Speciale Pubblicato il 22/04/2014

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Circolari e risoluzioni non sono fonti del diritto

di Mario La Manna

Sentenza della Corte di Cassazione n. 5137/2014 sul valore delle circolari e risoluzioni ministeriali - Definizione e precedenti giurisprudenziali



La Suprema Corte  chiarisce che l’interpretazione della normativa tributaria, contenuta in circolari o in risoluzioni, non vincola né i contribuenti né i giudici e, cosa più importante, non costituisce fonte del diritto. Gli atti ministeriali medesimi, quindi, possono dettare agli uffici periferici criteri di comportamento da seguire nella concreta applicazione di norme di legge, ma non possono imporre ai contribuenti nessun adempimento non previsto dalla legge né, soprattutto, attribuire all'inadempimento del contribuente a tali prescrizioni un effetto non previsto da una norma di legge.
IL CASO
La vicenda al centro della controversia trae origine dal ricorso in Cassazione di un contribuente avverso la sentenza del giudice di secondo grado in cui si affermava la legittimità dell'avviso di recupero del credito d'imposta (art. 8 L. 388/2000) per non aver il contribuente annotato, sulle fatture di acquisto dei beni oggetto dell'investimento, "bene acquistato con il credito d'imposta di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 8".
Con l'unico motivo proposto, la ricorrente principale denuncia la violazione della L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 8, deducendo che l'annotazione suddetta non è prevista da tale norma, ma esclusivamente dalla circolare dell'Agenzia delle entrate n. 41 del 18 aprile 2001, come tale non vincolante per il contribuente.
Il ragionamento convince la Suprema Corte che rinvia la decisione ad altra sezione della CTR, non prima di chiarire che “il predetto adempimento, per di più prescritto a pena di revoca del beneficio, non può trovare adeguata fonte normativa in una circolare, in applicazione del consolidato principio della giurisprudenza di questa Corte in virtù del quale l'Amministrazione finanziaria non ha poteri discrezionali nella determinazione delle imposte dovute e, di fronte alle norme tributarie, detta Amministrazione ed il contribuente si trovano su un piano di parità, per cui la c.d. interpretazione ministeriale, sia essa contenuta in circolari o in risoluzioni, non vincola nè i contribuenti nè i giudici, nè costituisce fonte di diritto; gli atti ministeriali medesimi, quindi, possono dettare agli uffici subordinati criteri di comportamento nella concreta applicazione di norme di legge, ma non possono imporre ai contribuenti nessun adempimento non previsto dalla legge nè, soprattutto, attribuire all'inadempimento del contribuente alle prescrizioni di detti atti un effetto non previsto da una norma di legge (Cass. nn. 11931 del 1995, 14619 del 2000, 21154 del 2008).”.
IL COMMENTO
(...) Il documento di prassi, anche se concettualmente vicino, non è equiparabile alla consuetudine che viene definita come quel comportamento costante ed uniforme tenuto dai consociati, con la convinzione (opinio iuris) che tale comportamento sia doveroso. Questa caratteristica la rende fonte del diritto con l’ovvia conseguenza che solo la sua inosservanza – e non quella del documento di prassi – dia luogo a violazione di legge.
I documenti di prassi sono classificabili in:
Questa distinzione è più dottrinale che altro e non va enfatizzata poiché, nel caso specifico, potrebbe accadere che una circolare venga emanata per fornire interpretazioni legate ad una particolare circostanza.
Le circolari, le risoluzioni, ma anche i semplici comunicati stampa vengono continuamente diramati dall’Amministrazione finanziaria e considerati dai funzionari, quali atti imprescindibili per la corretta interpretazione/applicazione delle disposizioni di legge.

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Circolari e risoluzioni ministeriali non sono fonti del diritto - Sent. Cass. N. 5137/2014


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