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WELFARE: IL BENESSERE IN AZIENDA

Welfare: il benessere in azienda

Adottare un piano di Welfare aziendale o di Smart working può rivelarsi un ottimo investimento a lungo termine. Di cosa si tratta, come fare?

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Adottare un piano di Welfare aziendale significa investire nel benessere dei dipendenti. È infatti appurato che un miglioramento del clima aziendale e del grado di soddisfazione personale rende i lavoratori più produttivi. Il Welfare può quindi rivelarsi un ottimo investimento a medio e lungo termine.

Sempre più di frequente vengono pubblicizzati sui giornali i servizi resi dalle grandi multinazionali ai propri dipendenti: asili nido interni, flessibilità, borse di studio... Tali misure rientrano appunto nel concetto di Welfare aziendale destinato a migliorare la conciliazione tra vita privata e professionale. Ciò dimostra, inoltre, che le aziende che adottano i piani di Welfare traggono profitto non solo in termini di produttività, ma anche in prestigio e popolarità, diventando posti di lavoro più ambiti e attirando lavoratori più qualificati.

Va innanzitutto premesso che non esiste una normativa unitaria ed organica in tema di Welfare.

Pertanto, in linea teorica, tutto ciò che viene riconosciuto dal datore di lavoro con la finalità di rendere più agevole la conciliazione dei vari aspetti della vita dei dipendenti rientra nel concetto di Welfare.  Possiamo quindi distinguere due concetti di Welfare:

  • un Welfare strettamente “tecnico” che riguarda le erogazioni materiali di beni, opere e servizi che hanno risvolti fiscali e previdenziali;
  • un Welfare, invece, più ampio che comprende tutte le misure adottate dall’azienda per la predetta finalità e che tocca vari aspetti del rapporto di lavoro.

Va inoltre specificato che il Welfare, sebbene sia un tema che solo negli ultimi anni ha fortemente attirato l’attenzione degli operatori del settore, viene riconosciuto da tempo, almeno in parte, dai contratti collettivi.

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Sull'argomento ti puo interessare il Videocorso accreditato ODCEC in diretta o in differita "Il welfare aziendale" in programma il 4.12.2018 alle 15.30  a cura del dott. M. Matteucci.

1) Welfare contrattuale

Si pensi in primo luogo all’assistenza sanitaria integrativa. Molti contratti collettivi nazionali prevedono infatti l’obbligo per il datore di lavoro di versare un contributo destinato ad un fondo o ad una cassa di assistenza sanitaria che offra ai lavoratori prestazioni integrative al Sistema Sanitario Nazionale.

Ciò avviene, ad esempio, nel CCNL Commercio che prevede il versamento obbligatorio al Fondo Est in parte a carico dell’azienda e in parte a carico del lavoratore. Oppure, ancora, la recente istituzione della contribuzione obbligatoria al Fondo MètaSalute istituita dal CCNL Metalmeccanica industria a decorrere da ottobre 2017.

Molti CCNL, inoltre, prevedono una contribuzione destinata alla previdenza complementare. Quando il lavoratore sceglie di destinare il trattamento di fine rapporto ad un fondo di previdenza complementare, il datore di lavoro è tenuto ad integrare i versamenti con un ulteriore contributo.
Inoltre, alcuni contratti collettivi prevedono particolari ipotesi di adesione contrattuale. È il caso, ad esempio, del CCNL Autoferrotranvieri Internavigatori – Mobilità – TPL che dal 2017 prevede il versamento di un contributo obbligatorio a carico azienda al Fondo Priamo, fondo di previdenza complementare di settore, indipendentemente dall’adesione del lavoratore e quindi dalla destinazione prescelta per il trattamento di fine rapporto.

La contrattazione collettiva si sta inoltre muovendo verso il riconoscimento di un Welfare ancora più ampio. È il caso, ancora una volta, del CCNL Metalmeccanica Industria che dal 2017 prevede il riconoscimento di misure di Welfare per un valore di 100 euro per ciascun dipendente; somma peraltro destinata ad aumentare nei due anni successivi. 

Tuttavia è l’azienda il luogo di massima espressione del Welfare, ciò in quanto le singole imprese sono certamente i soggetti che meglio possono individuare i bisogni dei dipendenti.

