La questione è scaturita dalla condanna penale inflitta dalla magistratura a due imprenditori palermitani per il reato di usura. Dalle indagini effettuate era emerso che i due avevano dato vita a due società di fatto dalle quali stornavano fondi dirottandoli su propri conti correnti, dai quali venivano movimentate operazioni di prestito, riscossioni di assegni e sconto di rinnovazione di effetti anche fungibili tra loro.
Fu accertato, inoltre, grazie alla deposizione del contabile delle società, che i due imprenditori “gestivano una contabilità parallela per svolgere, accanto alle attività ufficiali, una attività finanziaria occulta, praticando tassi usurai del 60% annuo circa”. Il procedimento portò alla condanna alla pena detentiva di un anno e due mesi ed una pena pecuniaria di due milioni di lire.
La Guardia di Finanza aveva provveduto a notificare alla società di fatto un avviso di accertamento, ai fini ILOR, per il reddito non dichiarato, per l’ammontare gli interessi usurai percepiti .
Sia la CTP di Palermo che la Commissione Regionale , interpellate dall'Agenzia, respinsero i ricorsi considerando la mancata sussistenza di elementi formali che evidenziassero la c.d. società di fatto. L' Agenzia ricorre in Cassazione.
Nella lunga e articolata sentenza i giudici della Corte di Cassazione hanno tenuto immediatamente a rimarcare il paradosso nella decisione della CTR, in merito al fatto che fosse a carico dell’amministrazione finanziaria la prova dell’esistenza della società di fatto in quanto “non ha senso pretendere elementi evidenti e manifestazioni esterne dell'accordo associativo, sotto pena di rendere sostanzialmente impossibile la prova che si intende fornire: nel contesto sopra descritto, quindi, i giudici tributari avrebbero dovuto esigere prove meno apparenti e avrebbero dovuto meglio valorizzare, secondo il comune buon senso, gli elementi presuntivi emersi nel caso".
La Cassazione ha addirittua evidenziato il trattamento di maggior favore riservato dai verificatori del Fisco nei confronti degli imprenditori, infatti, nella sentenza si legge testualmente che “la determinazione del reddito mediante applicazione del tasso di interesse del 60% sull'ammontare dei versamenti affluiti sul conto, ha costituito una misura di favore per la società di fatto, perché, hanno rimarcato i giudici di piazza Cavour, l'Ufficio era legittimato a recuperare a tassazione l'intero importo dei versamenti risultanti dai conti bancari, secondo il disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1”.
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1) Commento alla Sentenza della Corte di Cassazione n. 12763 del 10 Giugno 2011
Per il commento completo ed il testo integrale della sentenza scarica il documento al seguente link:
Reato di usura in società di fatto: il Fisco recupera a tassazione i redditi non dichiarati - Sent Cass. 12763/2011
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