveva esaminato, decidendo la causa nel merito.
Affermando il principio della formazione di un giudicato implicito sulla questione processuale, la Corte stabilisce che la parte interessata, anche se vittoriosa nel merito, ha l’onere di proporre specifica impugnazione per far valere il vizio, pena la sua definitiva sanatoria.
La pronuncia delinea, tuttavia, un perimetro invalicabile a tale regola, escludendone l’applicazione per i vizi processuali riguardanti presupposti “fondanti” del processo, per i vizi processuali rilevabili, in base ad espressa previsione legale, “in ogni stato e grado” e qualora il giudice abbia deciso secondo il principio della “ragione più liquida”.
La decisione si segnala per il pregevole sforzo di sistematizzazione, bilanciando le esigenze di economia processuale e di autoresponsabilità delle parti con la tutela dei principi cardine del giusto processo, non mancando di richiamare il giudice ad esercitare in modo responsabile ed esplicito il criterio della ragione più liquida, al fine di risolvere il merito della causa pretermettendo le questioni di rito
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1) Il caso
La vicenda processuale trae origine da una domanda di risarcimento per responsabilità aggravata, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., proposta con un autonomo giudizio. L’attrice lamentava i danni subiti a causa di un pignoramento immobiliare e di un sequestro conservativo asseritamente illegittimi, trascritti nell’ambito di precedenti e distinti procedimenti.
In primo grado, la società convenuta eccepiva, solo in sede di comparsa conclusionale, l’inammissibilità della domanda. Sosteneva, infatti, che la pretesa risarcitoria avrebbe dovuto essere avanzata all’interno degli stessi giudizi in cui si erano verificate le condotte illecite, e non in un processo separato. Il Tribunale, tuttavia, rigettava la domanda nel merito, omettendo di pronunciarsi sulla sollevata eccezione pregiudiziale di rito.
La società attrice, soccombente nel merito, proponeva appello.
La società convenuta, pur risultando vittoriosa in primo grado, si costituiva in appello chiedendo la reiezione del gravame, senza però proporre appello incidentale sulla questione di inammissibilità della domanda, ignorata dal primo giudice.
La Corte d’Appello, investita del gravame, rilevava d’ufficio l’inammissibilità della domanda originaria, accogliendo così la tesi processuale che il Tribunale aveva pretermesso.
Di conseguenza, riformava la sentenza di primo grado, dichiarando la domanda inammissibile.
Avverso tale decisione, la società originaria attrice proponeva ricorso per cassazione, deducendo, quale primo motivo, la violazione degli artt. 112 e 324 c.p.c.
A suo dire, la mancata pronuncia del Tribunale sull’eccezione di inammissibilità, a fronte di una decisione sul merito, aveva comportato la formazione di un giudicato interno implicito sulla questione, con conseguente preclusione per la Corte d’Appello di rilevarla d’ufficio in assenza di uno specifico gravame incidentale.
La Terza Sezione Civile, riscontrando un netto contrasto giurisprudenziale sul punto, rimetteva la questione alle Sezioni Unite ai sensi dell’art. 374, secondo comma, c.p.c..
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2) La decisione della Corte
Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 24172 del 2025, hanno rigettato il primo motivo di ricorso, ma hanno colto l’occasione per dirimere il contrasto e fornire una soluzione organica alla complessa questione processuale.
La Corte ha enunciato il seguente principio di diritto: «qualora il giudice di primo grado abbia deciso la controversia nel merito, omettendo di pronunciare espressamente su un vizio processuale rilevabile d’ufficio (in base alla norma del processo o desumibile dallo scopo di interesse pubblico, indisponibile dalle parti, sotteso alla norma processuale che stabilisce un requisito formale, prescrive un termine di decadenza o prevede il compimento di una determinata attività), la parte che abbia interesse a far valere detto vizio è onerata di proporre, nel grado successivo, impugnazione sul punto, la cui omissione determina la formazione del giudicato interno sulla questione processuale in applicazione del principio di conversione del vizio in motivo di gravame ex art. 161, comma primo, c.p.c., rimanendo precluso tanto al giudice del gravame, quanto alla Corte di cassazione, il potere di rilevare, per la prima volta, tale vizio ex officio.