Un’impresa con una popolazione aziendale molto giovane potrà mettere a disposizione dei lavoratori, ad esempio, abbonamenti in palestra, pacchetti viaggio o corsi di lingua. Una popolazione più anziana potrebbe, probabilmente, trovare maggiore interesse nel riconoscimento di check up medici gratuiti o negli aumenti di contribuzione destinata alla previdenza complementare. Nel caso di un alto tasso di genitorialità, l’azienda potrà invece riconoscere un sistema che consenta la maggior flessibilità oraria.

Per questo è opportuno che l’azienda effettui un’indagine tra i propri dipendenti al fine di identificare al meglio le esigenze.

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2) Conciliazione vita-lavoro

Vediamo alcune delle misure che possono essere adottate al fine di garantire il benessere dei lavoratori.

  • Flessibilità di orario: viene introdotta solitamente a livello aziendale. Consiste nella definizione di una fascia oraria entro la quale i dipendenti possono liberamente iniziare e terminare la prestazione lavorativa, senza più l’individuazione di un orario predefinito di ingresso e di uscita,  anche in relazione alla pausa pranzo, sia in termini di durata che di orario. Può inoltre essere riconosciuta al dipendente autonomia nella distribuzione dell’orario di lavoro settimanale mediante compensazioni. (Ad esempio: lavoro per mezza giornata il venerdì in compensazione di giornate lavorative più lunghe dal lunedì al giovedì.) È comunque fondamentale il rispetto della disciplina  definita dal d. lgs. n. 66/2003.

  • Banca ore: il lavoratore svolge attività lavorativa per un numero di ore eccedente il normale orario di lavoro; tali ore non vengono però retribuite come straordinari ma accumulate e consumate successivamente come riposi compensativi. Le ore non compensate vengono successivamente monetizzate e retribuite con la maggiorazione prevista per gli straordinari.

  • Part-time: il d. lgs. n. 81/2015 prevede dei casi in cui al lavoratore a tempo pieno viene riconosciuta la priorità nella trasformazione a tempo parziale. Tali ipotesi sono legate alla presenza di patologie gravi del coniuge, del figlio o dei genitori; di un convivente portatore di handicap grave; di un figlio con handicap anche non grave o minore di tredici anni. Con l’istituzione del Welfare ad esempio potrebbe essere riconosciuto il diritto, e non la mera priorità, alla riduzione d’orario.

  • Aspettative: possono essere istituite particolari periori di aspettativa aggiuntivi a quelle previste dai contratti collettivi. I lavoratori possono in tal modo conservare il posto di lavoro per periodi in cui, altrimenti, sarebbero costretti a dimettersi.  I lavoratori possono in questo modo svolgere per un periodo prolungato attività dedicate ai propri interessi, come ad esempio un viaggio o un pellegrinaggio.

Si tratta in questi casi di misure che attengono prettamente alla disciplina del rapporto di lavoro. Tali misure pertanto non hanno una rilevanza diretta in riferimento alla disciplina fiscale.

Un altro esempio ci viene fornito dalla recentissima introduzione del lavoro agile, c.d. Smart Working.

La l. n. 81/2017 prevede la possibilità di stipula di un accordo scritto tra datore di lavoro e lavoratore che consenta a quest’ultimo di svolgere la prestazione lavorativa in parte in azienda e in parte al di fuori, senza vincoli di orario e di luogo con il possibile utilizzo di strumentazione tecnologica. Lo Smart Working può essere utilizzato specificatamente in relazione a forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi.

Nello Smart Working la modalità di esecuzione della prestazione di lavoro all’esterno dell’azienda viene liberamente concordata tra le parti. Con lo Smart Working, quindi, si affievoliscono gli elementi che hanno qualificato per decenni il lavoro subordinato. I dipendenti “smart”, infatti, si avvicinano in questo senso ai lavoratori autonomi.

Tratto dall'E-Book: "Welfare Aziendale, Aggiornato con la circolare n.5/E/2018-chiarimenti in merito a premi di risultato e welfare aziendale" di Paolo Stern, Massimiliano Matteucci, Sara di Ninno, Valentina Muratori.

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