Con la circolare 21.5.2025, n. 94, l’INPS ha fornito appositi chiarimenti in materia di soccida, anche relativamente al contratto di soccida monetizzata.
Gli articoli 2170 e seguenti del codice civile, disciplinano il contratto di soccida cioè l’esercizio in comune dell’attività di allevamento di bestiame e dei connessi prodotti derivati, cioè gli animali che sono allevati nelle aziende agricole quali il “bestiame grosso” (ad es., bovini, equini, ecc,), il “bestiame minuto (ad es., ovini, caprini, suini) e il “bestiame da cortile” (ad es., volatili, conigli, ecc.).
La soccida è un contratto associativo per effetto del quale il soccidante, spesso imprenditore non agricolo, fornisce non solo i capi da allevare ma anche i mangimi e i servizi necessari all’allevatore soccidario al fine di ripartirsi l’accrescimento del bestiame e gli altri prodotti e utili che ne derivano.
L’accrescimento consiste tanto nei parti sopravvenuti che nel maggior valore intrinseco del bestiame al momento in cui avviene la cessazione del contratto.
Il rapporto associativo può essere caratterizzato sotto la forma di:
- soccida semplice: il bestiame è conferito dal solo soccidante, ma la proprietà non è trasferita al soccidario (art. 2171, c.c.)
- soccida parziaria: il bestiame è conferito da entrambe le parti nelle proporzioni che sono state convenute, per cui il bestiame è posseduto in comproprietà tra i conferenti nella misura conforme a ciascun apporto (art. 2182);
- soccida con conferimento di pascolo di cui art. 2186 c.c. (ma è stata convertita in affitto di fondo rustico) il soccidante conferisce il terreno per il pascolo mentre il soccidario conferisce il bestiame per cui è assente un rapporto associativo.
Una quarta fatispecie è rappresentata dalla “soccida monetizzata” secondo cui al termine del ciclo di allevamento non è fatta la divisione in natura dei capi ma il soccidante acquisisce l’intero accrescimento (risultante dalla differenza inventariale tra il valore iniziale del bestiame che è stato conferito e quello risultante alla cessazione del contratto) liquidando al soccidario una somma in denaro corrispondente alla quota spettante.
In pratica, il soccidante può destinare l’accrescimento alla propria produzione oppure venderlo.
Con le circolari 27.4.1973, n. 31 e 9.2.1995, n. 48, del Ministero delle finanze è stato affermato che il conferimento fatto all’inizio del contratto, e il prelevamento dei capi, fatto al termine del rapporto non sono traslativi della proprietà.
In pratica la divisone dell’accrescimento è “un atto dichiarativo dell’acquisto originario degli stessi, che altro non sono che una fruttificazione del diritto di proprietà del bestiame che è oggetto del contratto di soccida” (risposta a interpello 18.6.2024, n. 134).
Pertanto, la quota riservata al soccidario (cioè la c.d. “monetizzazione”) ha la natura di utile per cui non è soggetta all’IVA (risoluzione 7.12.1973, n. 504929), non essendosi verificato alcun passaggio di proprietà.
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1) La problematica contributiva
Il contenzioso previdenziale focalizzava l’attenzione sul fatto che il soccidante perde la qualifica di agricoltore in quanto viene meno la prevalenza dell’origine interna all’azienda dei prodotti che sono utilizzati per le attività connesse.
Inoltre, il problema delle riduzioni contributive aveva per oggetto le cooperative e i loro consorzi, di cui all’art. 2 della l. 15.6.1984, n. 240, che ricevono il bestiame di soci soccidari che operano in zone montane e svantaggiate.
Secondo l’INPS l’art. 2135 c.c. focalizza l’attenzione sul concetto di prevalenza: i prodotti devono essere ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali da parte dell’imprenditore agricolo e dei soci di cooperative o dei consorzi di cooperative (art. 2 della l. 15.6.1984, n. 240).
Se l’acquisizione degli animali allevati avviene mediante il contratto di soccida, si è in presenza di un acquisto sul mercato, il che fa venir meno l’acquisizione che deriva dal contratto di soccida, con anche la decadenza delle agevolazioni contributive.
Ma, secondo l’INPS “Se nella realtà operativa le parti si conformano allo schema tipico stabilito dal combinato disposto dagli artt. 2181 e 2178 e dall’art. 2184 c.c., non si ha alcun acquisto sul mercato, in quanto sia il soccidante sia il soccidario tornano rispettivamente in possesso della consistenza del bestiame inizialmente conferita, mentre l’approvvigionamento scaturito dalla divisione in natura, secondo le proporzioni concordate alla produzione aggiuntiva conseguita alla conclusione del contratto di soccida (o alla fine dei cicli di allevamento ricompresi nel corso della sua durata), non rappresenta un acquisto dl mercato, in quanto derivante dall’esercizio associato dell’attività di allevamento”. Pertanto, tale situazione “non occorre effettuare alcuna valutazione circa il rispetto della condizione di prevalenza con riguardo all’acquisizione di tale produzione da parte del soccidante e del soccidario, poiché la stessa deve essere considerata realizzata nell’ambito dei rispettivi cicli aziendali di produzione”.
Lo stesso principio va applicato alla cooperativa-soccidante di cui all’art. 2 della citata l. 240 in materia di riduzioni contributive per le zone montane e svantaggiate per la parte di bestiame che è attribuita dopo che è avvenuta la divisione dell’accrescimento in conformità al contratto di soccida.
Sulla base del suddetto parere le strutture territoriali dell’INPS sono invitate a riesaminare i contenziosi presenti il cui oggetto è il contratto di soccida.
In conclusione, la circolare si allinea con l’orientamento tributario di cui ai suddetti documenti di prassi.
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