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TRANSFER PRICING E DETERMINAZIONE DEL VALORE NORMALE

Transfer pricing e determinazione del valore normale

Un'analisi approfondita per determinare il valore normale ai fini dell'applicazione della disciplina del transfer pricing, alla luce di una recente sentenza della Corte di Cassazione

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La Corte di cassazione, con la sentenza 23 dicembre 2014, n. 27296 ha riconfermato il principio secondo il quale, nel determinare il prezzo delle transazioni infragruppo secondo il criterio del “valore normale” ai fini dell’applicazione della disciplina del transfer pricing, si deve tener conto di tutti i complessi aspetti contrattuali tra le società del gruppo e con la società terza acquirente.

1) Transfer pricing e determinazione valore normale: cosa dice la Cassazione

I FATTI
L’azienda verificata, ed oggetto successivamente di avviso di accertamento, era la controllata italiana di una società di diritto tedesca.
Dalle verifiche effettuate dall’Ufficio, erano emerse cessioni di beni effettuate alla società tedesca a prezzi che non risultavano coincidenti con i prezzi di libero mercato, in quanto inferiori al “Valore normale”.
Quindi, l’incongruenza in parola costituiva presupposto per l’applicazione della disciplina sul transfer pricing.
In particolare, la controllata italiana aveva prodotto e venduto alla controllante tedesca rilevatori di calore ferroviari (FUES), il cui know-how di produzione era detenuto da quest’ultima che, dal canto proprio, aveva concesso alla controllata italiana il diritto di fabbricare in proprio e commercializzare tali beni.
Quindi, l’Amministrazione finanziaria contestava il criterio seguito dalla controllata italiana per fissare il prezzo di detti beni nella transazione di vendita citata che, a suo parere, non era il principio di libera concorrenza (Arm’s length principle).

2) La disciplina del transfer pricing

La disciplina ex art. 110, co. 7 del Tuir, stabilisce che nelle transazioni intercompany con società non residenti nel territorio dello stato, che controllano direttamente o indirettamente l’impresa o ne sono controllate, si valutano sulla base del c.d. “Valore normale” di beni ceduti, di servizi prestati, di beni e servizi ricevuti, al fine precipuo di evitare sottovalutazioni delle vendite e/o sopravvalutazioni dei costi di acquisto.
D’altra parte, con il termine “Valore normale”, ai sensi dell’art. 9, co. 3 del Tuir, si fa riferimento, in prima approssimazione, al prezzo od al corrispettivo mediamente praticato per beni o servizi comparabili in condizione di libera concorrenza, quindi vicini a quelli adottati in condizioni di libero mercato tra imprese indipendenti.
Il valore normale è determinabile attraverso vari metodi, tra i principali dei quali vi sono quelli del confronto del prezzo, del prezzo di rivendita e del costo maggiorato, oltre ad altri metodi alternativi.

3) Transfer pricing: giudizio di merito

L’Amministrazione finanziaria contestava omessi corrispettivi su cessioni di beni effettuate alla controllante tedesca, in quanto considerati inferiori al valore normale, ritenendo dunque applicabile la normativa sul transfer pricing in ragione dell’accertata anormalità dello scambio in commento.
L’ufficio era giunto a questa conclusione prendendo a riferimento due contratti di vendita di FUES, quello tra impresa controllata e controllante e quello tra controllata e l’impresa terza rispetto al gruppo.
A tal proposito, sia la Commisione Tributaria Provinciale di Firenze (con sentenza n. 24/09/07), che quella regionale della Toscana (con sentenza n. 116/31/07), avevano rigettato tale rilievo, confermando l’illegittimità dell’avviso di accertamento, non riconoscendo, tra le altre cose, l’applicabilità della normativa sul transfer pricing al caso di specie, in ragione dell’assenza dell’intento elusivo e del concreto vantaggio economico conseguente allo scambio intercompany in commento.
In particolare, nei due gradi di giudizio, l’organo giurisdizionale di merito aveva affermato anzitutto che, nel caso di specie, col trasferimento di prezzi non ravvisava un vantaggio conseguente allo spostamento di redditi, in quanto nel 2003 (anno di effettuazione delle operazioni contestate) la tassazione in Germania era superiore a quella italiana.
Inoltre, nella determinazione del valore normale in questione, le commissioni avevano asserito come l’Amministrazione finanziaria si sia riferita a due contratti i cui corrispettivi delle conseguenti transazioni non sono comparabili tra loro, in ragione della natura ed oggetto assai diversi tra loro.
In particolare, la Commissione Tributaria Regionale aveva evidenziato la differente “posizione economica e contrattuale” tra la controllante tedesca, detentrice della proprietà intellettuale del FUES e la controllata italiana, titolare di contratto di licenza di produzione e vendita del medesimo bene, mera fabbricante dell’apparecchiatura da consegnare alla controllante tedesca. Tale circostanza, quindi, non può che incidere sul contenuto economico del rapporto contrattuale in commento, rendendo il medesimo non comparabile con quello intercorrente tra la controllata italiana e l’acquirente esterno al gruppo, al quale la prima vende il FUES prodotto, assumendo i rischi conseguenti all’operazione.

4) Transfer pricing: il giudizio della Cassazione

Anche la Suprema Corte, con la sentenza 23 dicembre 2014, n. 27296, ha rigettato il ricorso in relazione ai motivi adotti dall’Agenzia delle Entrate sopra menzionati, condividendo quanto sottolineato nel giudizio di merito circa la qualificazione e comparazione tra le operazioni intercompany e quella con l’impresa acquirente esterna al gruppo.
Anzitutto, la Corte ha confermato, sulla base di quanto affermato in secondo grado, che per l’applicabilità della normativa sul transfer pricing si debba accertare non soltanto l’anormalità della transazione, bensì considerare rilevanti anche la presenza di un chiaro intento elusivo perseguito, nonché di un vantaggio economico conseguente all’operazione.
Nel caso in esame, il vantaggio economico non è ritenuto ravvisabile per i motivi già chiariti in secondo grado.
Inoltre, la Corte ha reputato inammissibile la censura mossa dall’Agenzia delle Entrate in ordine alla determinazione dei prezzi dei manufatti prodotti e venduti alla controllante tedesca, inferiori di circa due/tre volte a quelli destinati al cliente esterno al gruppo (ritenuti dall’Ufficio il valore normale dei beni venduti in regime di libera concorrenza).
Nel giudizio di Cassazione, infatti, si ritiene giustificabile il prezzo più elevato applicato dalla società italiana alla società esterna al gruppo, in quanto il fatto che la società tedesca detenga il know-how di produzione del FUES, nonché avesse consentito alla controllata in commento la commercializzazione dello stesso sulla base di un contratto di licenza, giustifica un trasferimento di beni ad un prezzo inferiore a due o tre volte quello praticato dalla società italiana ad un cliente terzo .
Quindi, la sentenza in commento risulta di estrema importanza in ordine a due elementi fondamentali:
a) l’applicazione della disciplina sul transfer pricing dipende dall’accertamento dell’anormalità della transazione, ma anche dalla presenza di un intento elusivo e di un concreto vantaggio economico conseguente;
b) nella determinazione del valore normale di prezzi di trasferimento, si deve tener conto anche di tutti gli aspetti contrattuali tra le società del gruppo che possano in qualsiasi maniera incidere su detti prezzi.
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