Speciale Pubblicato il 03/02/2016

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La sovrafatturazione è sempre penalmente rilevante

di Dott. Giuseppe Di Franco

La sovrafatturazione o "fatture gonfiate" rientra nei reati tributari: lo ricorda la Cassazione in una recente sentenza



Con il termine sovrafatturazione si individua quel particolare fenomeno attraverso il quale vengono indicati in fattura importi superiori rispetto a quelli realmente corrisposti. E questo è un fatto noto (c.d. fatture “gonfiate”).

Ma che questo fenomeno rientri nell’alveo dei reati tributari e più precisamente nella connotazione di “operazione inesistente” forse non è ancora così lapalissiano.

E proprio per rammentarci questo collegamento la Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha riaffermato un orientamento giurisprudenziale oramai consolidato, con cui viene stabilito che la sovrafatturazione (ovvero l’indicazione in fattura o in un documento avente valore probatorio ai fini fiscali di un importo superiore a quello effettivamente corrisposto) rientra a pieno titolo nello spettro dell’art. 2 del D.Lgs. n. 74 del 2000 che disciplina i reati tributari.

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Cosa dice il decreto legislativo n.74 che disciplina i reati tributari

Come risaputo, il D.Lgs. n. 74 del 2000 rappresenta la norma tributaria di riferimento nella disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto e l’art. 2 del decreto in argomento, intitolato “Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o  altri  documenti per operazioni inesistenti”, punisce chiunque “al fine di evadere le imposte  sui  redditi  o  sul  valore aggiunto, avvalendosi di fatture o  altri  documenti  per  operazioni inesistenti, indica in una delle  dichiarazioni  relative  a dette imposte elementi passivi fittizi”[1].

Nella relazione di accompagnamento al decreto in parola, viene specificato che con la locuzione «fatture o altri documenti per operazioni inesistenti», la norma fa riferimento alle fatture e a quei documenti “aventi rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie attestanti operazioni in tutto o in parte prive di riscontro nella realtà, vuoi in senso oggettivo (perché mai poste in essere, ovvero poste in essere solo parzialmente), vuoi in senso soggettivo (in quanto intervenute tra soggetti diversi da quelli indicati)”.

In forza di tale assunto e del fatto che la condotta che caratterizza il particolare reato tributario previsto dall’art. 2 si configura:  

la Suprema Corte, nella sentenza n. 51027 del 02.12.2015 della sezione 3^ penale, ha ribadito l’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale il reato di cui all’art. 2 del D.Lgs. 10 marzo 2000 n. 74 “sussiste sia nell'ipotesi di inesistenza oggettiva dell'operazione (ovvero quando la stessa non sia stata mai posta in essere nella realtà), sia nell'ipotesi di inesistenza relativa (ovvero quando l'operazione vi è stata, ma per quantitativi inferiori a quelli indicati in fattura), sia, infine, nell'ipotesi di sovrafatturazione qualitativa (ovvero quando la fattura attesti la cessione di beni e/o servizi aventi un prezzo maggiore di quelli forniti), in quanto oggetto della repressione penale è ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale"[2].

Nel caso esaminato dalla Cassazione, la condotta incriminatrice che ha integrato il delitto di cui all’art. 2 del D.Lgs. n. 74/2000 è stata quella posta in essere dal rappresentante legale di una società che ha inserito in contabilità fatture emesse da un altro soggetto giuridico, riportanti un valore nominale maggiore rispetto a quello (reale) dell’operazione per cui i documenti fiscali sono stati emessi.

Quindi, posto che in virtù del dettato normativo tributario i documenti relativi ad “operazioni inesistenti” sono riconducibili a:

nel caso sottoposto all’attenzione dei giudici di legittimità l’aver indicato elementi passivi fittizi (riferibili appunto alla sovrafatturazione in argomento) nelle dichiarazioni dei redditi ed I.V.A. ha comportato, in capo all’agente, la commissione del reato tributario rientrante nella fattispecie di cui al citato art. 2, proprio perché “oggetto della repressione penale è ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale”.

Come ricordato dalla Suprema Corte in altra occasione[3], la condotta punita dall’articolo in rassegna ha rilevanza penale soltanto a condizione che l’utilizzo di documentazione per “operazione inesistente” (nel caso di specie documenti che indicano corrispettivi in misura superiore a quella reale) sia finalizzato alla presentazione di una dichiarazione con esposizione di elementi passivi fittizi.

Con esplicito riguardo, poi, al particolare meccanismo fraudolento in commento, va ricordato che la sovrafatturazione costituisce anche il presupposto per la configurabilità della fattispecie prevista dall’art. 8 dello stesso decreto, ovverosia l’ “Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”.

E proprio sulla configurabilità dell’ipotesi delittuosa di cui all’art. 8 del D.Lgs. n. 74/2000 vale la pena ricordare che sempre la Cassazione[4] ha statuito che “Il delitto previsto dall'art. 8 del D.Lgs. n. 74 del 2000 […] ha inteso colpire ogni tipo di divergenza tra la realta' commerciale e la espressione documentale di essa e non soltanto la mancanza assoluta della operazione. La falsa fatturazione quantitativa e' punita non solo nel caso in cui la divergenza tra il reale ed il rappresentato e' totale, ma anche quando e' parziale e l'operazione economica si sia effettivamente verificata tra i soggetti indicati in fattura, ma in termini minori rispetto al dichiarato”.

In ultimo va evidenziato che sul medesimo crinale della sovrafatturazione qualitativa (quindi riguardante un maggiore prezzo fatturato rispetto a quello corrisposto), la Cassazione[5] ha stabilito che anche la sovrafatturazione quantitativa (quindi non afferente il prezzo, ma la maggiore quantità di beni o servizi fatturati) è punita penalmente e ciò non solo quando la difformità tra la situazione reale e la rappresentazione documentale è totale, ma anche quando tale divergenza si presenta in modo parziale, visto che l’operazione a cui fa riferimento il documento è effettivamente avvenuta tra i soggetti indicati in fattura, ma in termini quantitativi minori rispetto al dichiarato.

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[1] Il testo riportato in questo articolo è quello risultante dalla modifica apportata dal D.Lgs. n. 158 del 24 settembre 2015, che al comma 1 dell’art. 2 ha eliminato l’aggettivo “annuale” (riferito alle dichiarazioni) rispetto al testo precedente.

[2] Cfr. Corte di Cassazione pen. sez. 3^ sentenze n. 1996 del 25.10.2007, n. 5804 del 21.1.2004, n. 45056 del 23.10.2010, n. 30250 del 15.07.2011, n. 28352 del 21.05.2013.

[3] Cfr. Corte di Cassazione, sezione 3^ penale, sentenza n. 13826 del 05.04.2001.

[4] Cfr. Corte di Cassazione, sezione 3^ penale, sentenza n. 5804 del 21.01.2004.

[5] Cit. Corte di Cassazione, sezione 3^ penale, sentenza n. 1996 del 25.10.2007


1 FILE ALLEGATO:
Cassazione 51027 del 2 dicembre 2015

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