A tale regola si sottraggono, così da consentire al giudice dei gradi successivi di esercitare il potere di rilievo officioso, i vizi processuali rilevabili, in base ad espressa previsione legale, “in ogni stato e grado” e i vizi relativi a questioni “fondanti”, la cui omessa rilevazione si risolverebbe in una sentenza inutiliter data, ovvero le ipotesi in cui il giudice abbia esternato la propria decisione come fondata su una ragione più liquida, che impedisce di ravvisare una decisione implicita sulla questione processuale implicata» .
Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che la questione della proponibilità della domanda ex art. 96 c.p.c. in un giudizio autonomo rientri tra le questioni "fondanti" relative alle condizioni dell’azione.
Pertanto, essa è sottratta alla regola generale enunciata e rimane rilevabile d’ufficio anche in appello, pur in assenza di impugnazione incidentale.
Per tale ragione, pur avendo stabilito un principio generale che andava nella direzione auspicata dalla ricorrente, ha ritenuto infondato il suo motivo di ricorso, poiché la fattispecie concreta ricadeva in una delle eccezioni a tale principio.
3) Il contrasto giurisprudenziale e la centralità del problema
La pronuncia delle Sezioni Unite n. 24172 del 2025 rappresenta un punto di arrivo di fondamentale importanza nel dibattito, dottrinale e giurisprudenziale, sui rapporti tra questioni di rito e di merito e sulla sorte delle questioni processuali pretermesse dal giudice di primo grado.
La decisione offre una soluzione equilibrata e sistematica, che contempera l’esigenza di efficienza e ragionevole durata del processo con i principi di autoresponsabilità delle parti e di tutela del diritto di difesa.
La questione rimessa alle Sezioni Unite si collocava al crocevia di principi processuali fondamentali.
Da un lato, l’esigenza di economia processuale e di stabilità delle decisioni; dall’altro, la garanzia del corretto svolgimento del processo e la natura dei poteri officiosi del giudice.
Il contrasto, come ben evidenziato dall’ordinanza di rimessione, si era polarizzato su due orientamenti antitetici.
Un primo indirizzo, più garantista verso i poteri officiosi del giudice, negava la formazione di un giudicato implicito sulla questione di rito non decisa.
Si sosteneva che tra la questione processuale e quella di merito intercorresse una mera "presupposizione logico-giuridica", sicché la decisione sul merito non implicava alcuna statuizione stabile sulla questione di rito. Di conseguenza, il giudice d’appello conservava intatto il potere-dovere di rilevare d’ufficio il vizio, anche in assenza di un’impugnazione incidentale della parte vittoriosa nel merito (cfr. Cass. n. 7941/2020; Cass. n. 10361/2022).
Un secondo orientamento, valorizzando il principio di autoresponsabilità e la conversione delle nullità in motivi di gravame (art. 161 c.p.c.), propendeva invece per la formazione di un giudicato implicito.
La decisione sul merito, secondo questa tesi, presuppone necessariamente una valutazione positiva, seppur implicita, sulla questione di rito. Tale statuizione implicita, se non specificamente impugnata dalla parte che ne ha interesse (anche attraverso un appello incidentale condizionato), si consolida, precludendo al giudice del gravame il rilievo d’ufficio (cfr. Cass. n. 6762/2021; Cass. n. 26850/2022).
Le Sezioni Unite aderiscono, in via di principio, al secondo orientamento, fornendo una costruzione dogmatica solida e convincente.
La Corte chiarisce che il rapporto tra questione di rito e questione di merito non è di mera antecedenza logica, ma di "presupposizione necessaria" e di "dipendenza strutturale".
Una decisione che statuisce sulla fondatezza di una pretesa postula, inevitabilmente, che il giudice abbia ritenuto ammissibile l’esame di tale pretesa.
Questa decisione implicita, sebbene non esplicitata in motivazione, costituisce un “capo autonomo della sentenza” e, come tale, è suscettibile di passare in giudicato se non investita da uno specifico mezzo di gravame.
La Corte sposa così la logica dell’art. 161 c.p.c.: il vizio processuale si converte in motivo di impugnazione e la sua mancata deduzione ne determina la sanatoria per acquiescenza.
Di qui la conseguenza, di grande impatto pratico, sull’onere della parte. La parte che aveva interesse a far valere il vizio processuale (nel caso di specie, la convenuta vittoriosa nel merito ma “soccombente virtuale” sulla questione di rito) è onerata di proporre impugnazione, tipicamente un appello incidentale condizionato all’accoglimento del gravame principale.
La mera riproposizione dell’eccezione ai sensi dell’art. 346 c.p.c. è ritenuta strumento inidoneo, in quanto non veicola una critica alla decisione (implicita) del giudice, ma si limita a devolvere al giudice d’appello una questione non accolta.
Questa soluzione ha il pregio di responsabilizzare le parti, promuovere la certezza dei rapporti processuali e garantire una maggiore economia dei giudizi, evitando che questioni processuali "dimenticate" possano riemergere d’ufficio in appello, vanificando l’esito del gravame sul merito.
4) Le necessarie eccezioni a tutela del "giusto processo"
Il vero cuore della pronuncia, e l’elemento che ne garantisce la coerenza con i valori costituzionali, risiede nella puntuale delimitazione delle eccezioni alla regola generale.
Le Sezioni Unite, con notevole acume, tracciano un confine invalicabile, oltre il quale il potere officioso del giudice non può essere compresso.
La prima e più importante eccezione riguarda i vizi processuali che attengono a questioni “fondanti” la struttura e il funzionamento del processo, la cui violazione darebbe luogo a una sentenza inutiliter data.
Si tratta di vizi che ledono interessi super-individuali, riconducibili all’ordine pubblico processuale, e che minano la stessa potestas iudicandi o il nucleo essenziale del diritto di difesa e del contraddittorio.
La Corte elenca, a titolo esemplificativo, il difetto di legitimatio ad causam, di interesse ad agire, delle condizioni di proponibilità dell’azione, la violazione del litisconsorzio necessario, il ne bis in idem e l’inesistenza della sentenza.
Per tali vizi, la pregnanza assiologica delle norme violate impone la loro rilevabilità d’ufficio “in ogni stato e grado”, anche in via interpretativa, a prescindere da una espressa previsione legale e dalla condotta delle parti.
La seconda eccezione, altrettanto rilevante, concerne l’ipotesi in cui il giudice di primo grado abbia espressamente fondato la propria decisione sul criterio della “ragione più liquida”. Se il giudice, cioè, dichiara in motivazione di aver pretermesso l’esame di una complessa questione di rito per decidere la causa sulla base di una più semplice questione di merito, viene meno il presupposto stesso della decisione implicita. In tal caso, la questione di rito non è stata decisa neppure implicitamente, ma è stata consapevolmente “assorbita”.
Ne consegue che essa potrà essere riproposta e rilevata d’ufficio nel grado successivo, non essendosi formato alcun giudicato.
La Corte, peraltro, responsabilizza il giudice, imponendogli sia un onere di trasparenza motivazionale, essenziale per garantire il diritto di difesa delle parti, stabilendo espressamente che "[l]’opzione per l’impiego del criterio della ragione più liquida, esercitata in sede decisoria, deve essere esplicitata, rendendo la motivazione trasparente in ordine alla scelta di assorbimento", sia, ancora prima, di "ponderare funditus la decisione sulla questione di pronta soluzione, non solo nell’attualità del grado in cui si trova ad esercitare la potestas iudicandi, ma altresì in una dimensione prospettica, verificando la tenuta della decisione espressa con riferimento ai potenziali gradi successivi".
5) Conclusioni
La sentenza n. 24172/2025 delle Sezioni Unite si configura come una pietra miliare nella procedura civile.
Essa non si limita a risolvere un contrasto, ma offre una ricostruzione sistematica dei poteri del giudice e degli oneri delle parti, in un delicato equilibrio tra efficienza del processo e garanzie fondamentali.
La regola del giudicato implicito sulla questione processuale, temperata dalle rigorose eccezioni a tutela dei vizi relativi a questioni “fondanti” e dalla corretta applicazione del principio della “ragione più liquida”, fornisce agli operatori del diritto un quadro di riferimento chiaro e prevedibile, idoneo a rafforzare la certezza del diritto e la ragionevole durata del processo, senza sacrificare i pilastri irrinunciabili del giusto processo.